L’Italia è il Paese che vota più fiducie al mondo

È quanto emerge da uno studio pubblicato da un ricercatore dell’Università di Oxford, che ha analizzato l’uso della questione di fiducia da parte dei governi di 14 Stati
La votazione sulla questione di fiducia sul decreto “Pnrr scuola” alla Camera dei deputati, 3 giugno 2025 – Fonte: ANSA/MASSIMO PERCOSSI
La votazione sulla questione di fiducia sul decreto “Pnrr scuola” alla Camera dei deputati, 3 giugno 2025 – Fonte: ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Da quando si è insediato, il governo Meloni ha posto la questione di fiducia 85 volte in Parlamento: in media, una ogni 11 giorni circa. In questo modo, ha ridotto il dibattito parlamentare e la possibilità di modificare provvedimenti importanti, come il recente decreto “Sicurezza”

Negli anni, l’abuso dei voti di fiducia è diventata una prassi per i governi, tanto che in passato la stessa Giorgia Meloni lo criticava quando era all’opposizione. Una volta diventata presidente del Consiglio, però, la leader di Fratelli d’Italia ha seguito la strada dei suoi predecessori. Il suo governo, infatti, è tra quelli che hanno fatto più ricorso alla fiducia, con una frequenza simile a quella del governo Monti (una ogni 7,9 giorni) e del governo Draghi (una ogni 9,7 giorni). 
Il ricorso ai voti di fiducia è diventato talmente diffuso in Italia, che nessun Parlamento al mondo ne approva così tanti. A queste conclusioni è giunta una ricerca, pubblicata il 16 giugno sulla rivista scientifica Parliamentary Affairs, realizzata dal ricercatore Francesco Bromo, della Blavatnik School of Government dell’Università di Oxford.

La fiducia, in breve

L’Italia è una repubblica parlamentare: i cittadini eleggono i deputati e i senatori, ma non il presidente del Consiglio, che riceve l’incarico di formare un governo dal presidente della Repubblica, sulla base delle possibili maggioranze formate dai partiti in Parlamento. 

In base alla Costituzione, un governo «deve avere la fiducia» sia della Camera sia del Senato. In parole semplici, deve ricevere l’appoggio della maggioranza dei deputati e della maggioranza dei senatori. Se questa fiducia viene meno, si può aprire una crisi di governo, con la sua caduta, la nomina di un nuovo presidente del Consiglio o l’organizzazione di elezioni anticipate. 

In base ai regolamenti di Camera e Senato, il governo può porre su singoli provvedimenti – come disegni di legge o decreti-legge – la cosiddetta “questione di fiducia”. In base alla legge n°400 del 1988, che regola il funzionamento del governo, la decisione di porre la fiducia spetta al presidente del Consiglio dei ministri, che deve avere il via libera del Consiglio dei ministri stesso. In seguito, è il ministro per i Rapporti con il Parlamento che annuncia in assemblea la decisione del governo di porre la fiducia. Con la questione di fiducia, i tempi dell’esame del testo da parte del Parlamento si riducono, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. In questo modo, però, il governo rischia di perdere la fiducia di una delle due aule, nel caso in cui non avesse la maggioranza dei voti.

In realtà, la crisi di governo può anche aprirsi se, posta la questione di fiducia, uno dei partiti che sostiene il governo vota in modo diverso dai propri alleati. Per esempio, è quanto successo con il governo Draghi, dopo che ha perso il sostegno del Movimento 5 Stelle durante un voto di fiducia alla Camera su un decreto, poi approvato lo stesso.

Il record italiano

Nel suo studio, Bromo ha evidenziato che l’ampio ricorso al voto di fiducia è una particolarità italiana. Il ricercatore dell’Università di Oxford ha analizzato i numeri in 14 Paesi del mondo, tra cui l’Italia. Tra questi Paesi ci sono anche Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Bulgaria, Australia e Giappone.

