Il piano ReArm Europe toglie soldi alla sanità e alla scuola?

Lo ripete Conte, insieme ad altri politici. Abbiamo fatto un po’ di chiarezza, sulla base delle informazioni disponibili
ANSA
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Una delle critiche più diffuse contro il piano ReArm Europe riguarda la destinazione dei fondi stanziati dalla Commissione europea per incrementare le spese militari dei Paesi membri dell’Unione europea. Secondo i detrattori, queste risorse economiche vengono sottratte ad altre voci di bilancio considerate più necessarie, come la sanità e l’istruzione.

«Abbiamo l’Europa di Ursula von der Leyen che vuole investire 800 miliardi per il riarmo: questo significa 30 miliardi per l’Italia sottratti a sanità, istruzione, scuola, e agli aiuti per le famiglie e imprese», ha dichiarato il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. «Noi che abbiamo la responsabilità di decidere come spendere i soldi pubblici, dobbiamo poter guardare negli occhi i cittadini ogni giorno. Lei se la sente di dire loro che abbiamo preferito spendere in armi piuttosto che in sanità, in sostegno alle imprese e in aiuti alle famiglie? Io no, grazie», ha detto il sottosegretario all’Economia Federico Freni, della Lega, intervistato da Repubblica. «Non sono mica soldi regalati quelli a debito. Forse è il caso di ricordarlo a chi ogni giorno millanta la sostenibilità di ReArm».

È vero che il piano ReArm Europe toglie all’Italia 30 miliardi di euro destinati alla sanità e alla scuola? Ed è vero che il governo deve scegliere se spendere per la difesa o per gli aiuti a famiglie e imprese? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Il soldi del piano di riarmo

ReArm Europe è stato annunciato da von der Leyen il 4 marzo e, secondo quanto detto dalla presidente della Commissione Ue, «potrà mobilitare fino a 800 miliardi di euro», da destinare al riarmo degli Stati membri. A oggi, però, non si conoscono ancora i dettagli sui contenuti e sul funzionamento del piano. 

Von der Leyen ha anticipato che 150 miliardi di euro saranno erogati dall’Ue sotto forma di prestiti per aumentare gli investimenti in difesa, attraverso un nuovo strumento, chiamato Security Action for Europe (SAFE). Questi investimenti dovranno essere fatti congiuntamente dai Paesi Ue per evitare sprechi e migliorare la compatibilità tra i vari eserciti. L’obiettivo principale è rafforzare l’industria della difesa europea e aumentare il supporto militare all’Ucraina.

In più, la presidente della Commissione Ue ha spiegato che il piano consentirà agli Stati membri di aumentare le spese militari senza che quest’ultime rientrino nei limiti fissati dal Patto di stabilità e crescita. Questo patto stabilisce un tetto al rapporto tra il debito pubblico e il Prodotto interno lordo (PIL) che ogni Paese può raggiungere. Scorporare le spese militari dai vincoli sul debito permetterà agli Stati di investire senza violare le regole europee. «Se gli Stati membri aumentassero la loro spesa per la difesa in media dell’1,5 per cento del PIL, si potrebbero liberare risorse finanziarie disponibili per quasi 650 miliardi di euro in quattro anni», ha detto von der Leyen, citando le stime della Commissione.

Se si sommano questi 650 miliardi di euro con i 150 miliardi di euro dei prestiti, si ottengono gli 800 miliardi di euro complessivi del piano di cui ha parlato la presidente della Commissione Ue. Questa cifra – è bene ricordarlo – è una stima di massima delle risorse che potrebbero essere mobilitate da ReArm Europe: non sono risorse certe, già stanziate e disponibili per gli Stati Ue.

Fatta questa premessa, da dove vengono i «30 miliardi di euro» di cui ha parlato Conte? Con tutta probabilità, il presidente del Movimento 5 Stelle ha calcolato quanto vale l’1,5 per cento del PIL italiano, ossia l’aumento di spesa che sarebbe consentito per la difesa, sforando il tetto del debito. Secondo ISTAT, infatti, nel 2024 il PIL italiano ha quasi raggiunto i 2.200 miliardi di euro: l’1,5 per cento vale 33 miliardi di euro, arrotondati da Conte a 30 miliardi.

Il maggiore debito

Una volta chiarito da dove vengono i 30 miliardi di euro e quanto vale potenzialmente il piano ReArm Europe, vediamo se davvero questi soldi sono tolti alla sanità, all’istruzione e agli aiuti per famiglie e imprese. Dalle parole di Conte, sembra di sì: che le risorse per il riarmo saranno sottratte direttamente al bilancio dello Stato. In realtà le cose non stanno proprio così.

