La nuova newsletter di Pagella Politica sull’economia

Esce il giovedì e racconta l’attualità politica attraverso le lenti degli economisti
Pagella Politica
Questo è il primo numero di “Conti in tasca”, la nuova newsletter di Pagella Politica ed Economika, scritta da Massimo Taddei. Ci si iscrive gratis cliccando qui. Arriva tutti i giovedì. 

Questa newsletter vuole andare oltre la classica rassegna delle principali notizie di economia. Non vuole limitarsi a essere un semplice bollettino dei mercati finanziari, ma punta a dare una prospettiva diversa su notizie che, magari, avete già letto da altre parti. 

Come dovremmo interpretare le scelte della politica se dovessimo valutarle solo ed esclusivamente da una prospettiva economica? Ecco, questo è quello che proveremo a raccontarvi con questa newsletter. Iscriviti cliccando qui.

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Il più grande tema di attualità in questo momento è senza dubbio il riarmo degli eserciti europei, sostenuto da sempre più cittadini e fazioni politiche. Il dibattito è diviso tra chi sostiene la necessità di difendersi dalle minacce che arrivano da vari fronti e chi teme che un aumento nella spesa per la difesa possa portare a un’escalation militare.

In questa newsletter, però, non ci concentriamo sulle questioni geopolitiche o strategiche, ma proviamo ad approfondire gli aspetti economici. In questo caso, è abbastanza evidente: un riarmo europeo, qualunque sia l’opinione che se ne ha, richiede fondi. E la Commissione europea ha previsto un piano straordinario per riuscire a ottenerli. ReArm Europe è stato presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il 4 marzo e, secondo quanto annunciato, «potrà mobilitare fino a 800 miliardi di euro», da destinare al riarmo degli Stati membri. A oggi, però, non si conoscono ancora i dettagli sui contenuti e sul funzionamento del piano. 

Von der Leyen ha anticipato che 150 miliardi di euro saranno erogati dall’Ue sotto forma di prestiti per aumentare gli investimenti in difesa, attraverso un nuovo strumento, chiamato Security Action for Europe (SAFE). Questi investimenti dovranno essere fatti congiuntamente dai Paesi Ue per evitare sprechi e migliorare la compatibilità tra i vari eserciti. L’obiettivo principale è rafforzare l’industria della difesa europea e aumentare il supporto militare all’Ucraina.

Il piano di riarmo per l’Unione europea, dunque, sarebbe finanziato attraverso prestiti. Non è stato ancora chiarito come verrà raccolto questo denaro, ma è possibile che si ricorra a una qualche forma di debito comune tra i Paesi dell’Ue, come era avvenuto con i cosiddetti Eurobond durante la pandemia da Covid-19. I Paesi potranno indebitarsi fino all’1,5 per cento del PIL in più per investimenti nel settore della difesa, derogando alle regole di bilancio europee. Per l’Italia, si tratterebbe di circa 30 miliardi in più da poter spendere ogni anno per il settore della difesa, senza incorrere in sanzioni per deficit eccessivo. È una cifra molto elevata rispetto alla spesa militare attuale, che vale l’1,6 per cento del PIL. Utilizzando tutti i fondi a disposizione, la spesa raddoppierebbe, portandosi ben al di sopra del target NATO del 2 per cento del PIL.
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Su Pagella Politica abbiamo già spiegato che, a differenza di quanto sostengono alcuni, i maggiori investimenti per la difesa non dovranno essere necessariamente sottratti ad altri capitoli di spesa, come quelli per l’istruzione o la sanità, ma saranno appunto costituiti “solo” da debito aggiuntivo. Va comunque ricordato che, trattandosi pur sempre di deficit, queste maggiori spese farebbero aumentare il peso del rapporto debito/PIL.

Al di là dei costi, è importante capire anche quali benefici potrebbero derivare da una maggiore spesa. Oltre alla maggiore potenza militare, ci sarebbero senza dubbio dei benefici economici. La spesa militare può infatti dimostrarsi un investimento produttivo piuttosto redditizio, dato che si tratta di una delle industrie con il più alto potenziale in termini tecnologici e di innovazione.

Molti sostengono che la spesa in ricerca di base e in ricerca e sviluppo nel settore militare sia particolarmente produttiva, perché spesso contribuisce a invenzioni innovative che portano benefici anche alla società civile. Sul sito della NATO, per esempio, si ricorda come Internet e il microonde, tra gli altri, sono invenzioni derivate dalla ricerca militare. Una spesa di questo tipo, quindi, potrebbe avere un impatto positivo più grande di altre politiche, perché comporta un investimento produttivo. Aumentare la spesa sanitaria per aumentare lo stipendio ai medici, per esempio, può essere sì una scelta condivisibile e necessaria, ma aumenterà solo la spesa corrente, in cui rientra quella per gli stipendi, e non dovrebbe avere grandi effetti sul potenziale di crescita del Paese (esistono comunque ricadute positive anche con un aumento della spesa corrente, ma di solito sono inferiori rispetto a quelle della spesa per investimenti).

Va detto, però, che la spesa militare italiana non si è mai dimostrata particolarmente produttiva. Come ha sottolineato tempo fa l’economista Tito Boeri, direttore della rivista Eco e del Dipartimento di Economia dell’Università Bocconi, la spesa militare italiana non è così bassa rispetto a Paesi simili (anche se sotto al target NATO del 2 per cento), ma la sua composizione suggerisce un utilizzo poco efficiente delle risorse. Circa il 60 per cento di questa spesa, infatti, è dedicato a salari e stipendi, un dato che è invece di poco sopra il 40 per cento in Francia e Germania. Come abbiamo detto, gli stipendi rappresentano spesa corrente, meno produttiva rispetto agli investimenti e, dunque, se un aumento della spesa dovesse prevedere anche un forte aumento delle assunzioni, è probabile che il denaro utilizzato possa dare meno frutti rispetto ad altre destinazioni.
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Comunque la si pensi sulla situazione geopolitica attuale, non si può negare che un pacchetto di investimenti che potrebbe arrivare fino a 800 miliardi sia un’ottima notizia per l’economia europea, dato che, se spesi bene, questi fondi potrebbero avere una ricaduta economica positiva sia nel breve periodo, grazie agli investimenti diretti negli eserciti europei, sia nel lungo termine, con una maggiore probabilità di raggiungere scoperte grazie ai maggiori fondi per la ricerca.

Si può senza dubbio obiettare che questi fondi potrebbero essere diretti a questioni più urgenti o importanti, come l’investimento nell’intelligenza artificiale, nell’energia nucleare, o aumentando la spesa sociale per ridurre le disuguaglianze, ma non si può sostenere che l’investimento nella spesa militare sia in ogni caso uno spreco dal punto di vista economico.

Qual è la tua opinione sulla questione? Pensi che in questo caso l’aspetto geopolitico delle cose sia più importante rispetto a eventuali benefici economici? Spenderesti questi fondi in modo diverso? Come? Puoi raccontarmi cosa ne pensi rispondendo a questa mail!

Le cose da tenere d’occhio

  • I recenti sviluppi delle trattative per una pace in Ucraina hanno sollevato anche il tema della ricostruzione. Secondo la Banca Mondiale, per riparare i danni di guerra serviranno oltre 500 miliardi di dollari (e per Gaza?)

  • La produzione industriale dell’Italia è cresciuta per la prima volta in due anni.


Questo numero di Conti in tasca finisce qui. Per qualsiasi domanda, puoi rispondere direttamente a questa mail o contattarmi sui social (Instagram e LinkedIn).

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