L’analisi si è limitata a questi Stati perché prevedono tutti un rapporto di fiducia tra governo e Parlamento, perché ci sono procedure precise che consentono al governo di porre la questione di fiducia, e perché sono gli unici su cui i dati disponibili sono affidabili.

Per ognuno dei 14 Paesi, Bromo ha contato quante questioni di fiducia sono state votate dal 1945 al 2021, solo nelle Camere basse. Nei sistemi parlamentari dove ci sono due Camere – come in Italia – la Camera bassa è l’assemblea principale, mentre la Camera alta rappresenta, di solito, le autonomie locali e ha funzioni diverse dall’altra. Per esempio, in Italia la Camera bassa è la Camera dei deputati, mentre la Camera alta è il Senato. In Francia la Camera bassa è l’Assemblea nazionale, in Germania è il Bundestag, in Spagna è il Congresso dei deputati, nel Regno Unito è la Camera dei Comuni. 

«Ho scelto di considerare soltanto le Camere basse per una questione di omogeneità dell’analisi stessa. In Italia la fiducia può essere infatti posta sia alla Camera che al Senato. Al contrario, in altri Paesi, come Francia, Germania e Spagna, può essere votata solo dalla Camera bassa. Considerare sia la Camera che il Senato non avrebbe quindi portato a un dato omogeneo e affidabile per tutti i Paesi», ha spiegato Bromo a Pagella Politica

La raccolta dei dati è stata fatta in modo diverso da Paese a Paese. «In alcuni casi ho recuperato analisi specifiche sull’uso della fiducia condotte dai Parlamenti, in altri ho dovuto cercare nei resoconti stenografici delle assemblee andando a guardare seduta per seduta. Per l’Italia ho contattato il servizio studi della Camera dei deputati», ha aggiunto il ricercatore. 

Secondo lo studio, tra il 1945 e il 2021 i governi italiani hanno posto la fiducia 365 volte alla Camera. Al secondo posto c’è la Francia, con 129 fiducie, seguita dagli altri Paesi, tutti con numeri molto più bassi di quelli italiani. Al terzo posto, infatti, c’è l’Irlanda con 26 questioni di fiducia, seguita dalla Norvegia, con 23 voti di fiducia, da Regno Unito e Portogallo con 11 voti, mentre la Germania è a cinque e la Spagna a due.

Paese che vai, fiducia che trovi

Insomma, i governi italiani sono stati di gran lunga quelli che hanno fatto il ricorso più frequente alla questione di fiducia, una tendenza che è continuata anche dopo il 2021. L’unicità italiana dipende sia dal modo in cui è regolata la questione di fiducia nei vari Paesi sia da prassi che si sono consolidate nel tempo. 

Per esempio, in Germania la Costituzione
prevede che la questione di fiducia possa essere posta direttamente dal cancelliere – ossia il capo del governo – e che per essere approvata deve ottenere la maggioranza assoluta dei parlamentari del Bundestag. Al contrario, in Italia per il voto di fiducia la Camera e il Senato chiedono la maggioranza semplice dei presenti durante la votazione. In altre parole, in Germania servono i voti della metà più uno di tutti i componenti del Bundestag, senza fare distinzioni tra presenti e assenti, mentre alla Camera italiana bastano i voti della metà più uno dei presenti.

«Il fatto che in Germania serva la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea per confermare la fiducia al governo può essere un deterrente alla richiesta stessa della fiducia da parte dei governi. Più la maggioranza richiesta è alta, più per i governi è un rischio sottoporsi al voto di fiducia», ha spiegato Bromo. 

La Costituzione tedesca prevede poi che, in caso di sfiducia, il cancelliere possa chiedere al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento e andare a nuove elezioni. Se però entro 21 giorni dalla sfiducia il Parlamento riesce a eleggere un nuovo cancelliere, il cancelliere uscente non può più chiedere di sciogliere le camere. «Questo meccanismo ha fatto sì che negli anni i cancellieri tedeschi chiedessero la fiducia solo in casi eccezionali, quando il loro obiettivo era sciogliere il Parlamento e andare a nuove elezioni», ha detto Bromo. Questo è avvenuto di recente, lo scorso dicembre, con l’ex cancelliere Olaf Scholz.

