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Perché il “premierato” cambia i poteri del presidente della Repubblica

| 07 novembre 2023
La dichiarazione
«Il capo dello Stato mantiene tutte le sue prerogative, tali e quali come sono oggi»
Fonte: Radio24 | 4 novembre 2023
Ansa
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Verdetto sintetico
La ministra per le Riforme istituzionali e la Semplificazione normativa è imprecisa.
In breve
  • Il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dal governo Meloni modifica quattro articoli della Costituzione, alcuni dei quali regolano i poteri del presidente della Repubblica. TWEET
  • Con la riforma il capo dello Stato non nominerà più il presidente del Consiglio, non avrà la possibilità di sciogliere una sola delle camere e non potrà nominare i senatori a vita. TWEET
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Il 4 novembre, ospite ad Amici e nemici su Radio24, la ministra per le Riforme istituzionali e la Semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati (Forza Italia) ha commentato (min. 8:30) il disegno di legge di riforma costituzionale approvato il giorno prima dal governo Meloni. Secondo Casellati, la riforma, che introdurrebbe l’elezione diretta del presidente del Consiglio (una forma del cosiddetto “premierato”), non modifica i poteri del presidente della Repubblica, che manterrebbe così «tutte le sue prerogative, tali e quali come sono oggi». 

Il giorno dopo anche il presidente del Senato Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) ha difeso la riforma costituzionale con la stessa tesi. In un’intervista con il Corriere della Sera, La Russa ha detto che al presidente della Repubblica «rimangono tutte le prerogative» attualmente in vigore.

In realtà le cose non stanno proprio così: al netto del fatto che il percorso della riforma è ancora lungo, le modifiche alla Costituzione proposte dal governo Meloni intervengono su alcuni poteri del capo dello Stato.

I poteri del presidente della Repubblica

Il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia, ha spiegato a Pagella Politica che la differenza tra il concetto di “prerogativa” del presidente della Repubblica, citato da Casellati e La Russa, e quello di “poteri” è labile e nel linguaggio politico i due termini sono ormai utilizzati come sinonimi. 

L’articolo 87 della Costituzione stabilisce che il presidente della Repubblica «è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale». Lo stesso articolo elenca alcuni dei suoi poteri: tra questi ci sono l’invio di messaggi alla Camera e al Senato, l’autorizzazione della presentazione in Parlamento dei disegni di legge promossi dal governo, la promulgazione delle leggi e dei decreti-legge e la concessione della grazia. L’articolo 89 della Costituzione stabilisce che ogni atto del presidente della Repubblica deve essere controfirmato da un membro del governo, che se ne assume la responsabilità. Questo è dovuto al fatto che il capo dello Stato non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

Come cambia la nomina del presidente del Consiglio

A oggi il testo del disegno di legge di riforma costituzionale non è ancora stato ufficialmente presentato in Parlamento dal governo Meloni, ma la versione approvata dal Consiglio dei ministri è stata diffusa alla stampa e il contenuto è stato presentato dal governo in una nota e con una conferenza stampa. Al contrario di quanto affermato da Casellati, la proposta di riforma costituzionale interviene su alcuni poteri del presidente della Repubblica. 

In primo luogo, con la modifica dell’articolo 92 della Costituzione si introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e il capo dello Stato non avrà più il potere di «nominare» il capo del governo, come previsto ora dalla Costituzione. Il presidente della Repubblica si limiterà a «conferire» al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il governo. Il potere di nomina rimarrà invece per i singoli ministri. «Oggi la Costituzione stabilisce che il capo dello Stato, quando incarica il nuovo presidente del Consiglio, possa fare un ragionamento libero, compatibilmente con i risultati elettorali», ha sottolineato a Pagella Politica l’ex presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo. «Con la nuova riforma invece non potrebbe più farlo, ma dovrebbe limitarsi a nominare il capolista della lista vincitrice». Secondo il costituzionalista un altro esempio di riduzione dei poteri del presidente della Repubblica è riscontrabile nella nomina dei ministri: «Se rendiamo “fortissimo” il capo del governo, è evidente che il presidente della Repubblica non può dirgli di no in sede di scelta».

