Una vecchia regola della Camera sta rallentando i lavori parlamentari

La norma prevede una “pausa” prima del voto sulla fiducia al governo. Dopo oltre cinquant’anni potrebbe essere cancellata, ma ci sono dubbi
ANSA
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Da circa due anni e mezzo la Camera dei deputati sta portando avanti una riforma del suo regolamento interno. Il processo di riforma, iniziato a dicembre 2022, è stato reso necessario inizialmente per adeguare le regole interne alla riforma del taglio dei parlamentari confermata con un referendum a settembre 2020. I regolamenti parlamentari sono fondamentali per il funzionamento sia della Camera che del Senato: stabiliscono l’organizzazione delle due camere, le varie fasi del procedimento legislativo, e i diritti e i doveri dei parlamentari. Già nella scorsa legislatura il Senato aveva modificato il proprio regolamento, mentre la Camera non era riuscita a modificarlo, complici i disaccordi tra i partiti.

In questa legislatuara la Camera ha finora approvato due riforme del suo regolamento. E lo scorso 31 luglio la Giunta per il regolamento – l’organo che si occupa di vigilare sulle regole interne della Camera – ha iniziato a esaminare una terza serie di proposte di riforma.

La prima fase di riforma, approvata al fine 2022, ha modificato soltanto i cosiddetti “quorum”, ossia le soglie minime di deputati necessarie per esempio per creare un gruppo parlamentare, mentre la seconda, approvata a ottobre 2024, ha previsto la riduzione dei tempi di intervento dei deputati sui provvedimenti all’esame dell’aula e sugli emendamenti. Questa riduzione è stata prevista per razionalizzare i tempi dei lavori, limitando la possibilità per i deputati di fare ostruzionismo. Questo è il termine con cui sono chiamati i tentativi, soprattutto dei gruppi parlamentari di opposizione, di rallentare i lavori del Parlamento sfruttando alcune norme particolari del regolamento.

La pausa di riflessione

Adesso, con la terza fase di riforma, la Giunta per il regolamento vuole cercare di “svecchiare” le regole interne della Camera, eliminando norme considerate non più attuali. Una delle regole che i relatori della riforma hanno proposto di cancellare risale a oltre cinquant’anni fa e da tempo fa discutere, perché rallenterebbe troppo i lavori dell’aula senza particolari motivi e, per di più, non è prevista al Senato.

La regola riguarda il modo in cui la Camera vota la questione di fiducia. In base alla Costituzione, un governo «deve avere la fiducia» sia della Camera sia del Senato. In parole semplici, deve ricevere l’appoggio della maggioranza dei deputati e della maggioranza dei senatori. Se questa fiducia viene meno, si può aprire una crisi di governo e, con la sua caduta, la nomina di un nuovo presidente del Consiglio o l’organizzazione di elezioni anticipate. Il governo può porre la fiducia su singoli provvedimenti, e in questo modo i tempi dell’esame di un testo da parte del Parlamento si riducono, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. Come abbiamo spiegato in un altro approfondimento, negli anni i governi italiani hanno sempre più utilizzato la questione di fiducia proprio come “escamotage” tecnico per velocizzare l’esame dei propri provvedimenti.

Il regolamento della Camera prevede che la questione di fiducia sia votata almeno un giorno dopo che il governo l’ha posta e non vale come voto sul provvedimento in esame. In altre parole, dopo che il governo ha posto la fiducia, la Camera deve attendere un giorno prima di votarla, prendendosi una sorta di “pausa di riflessione”. In più il voto sulla questione di fiducia non vale come voto finale sul provvedimento. Dunque, dopo il voto di fiducia i deputati devono votare una seconda volta per approvare davvero un provvedimento. Per esempio, lo scorso 4 agosto, intorno alle 18, il governo ha posto la fiducia alla Camera sul decreto “Economia”, un provvedimento con alcune misure a favore delle imprese. La Camera però non ha potuto votare subito la fiducia, ma ha dovuto attendere ventiquattro ore, ossia le 18 del giorno successivo, per poterlo fare. In seguito, l’aula ha ripreso l’esame degli ordini del giorno collegati al testo del decreto e il 6 agosto è passata al voto finale vero e proprio sul provvedimento. Questa serie di passaggi succedono ogni volta che il governo pone una questione di fiducia su un provvedimento. Al Senato, invece, il procedimento è più veloce, dato che il voto di fiducia corrisponde al voto finale su un provvedimento, e non occorre aspettare almeno un giorno da quando il governo l’ha posto.
Alla Camera il processo che porta al voto di fiducia, e poi al voto finale, è quindi piuttosto farraginoso e da tempo si discute sulla possibilità di eliminare la pausa delle ventiquattro ore, perché considerata anacronistica. «Abbiamo ancora una norma del regolamento che prevede che quando il governo chiede la fiducia, per ventiquattro ore tutte le attività si fermano. I deputati vanno in giro per Roma senza poter far nulla. Retaggio dei tempi in cui si veniva a Roma col calesse da ogni parte del Regno», ha scritto su X il deputato Luigi Marattin, che a ottobre aveva votato contro la seconda parte della riforma del regolamento della Camera.