Nel Regno Unito, esistono diversi strumenti per votare la fiducia in Parlamento: ci sono le mozioni di fiducia promosse dal governo, le mozioni di sfiducia promosse dall’opposizione verso il governo, e altre mozioni che, a seconda delle circostanze, possono essere considerate come mozioni di sfiducia o di fiducia. In Spagna, la questione di fiducia può essere chiesta al Congresso dei deputati dal primo ministro, dopo il via libera del governo, ed è un atto slegato da altri provvedimenti, a differenza di quanto avviene in Italia, dove la questione di fiducia è posta su un provvedimento in discussione in uno o in entrambe le aule del Parlamento. 

La Costituzione francese prevede che sia il primo ministro a chiedere la fiducia, su via libera del governo, su un provvedimento in discussione oppure sul programma del governo o su una sua dichiarazione riguardo la politica del governo. A differenza dell’Italia, la fiducia non viene messa ai voti, ma si intende automaticamente approvata, a meno che la maggioranza assoluta dell’Assemblea nazionale (l’equivalente della Camera dei deputati) non presenti e approvi una mozione di sfiducia.

Da De Gasperi a Meloni

La questione di fiducia è stata sfruttata anche dai primi governi, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, ma in modo molto meno frequente rispetto ai governi più recenti.

Nel 1949, il quinto governo guidato da Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana) pose la questione di fiducia alla Camera sul disegno di legge per l’adesione dell’Italia alla NATO. Pochi anni dopo, nel 1953, il sesto governo De Gasperi pose la fiducia alla Camera sulla riforma della legge elettorale, accusata dai partiti all’opposizione di essere troppo generosa verso i vincitori delle elezioni. «All’epoca il voto di fiducia serviva per ricompattare, rinsaldare i partiti che sostenevano la maggioranza di governo, specie nei casi in cui avevano numeri risicati in Parlamento», ha spiegato Bromo.
Il titolo del quotidiano La Stampa sul voto di fiducia chiesto da De Gasperi per la riforma della legge elettorale, 22 gennaio 1953 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Il titolo del quotidiano La Stampa sul voto di fiducia chiesto da De Gasperi per la riforma della legge elettorale, 22 gennaio 1953 – Fonte: Archivio storico La Stampa
Nelle ultime legislature, il ricorso dei governi italiani al voto di fiducia si è fatto sempre più frequente per una questione più tecnica. Quando il governo pone la fiducia su un provvedimento in discussione in Parlamento, tutti gli emendamenti presentati dai partiti decadono. In questo modo velocizza l’esame di un decreto-legge o disegno di legge, e ha la certezza che il testo sia approvato senza ulteriori modifiche. Questo tipo di ricorso alla questione di fiducia è stato confermato da diversi esperti durante un’indagine conoscitiva sulla qualità della legislazione condotta dal Comitato per la legislazione della Camera, tra gennaio 2024 e maggio 2025. 

Lo scorso gennaio, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani (Fratelli d’Italia) ha ammesso che anche il governo Meloni fa uso della fiducia per velocizzare l’esame dei propri provvedimenti. Finora, il governo Meloni ha posto la fiducia 45 volte alla Camera e 40 al Senato. La differenza tra le due aule è spiegata dalle differenze dei regolamenti parlamentari. Alla Camera non è previsto un limite di tempo per discutere i decreti-legge, a differenza del Senato, e per questo il governo usa spesso il voto di fiducia per accelerare l’iter, eliminando gli emendamenti. 

Per ridurre il ricorso alla fiducia, sarebbe necessario riformare i regolamenti parlamentari, ma finora sono stati apportati solo cambiamenti parziali, senza conseguenze sui voti di fiducia.

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