Il fact-checking di Schlein alla manifestazione del PD a Roma

Abbiamo verificato sette dichiarazioni fatte in Piazza del Popolo dalla segreteria del partito, che ha commesso alcuni errori e detto varie cose fuorvianti
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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Sabato 11 novembre il Partito Democratico ha organizzato una manifestazione in Piazza del Popolo a Roma, dove la segretaria del partito Elly Schlein ha tenuto un discorso lungo circa un’ora. 

Dai tagli alla sanità all’aumento delle accise, passando per gli stipendi degli insegnanti, abbiamo verificato sette dichiarazioni di Schlein, che ha commesso alcuni errori e detto varie cose fuorvianti.

Quanti sono i lavoratori poveri

«Ci sono 3 milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori poveri in questo Paese»

Prima di verificare se il numero citato da Schelin sia corretto oppure no bisogna chiarire che cosa si intende per “povero”. Esistono infatti vari modi per quantificare la povertà: per esempio l’Istat ha pubblicato di recente i dati più aggiornati sulla povertà assoluta in Italia. Una persona, o una famiglia, vive in povertà assoluta se non raggiunge una soglia di spesa mensile in beni e servizi considerata necessaria per avere uno standard di vita accettabile. Questa soglia non è fissa, ma varia in base a dove si vive e al numero di persone all’interno della famiglia. 

Secondo Istat, nel 2022 viveva in povertà assoluta (Tav. 5) il 7,7 per cento delle persone occupate nel nostro Paese: l’anno scorso gli occupati in Italia erano circa 23,2 milioni, quindi gli occupati in povertà assoluta erano circa 1,8 milioni, più o meno la metà dei «3 milioni e mezzo» citati da Schlein.

Con tutta probabilità, però, la segretaria del PD ha fatto riferimento a un altro indicatore, quello della in-work poverty, tradotto in italiano con “povertà lavorativa”. Secondo Eurostat, un lavoratore è considerato “povero” se rispetta quattro condizioni: deve avere un’età tra i 18 e i 64 anni; deve essere occupato al momento della rilevazione dei dati; deve aver lavorato per almeno sette mesi nell’anno di riferimento; e in un anno deve avere un reddito disponibile equivalente (un particolare tipo di reddito che tiene conto del numero di membri della famiglia) inferiore alla soglia della cosiddetta “povertà relativa”. Questa è fissata a un valore pari al 60 per cento del reddito disponibile mediano nazionale equivalente (valore mediano significa che la metà dei redditi ha un valore inferiore e l’altra metà superiore). Per un lavoratore single stiamo parlando di una soglia di 11.500 euro l’anno. 

A seconda dei parametri considerati le stime sui lavoratori italiani che vivono in condizioni di in-work poverty cambiano: si passa da quasi 2,5 milioni a più di 3 milioni, un numero più vicino ai «3 milioni e mezzo» indicati da Schlein.

Che cosa è successo al fondo per gli affitti

«Il governo Meloni ha cancellato 330 milioni di fondo per l’affitto»

Da mesi Schlein ripete questa dichiarazione, che però è scorretta. Con la legge di Bilancio per il 2023 il governo Meloni non ha rifinanziato il fondo che aiutava a pagare le spese per l’affitto, introdotto nel 1998. Questo non vuol dire però che il fondo sia stato cancellato e che fossero stati stanziati 330 milioni di euro per quest’anno, poi eliminati dall’attuale governo. Quella cifra faceva riferimento agli stanziamenti voluti solo per il 2022 dal governo Draghi. 

Il mancato rifinanziamento del fondo rientrava poi nelle previsioni sia del secondo governo Conte sia del governo Draghi e già in passato, in almeno cinque casi, non era stato rifinanziato.

Quanti soldi alla sanità

«Il governo ha tagliato le risorse alla sanità pubblica»

L’accusa al governo di aver tagliato i soldi per la sanità è stata ripetuta altre volte da Schlein nel corso del suo intervento. «È bastato un anno a questo governo per invertire il trend di crescita del fondo sanitario nazionale», ha detto la segretaria del PD in Piazza del Popolo, aggiungendo che secondo le previsioni del governo la spesa sanitaria scenderà in rapporto al valore del Pil. Vediamo come stanno davvero le cose e perché questo messaggio è fuorviante.

Il disegno di legge di Bilancio per il 2024, ora all’esame del Senato, stanzia 3 miliardi di euro in più nel 2024 per il Servizio sanitario nazionale, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi dal 2026 in poi. Con queste nuove risorse il finanziamento del Servizio sanitario nazionale raggiungerà il valore più alto di sempre in termini nominali e la spesa sanitaria toccherà i 136 miliardi di euro, anch’esso il valore più alto mai registrato. Come è evidente, sono state aggiunte risorse, non tolte. Perché allora Schlein parla di tagli?

Da un lato bisogna considerare che tra il 2022 e il 2023 l’inflazione in Italia è cresciuta parecchio. Dunque gli aumenti serviranno, nella migliore delle ipotesi, proprio a cercare di compensare una parte dell’aumento dei prezzi. Dall’altro lato il governo aveva previsto, prima di presentare il nuovo disegno di legge di Bilancio, che la spesa sanitaria sarebbe scesa in rapporto al Pil nei prossimi anni. Queste previsioni, però, erano già contenute nei documenti di finanza pubblica approvati durante il governo Draghi, quando il ministro della Salute era Roberto Speranza, oggi compagno di partito di Schlein. 