Quella di Marattin è un iperbole, dato che nelle ore prima del voto sulla questione di fiducia i deputati possono avere tempo per altri impegni istituzionali o per lavorare nelle commissioni. In più, come ha confermato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale all’Università Roma Tre, la regola non risale al Regno d’Italia, ma agli anni Settanta. «La regola delle ventiquattro ore tra l’apposizione della fiducia e il voto è stata introdotta nel regolamento della Camera con la riforma approvata nel 1971. Questa specie di pausa era stata pensata per consentire ai deputati di valutare attentamente il proprio voto, preparare i loro interventi in aula, perché votare la fiducia al governo dovrebbe essere una cosa seria», ha spiegato Celotto.

Le ventiquattro ore di pausa prima del voto di fiducia non sono state invece mai adottate dal Senato, dove il voto di fiducia non richiede tempi di attesa e corrisponde pure al voto finale su un provvedimento.

Una norma anacronistica?

Celotto ha aggiunto comunque che negli anni le ventiquattro ore di pausa per il voto di fiducia alla Camera hanno progressivamente perso il loro significato originario.

«Porre la fiducia mette in gioco la tenuta del governo, lo può far cadere se il Parlamento non la vota. Dovrebbe essere qualcosa di eccezionale. Al contrario, è ormai diventato un gesto tecnico di routine, per velocizzare l’esame dei provvedimenti», ha aggiunto il costituzionalista. Basti pensare che l’Italia è il Paese che vota più fiducie al mondo tra quelli che hanno questo strumento. Finora, il governo Meloni ha posto la fiducia in Parlamento 98 volte (55 alla Camera e 43 al Senato), circa una volta ogni 10 giorni, in linea con i governi precedenti.

Dopo anni di discussione, il 31 luglio scorso i relatori della riforma del regolamento, i deputati Federico Fornaro (PD), Igor Iezzi (Lega) e Angelo Rossi (Fratelli d’Italia) hanno presentato una proposta di riforma del regolamento che chiede, tra le altre cose, di modificare l’articolo 116 del regolamento, per eliminare il termine minimo di ventiquattro ore per il voto di fiducia.

Qualche dubbio

I gruppi parlamentari sono tutti abbastanza d’accordo sulla cancellazione della pausa prima del voto sulla fiducia, ma ci sono stati dei distinguo tra i gruppi di opposizione. «Non abbiamo particolari resistenze in merito, ma pretendiamo che ci siano adeguate compensazioni rispetto alle prerogative delle opposizioni. Ci sarebbe anche un impegno a ridurre l’utilizzo dei decreti-legge e delle fiducie, ma su questo non sono troppo ottimista», ha detto per esempio a Pagella Politica la deputata Francesca Ghirra, rappresentante di Alleanza Verdi-Sinistra nella Giunta per il regolamento.

In altre parole, Ghirra e Alleanza Verdi-Sinistra temono che, con la riduzione dei tempi per il voto sulla fiducia, il governo sia spinto ancora di più ad abusare delle questioni di fiducia e insieme dei decreti-legge. Nella maggior parte dei casi la questione di fiducia è posta dal governo proprio in occasione della conversione in legge di questi provvedimenti. Secondo le verifiche di Pagella Politica, tra le 98 questioni di fiducia poste dal governo Meloni, 93 sono state poste proprio sui decreti-legge. A maggio 2023 il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani aveva dichiarato – durante un intervento al Festival dell’Economia di Trento – che l’obiettivo del governo era «quello di ridurre il numero dei decreti» presentati in Parlamento. Un impegno che, come abbiamo dimostrato in un altro articolo, non è stato mantenuto.
Nella terza fase di riforma del regolamento i relatori hanno inserito alcune proposte per garantire maggiori tutele ai partiti di opposizione. Per esempio una proposta propone di garantire spazi certi nel calendario dei lavori dell’aula per la discussione delle proposte di legge delle opposizioni; un’altra prevede la possibilità di raddoppiare, a determinate condizioni, il numero delle domande che i gruppi di opposizione possono fare ai ministri durante i question time; un’altra ancora stabilisce l’obbligo per il governo di rendere conto alla Camera dell’effettiva attuazione delle mozioni e delle risoluzioni approvate dall’aula. Le mozioni e le risoluzioni sono atti con cui i parlamentari possono chiedere al governo di prendere provvedimenti su determinate questioni, ma non sono vincolanti e, se approvati, il governo non è obbligato a prendere provvedimenti. 

Il percorso per l’approvazione di queste modifiche al regolamento della Camera, così come l’eliminazione della pausa prima del voto di fiducia, è ancora lungo. Come ha spiegato il presidente della Camera Lorenzo Fontana, i deputati che fanno parte della Giunta per il regolamento avranno tempo fino al prossimo 26 settembre per presentare eventuali emendamenti alla nuove proposte di modifica del regolamento. Con tutta probabilità i deputati depositeranno gran parte degli emendamenti ai primi giorni di settembre, quando riprenderanno i lavori parlamentari dopo la pausa estiva. A seguire, il testo della terza riforma del regolamento dovrà essere approvato dalla Giunta e poi dovrà ottenere il via libera dell’aula della Camera.
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