Qui bisogna fare una distinzione tra la maggiore flessibilità di spesa che concede ReArm Europe e i prestiti. Come abbiamo visto, infatti, il piano permetterebbe agli Stati membri di fare ulteriore debito, ma solo se questo denaro sarà utilizzato per la spesa militare. Immaginiamo che all’Italia sia concesso fare deficit (la differenza tra entrate e spese) fino al 3 per cento del PIL: con questo piano, l’Italia potrebbe portare il deficit al 4,5 per cento, a patto che quell’1,5 per cento aggiuntivo sia composto da spese per la difesa. 

Dunque, l’ammontare delle risorse stanziate per scopi non militari non cambierebbe. In questo senso il piano non obbliga a fare maggiori investimenti in difesa, ma dà semplicemente la possibilità di derogare ai limiti sull’indebitamento in caso di certe spese. 

È vero però che se la Commissione Ue decide di stanziare fondi per una certa politica, o di dare agli Stati maggiore libertà di spesa per una politica, nel farlo dovrà necessariamente rinunciare a usare quel denaro per altri scopi. E, dato che le istituzioni europee sono finanziate dai Paesi membri, quelle rinunce sarebbero a nostro carico. È il concetto di “costo-opportunità”, fondamentale ogni volta che si fanno analisi e si compiono scelte economiche. Ogni volta che l’Ue dà la priorità a una determinata spesa rispetto a un’altra si può contestare che le risorse a disposizione andrebbero usate per altri scopi. Questo ragionamento si può applicare per qualsiasi proposta politica: sta agli elettori decidere quali proposte sono più o meno convincenti.

Ricapitolando: le parole di Conte partono da un assunto corretto, ma è importante sottolineare che le risorse che saranno impiegate con ReArm Europe non sono intercambiabili con altri capitoli di spesa del bilancio pubblico.

I prestiti

Veniamo alla questione dei prestiti del ReArm Europe, e al fondo che potrà erogare fino a 150 miliardi di euro, nelle intenzioni della Commissione Ue. I dettagli su come sarà finanziato questo fondo non sono ancora noti. 

Una delle ipotesi circolata di più  è replicare quanto fatto durante la pandemia di COVID-19 con il fondo Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency (SURE), creato per aiutare a frenare l’aumento della disoccupazione. SURE è stato finanziato con l’emissione di debito pubblico comune: la Commissione UE ha emesso titoli di Stato, con cui ha raccolto risorse da destinare sotto forma di prestiti agevolati ai Paesi Ue.  

Se questa fosse la strada intrapresa, significherebbe che i prestiti erogati per gli investimenti militari sarebbero garantiti non solo da uno Stato, ma da tutti quelli che fanno parte dell’Ue. Per l’Italia, il costo di indebitarsi in questo modo è più basso rispetto all’emissione di titoli di Stato italiani. 

Il livello del tasso di interesse applicato sul debito di un Paese funziona un po’ come quello che si applica su un mutuo a una famiglia: se una famiglia è già altamente indebitata e produce poco reddito, il rischio che non riesca a ripagare il nuovo debito è maggiore, per cui il tasso di interesse sarà più alto. In Italia il livello del debito pubblico sul PIL è tra i più alti al mondo e la crescita del PIL è stata molto bassa negli ultimi 15 anni. 

Per questo motivo, il tasso di interesse che verrebbe applicato all’Italia è più alto rispetto a quello dei titoli di Stato europei. Per i titoli di Stato a dieci anni, il nostro Paese paga in interessi circa il 3,9 per cento annuo, contro un 2,9 per cento medio dell’area euro. Per usare le risorse di ReArm Europe per altri scopi, l’Italia dovrebbe attingere dalla prima, più costosa, fonte di finanziamento, mentre il tasso di interesse dei titoli di Stato europei sarebbe più simile a quello della media di tutti i Paesi membri.

Insomma, è vero che le risorse del piano per il riarmo non sono a fondo perduto, ma andranno restituite. Dunque rappresentano nuovo debito, come ha correttamente sottolineato il sottosegretario Freni. Va però ricordato che il prestito ottenuto per le spese in difesa avrebbe condizioni più convenienti e, quindi, il suo peso sui conti pubblici sarebbe meno incisivo rispetto a una qualsiasi spesa a debito a condizioni peggiori.

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