Anche per Volpi la nomina dei ministri scelti dal presidente del Consiglio diventerebbe per il capo dello Stato «un atto praticamente dovuto». Con la nuova riforma, infatti, secondo il costituzionalista il presidente della Repubblica «si troverebbe di fronte a un presidente del Consiglio con una legittimazione popolare e quindi molto più forte della sua, e difficilmente potrà rifiutarsi di nominare un ministro proposto dal capo del governo». In passato è accaduto infatti che un presidente della Repubblica decidesse di porre il suo veto sulla nomina di un ministro: per esempio nel 2018 il presidente Sergio Mattarella rifiutò di nominare ministro dell’Economia del primo governo Conte l’economista Paolo Savona, noto per le sue posizioni euroscettiche, mentre nel 2014, durante la formazione del governo Renzi, l’allora presidente Giorgio Napolitano espresse parere contrario sulla nomina a ministro della Giustizia del magistrato Nicola Gratteri.

La norma contro i governi tecnici

In base alla riforma costituzionale proposta dal governo, con la modifica dell’articolo 94 della Costituzione, se il presidente del Consiglio eletto non ottiene la fiducia del Parlamento, il presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico per una seconda volta, sciogliendo le camere solo in caso di ulteriore sfiducia. In caso di dimissioni, impedimento o sfiducia delle camere, il presidente della Repubblica dovrà affidare l’incarico di formare un nuovo governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza, ma solo per realizzare il programma di governo e le dichiarazioni programmatiche approvate dal presidente inizialmente eletto. Solo se il governo non ottiene la fiducia, il capo dello Stato può sciogliere le camere. 

«Questa è una modifica sostanziale dei poteri del presidente della Repubblica, e che in un certo senso limita il suo raggio d’azione, impedendogli di fatto di affidare l’incarico a figure tecniche, come è successo in questi anni in situazioni di crisi», ha detto Volpi. Nella storia dell’Italia repubblicana i presidenti della Repubblica hanno avuto infatti una certa autonomia di scelta, soprattutto nei momenti di crisi istituzionale. Per esempio nel 2011, dopo la caduta del quarto governo Berlusconi, l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decise di non sciogliere le camere, ma di nominare come nuovo presidente del Consiglio l’economista Mario Monti. Allo stesso modo a febbraio 2022, dopo la caduta del secondo governo Conte, l’attuale capo dello Stato Sergio Mattarella ha scelto come sostituto l’economista Mario Draghi.

Con la modifica dell’articolo 88 si elimina poi la possibilità per il presidente della Repubblica di sciogliere una delle due camere invece di entrambe, cosa che comunque è accaduta solo tre volte nella storia repubblicana (1953, 1958, 1963) e sempre per motivi “tecnici”. Questi scioglimenti servivano infatti a svolgere contemporaneamente l’elezione del Senato e della Camera, che in passato erano in carica per un tempo diverso (sei anni il Senato, cinque anni la Camera).

La riforma prevede infine la cancellazione del secondo comma dell’articolo 59, eliminando la possibilità per il presidente della Repubblica di nominare nuovi senatori a vita. Quelli attualmente in carica manterranno il loro incarico fino alla scadenza del mandato, mentre per gli ex presidenti della Repubblica rimane il diritto di diventare senatore a vita. 

Il parere dei sostenitori

Il costituzionalista Francesco Saverio Marini, che ha supportato il governo nella scrittura del disegno di legge di riforma costituzionale, ha ammesso – seppure indirettamente e minimizzandone la portata – che la riforma modifica i poteri del capo dello Stato. Il 5 novembre, in un’intervista al quotidiano Libero, Marini ha infatti dichiarato che «la proposta non incide, se non minimamente, sui poteri del presidente della Repubblica». Intervistato lo stesso giorno da Il Giornale, il costituzionalista Felice Giuffrè ha detto che non ci sono, a suo parere, «plausibili ragioni di allarme» riguardo un possibile depotenziamento del capo dello Stato. 

In ogni caso, al netto di un possibile depotenziamento, è innegabile che la riforma – se sarà approvata dal Parlamento e in un eventuale referendum – avrà conseguenze sui poteri e le prerogative del presidente della Repubblica, complice il nuovo ruolo assunto dal presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini.

Il verdetto

Secondo Maria Elisabetta Alberti Casellati, con la riforma costituzionale approvata dal governo Meloni il presidente della Repubblica manterrà «tutte le sue prerogative, tali e quali a come sono oggi». Le cose non stanno però come dice la ministra per le Riforme istituzionali.

Al netto dei giudizi politici, la riforma costituzionale modifica quattro articoli della Costituzione, tra cui alcuni che stabiliscono i poteri e le prerogative del presidente della Repubblica.

In particolare con la riforma il capo dello Stato non nominerà più il presidente del Consiglio, non avrà la possibilità di sciogliere una sola delle camere e non potrà nominare i senatori a vita.

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