Nella serata di martedì 18 novembre, la Presidenza della Repubblica ha diffuso una nota in risposta alla richiesta di smentite arrivata dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Galeazzo Bignami. La richiesta riguardava l’ipotesi, attribuita dal quotidiano La Verità proprio alla Presidenza della Repubblica, di un piano per ostacolare la vittoria dei partiti di governo alle prossime elezioni.
«Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo», si legge nella nota.
Il 18 novembre, La Verità ha aperto la prima pagina con un articolo intitolato: “Il piano del Quirinale per fermare la Meloni”, scritto dal direttore Maurizio Belpietro. Secondo il quotidiano, a poco più di un anno dalle elezioni del 2027, nel gruppo che circonda l’attuale presidente Sergio Mattarella circolerebbe un piano per impedire a Meloni di concludere il mandato e ricandidarsi. L’unico elemento concreto riportato è il virgolettato attribuito al consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, che avrebbe detto: «Un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone».
Il pezzo sostiene inoltre che tra le ipotesi allo studio ci sarebbe una «grande lista civica nazionale», presentata come «una specie di riedizione dell’Ulivo» per sottrarre consensi alla maggioranza. Il resto della ricostruzione si basa su parallelismi con gli episodi del passato, oltre che su scenari ipotetici, come una nuova crisi finanziaria.
Bignami, riprendendo integralmente queste tesi, ha chiesto una smentita formale alla Presidenza della Repubblica Secondo il capogruppo, la ricostruzione de La Verità, se non smentita «senza indugio», dovrebbe essere considerata fondata.
Come detto, in una nota Mattarella ha definito l’articolo della Verità un «ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo», e si è detto stupito per la richiesta di smentite di Bignami.
Il 19 novembre, in un colloquio con il Corriere della Sera, Garofani ha respinto la ricostruzione de La Verità e si è detto «molto amareggiato» per un attacco che percepisce come diretto a Mattarella attraverso la sua persona. Garofani ha definito la conversazione da cui sarebbero nate le frasi contestate una «chiacchierata in libertà tra amici», e ha detto di non capire quale complotto gli venga attribuito, rivendicando la propria lealtà istituzionale e ricordando di non essere più iscritto a partiti dal 2018 (in passato è stato deputato del Partito Democratico). Garofani ha poi raccontato che Mattarella lo ha rassicurato, invitandolo a restare «sereno».
Sul caso è intervenuto anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, di Fratelli d’Italia. Fazzolari ha chiarito che né Fratelli d’Italia né il governo hanno mai messo in dubbio la lealtà istituzionale del presidente Mattarella, con cui il governo sostiene di avere un rapporto di «totale spirito di collaborazione». Secondo il sottosegretario, la richiesta di Bignami riguardava esclusivamente le frasi attribuite a un consigliere del Quirinale e non costituiva un attacco al capo dello Stato.
«Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo», si legge nella nota.
Il 18 novembre, La Verità ha aperto la prima pagina con un articolo intitolato: “Il piano del Quirinale per fermare la Meloni”, scritto dal direttore Maurizio Belpietro. Secondo il quotidiano, a poco più di un anno dalle elezioni del 2027, nel gruppo che circonda l’attuale presidente Sergio Mattarella circolerebbe un piano per impedire a Meloni di concludere il mandato e ricandidarsi. L’unico elemento concreto riportato è il virgolettato attribuito al consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, che avrebbe detto: «Un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone».
Il pezzo sostiene inoltre che tra le ipotesi allo studio ci sarebbe una «grande lista civica nazionale», presentata come «una specie di riedizione dell’Ulivo» per sottrarre consensi alla maggioranza. Il resto della ricostruzione si basa su parallelismi con gli episodi del passato, oltre che su scenari ipotetici, come una nuova crisi finanziaria.
Bignami, riprendendo integralmente queste tesi, ha chiesto una smentita formale alla Presidenza della Repubblica Secondo il capogruppo, la ricostruzione de La Verità, se non smentita «senza indugio», dovrebbe essere considerata fondata.
Come detto, in una nota Mattarella ha definito l’articolo della Verità un «ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo», e si è detto stupito per la richiesta di smentite di Bignami.
Il 19 novembre, in un colloquio con il Corriere della Sera, Garofani ha respinto la ricostruzione de La Verità e si è detto «molto amareggiato» per un attacco che percepisce come diretto a Mattarella attraverso la sua persona. Garofani ha definito la conversazione da cui sarebbero nate le frasi contestate una «chiacchierata in libertà tra amici», e ha detto di non capire quale complotto gli venga attribuito, rivendicando la propria lealtà istituzionale e ricordando di non essere più iscritto a partiti dal 2018 (in passato è stato deputato del Partito Democratico). Garofani ha poi raccontato che Mattarella lo ha rassicurato, invitandolo a restare «sereno».
Sul caso è intervenuto anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, di Fratelli d’Italia. Fazzolari ha chiarito che né Fratelli d’Italia né il governo hanno mai messo in dubbio la lealtà istituzionale del presidente Mattarella, con cui il governo sostiene di avere un rapporto di «totale spirito di collaborazione». Secondo il sottosegretario, la richiesta di Bignami riguardava esclusivamente le frasi attribuite a un consigliere del Quirinale e non costituiva un attacco al capo dello Stato.