Quali poteri ha Mattarella sulla lista dei ministri

Giorgia Meloni riceverà con tutta probabilità l’incarico di formare il governo, presentando una lista di nomi per i ministeri: su questi, il presidente della Repubblica potrebbe avere qualcosa da dire
ANSA
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Nella mattinata di venerdì 21 ottobre si sono concluse le consultazioni tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i rappresentanti dei partiti per la formazione del nuovo governo. Con tutta probabilità, Mattarella affiderà l’incarico di formare e guidare il governo alla presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che, una volta accettato l’incarico, dovrà presentare al presidente della Repubblica la lista dei nomi dei futuri ministri. 

Durante le consultazioni con Mattarella, i partiti di opposizione, da Azione e Italia viva al Movimento 5 stelle, hanno espresso preoccupazione per la possibilità che Meloni scelga come ministro degli Esteri il deputato e coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani. Il leader del suo partito, Silvio Berlusconi, è infatti al centro di un’accesa discussione su una serie di registrazioni audio pubblicate negli ultimi giorni dall’agenzia di stampa La Presse, in cui ha sostenuto che la guerra tra Russia e Ucraina sarebbe nata per colpa dell’Ucraina e del suo presidente Volodymyr Zelensky.

Quali poteri ha il presidente della Repubblica sulla lista dei possibili ministri presentati dalla presidente del Consiglio incaricata? Può porre dei veti oppure no? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

I poteri del capo del presidente della Repubblica

L’articolo 92 della Costituzione stabilisce che «il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Al di là di questa frase, nel nostro ordinamento non esiste una legge che indichi i criteri per la scelta dei ministri, né una legge che stabilisca quali siano i poteri del presidente della Repubblica nell’accettare o meno la lista dei ministri presentata dal presidente del Consiglio incaricato. 

Questo non significa, però, che Mattarella abbia un semplice ruolo di esecutore delle volontà del prossimo capo del governo. Se la nomina del presidente del Consiglio è indirizzata dalla volontà dei gruppi di maggioranza in Parlamento, sulla nomina dei singoli ministri il presidente della Repubblica può esprimere il suo parere istituzionale e, in alcuni casi, può porre il suo veto.

Il caso Savona

L’esempio più recente risale a maggio 2018, all’inizio della scorsa legislatura, quando al termine di una lunga fase di consultazioni Lega e Movimento 5 stelle trovarono un accordo di governo e presentarono al presidente Mattarella la lista dei ministri per un esecutivo guidato dall’allora professore universitario Giuseppe Conte. All’interno di questa lista, il posto di ministro dell’Economia era occupato da Paolo Savona, un economista già ministro dell’Industria nel governo Ciampi, noto per le sue posizioni euroscettiche e fortemente critiche nei confronti dell’Unione europea. 

Il presidente Mattarella pose quindi una sorta di veto su Savona, rifiutandosi di nominarlo ministro e chiedendo ai gruppi della maggioranza di trovare un altro candidato per quel posto. «Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia. Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un esponente che non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro», aveva dichiarato in quell’occasione Mattarella, riguardo la bocciatura di Savona. 

Subito dopo, l’allora capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio aveva chiesto la «messa in stato di accusa» del presidente della Repubblica, per rimuoverlo dal suo incarico, ma alla fine la polemica rientrò e il primo governo Conte entrò formalmente in carica il 1° giugno 2018, con l’economista Giovanni Tria al Ministero dell’Economia e Savona al Ministero degli Affari europei.

Gli altri precedenti

Il caso di Savona non era una novità nella storia repubblicana: almeno altre due volte un presidente della Repubblica aveva già contrastato la nomina di un ministro. 

Nel 2014, per esempio, il magistrato Nicola Gratteri, all’epoca procuratore di Reggio Calabria e figura di spicco della lotta alla ‘ndrangheta, fu proposto dal presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi come ministro della Giustizia ma, secondo le ricostruzioni, l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano espresse parere contrario, affermando che «per una regola non scritta, ma sempre rispettata, un magistrato in servizio non può diventare ministro della Giustizia». Al suo posto fu nominato il deputato del Partito democratico Andrea Orlando.

Un altro precedente risale al 1994, e anche questo ha riguardato il Ministero della Giustizia. L’allora presidente del Consiglio incaricato Silvio Berlusconi propose per questo ministero il suo avvocato e amico personale Cesare Previti, ma il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro si oppose: al suo posto divenne ministro della Giustizia Alfredo Biondi. A Previti fu invece affidato il Ministero della Difesa.
Immagine 1. Il presidente della Repubblica Scalfaro non accetta la proposta di Berlusconi di nominare Previti ministro della Giustizia. Fonte: archivio storico La Stampa
Immagine 1. Il presidente della Repubblica Scalfaro non accetta la proposta di Berlusconi di nominare Previti ministro della Giustizia. Fonte: archivio storico La Stampa

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