Ricordiamo che nel 2020 e nel 2021 la spesa sanitaria italiana ha superato un valore pari al 7 per cento del Prodotto interno lordo (Pil) perché quest’ultimo è stato duramente colpito dalla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19. Essendo calato il Pil, è normale che aumentando la spesa sanitaria sia aumentato anche il suo rapporto rispetto al Pil.

L’aumento delle accise

«Avevano promesso di abolire le accise davanti ai benzinai. Sono aumentate: ha aumentato il costo della benzina questo governo»

Anche questa dichiarazione di Schlein è fuorviante. Molto probabilmente con queste parole la segretaria del PD ha fatto riferimento a un video pubblicato a maggio 2019 da Giorgia Meloni, durante la campagna elettorale per le elezioni europee di quell’anno. Nel filmato, mentre faceva rifornimento da un benzinaio, Meloni diceva che Fratelli d’Italia pretendeva che le accise fossero «progressivamente abolite». Ma durante l’ultima campagna elettorale, in vista del voto del 25 settembre 2022, la coalizione di centrodestra non aveva promesso di «abolire le accise». Il programma elettorale di Fratelli d’Italia aveva invece promesso la «sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti» e l’«automatica riduzione di Iva e accise».

In ogni caso il governo Meloni non ha aumentato le accise sui carburanti. Al momento l’accisa sulla benzina è pari a 73 centesimi di euro al litro, quella sul gasolio a 62 centesimi di euro. Questi valori sono gli stessi che erano in vigore prima che il 22 marzo 2022 il governo Draghi introducesse temporaneamente un taglio di 25 centesimi di euro, poi prorogato varie volte durante lo scorso anno, da ultimo anche dal governo Meloni.

L’ultima volta che l’attuale valore delle accise è aumentato è stata durante un governo del PD. Nel 2013 il governo Letta aveva infatti introdotto un aumento temporaneo delle accise, intorno a un centesimo di euro al litro, scattato l’anno successivo durante il governo Renzi. Dal 2015 il valore delle accise è poi tornato a quello precedente l’aumento.

L’aumento dell’Iva

«Hanno fatto una manovra che volta le spalle alle madri e ai padri, aumentando le tasse sui pannolini e gli assorbenti»

Al di là del giudizio politico sulle scelte del governo, è vero che il disegno di legge di Bilancio per il 2024 propone di aumentare l’Iva sui pannolini e sugli assorbenti. Nel 2024 l’Iva sul latte, sugli alimenti per bambini e sui pannolini aumenterà dal 5 per cento al 10 per cento, mentre quella sui seggiolini per le auto salirà al 22 per cento. Discorso analogo vale per i prodotti per l’igiene intima femminile, come gli assorbenti, che vedranno salire l’Iva dal 5 per cento al 10 per cento. 

Su entrambe queste categorie di prodotti la scorsa legge di Bilancio, quella per il 2023, aveva ridotto l’Iva al 5 per cento: secondo il governo questa misura non ha portato ai risparmi sperati per i consumatori, e quindi non ha senso continuare a finanziarla. Con tutta probabilità il prossimo anno i prezzi di questi prodotti aumenteranno ancora: la relazione tecnica che accompagna il disegno di Bilancio stima che nel 2024 lo Stato incasserà oltre 160 milioni di euro in più grazie all’aumento dell’Iva.

Quanto sono pagati gli insegnanti

«Si paghino meglio gli insegnanti, perché siamo il Paese che li paga meno in Europa»

Al netto della proposta politica, qui la segretaria del PD esagera: i salari degli insegnanti italiani sono tra i più bassi in Europa, ma non sono i più bassi in assoluto. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), a parità di potere d’acquisto, in Italia un insegnante che lavora in una scuola media pubblica percepisce in media circa 41.800 dollari lordi all’anno. La media dei 22 Paesi dell’Unione europea membri dell’Ocse è pari a 47.375 dollari, mentre quella dell’Ocse a 47.988 dollari.

Discorso analogo vale anche per gli insegnanti delle scuole superiori. Qui la paga media di un insegnante in Italia è 44.464 dollari lordi l’anno, contro i 51.334 dollari della media dei 22 Paesi europei membri dell’Ocse e contro i 51.749 della media Ocse. 

Tra i dati a disposizione dell’Ocse, meglio dell’Italia fanno Francia e Germania, ma anche Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia. Ci sono comunque almeno otto Paesi sui 22 di cui Ocse ha i dati che pagano gli insegnanti delle scuole medie e di quelle superiori meno dell’Italia: sono la Repubblica Ceca, l’Estonia, la Grecia, l’Ungheria, la Lettonia, la Lituania, la Slovacchia e, seppure di poco, la Slovenia.

Dove esiste il premierato

«Il premierato non esiste in nessun altro Paese»

Il termine “premierato” non ha una definizione univoca perché rimanda a situazioni diverse tra loro. Da un lato può definire un sistema in cui il presidente del Consiglio ha più poteri rispetto al nostro, per esempio quello di revocare i ministri, rimanendo comunque legato a un rapporto di fiducia con il Parlamento. Dall’altro lato può definire un sistema in cui il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dai cittadini. Di recente il governo Meloni ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale che va in questa seconda direzione, e che ora dovrà iniziare il suo esame in Parlamento. 

A oggi l’unico esperimento di premierato nel mondo inteso come elezione diretta del presidente del Consiglio si è verificato in Israele nel 1992, ma nel 2002 è stato abolito.

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