Da quando è in carica il governo di Giorgia Meloni, insediatosi il 22 ottobre 2022, ha posto in Parlamento la questione di fiducia su 15 provvedimenti: in media uno ogni due settimane. La maggior parte di queste fiducie, 12, è stata posta alla Camera, mentre le restanti tre sono state poste al Senato. Con la questione di fiducia il governo velocizza i tempi dell’esame di un progetto di legge da parte del Parlamento, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. In questo modo, però, il governo rischia di perdere la fiducia di una delle due aule, nel caso in cui non avesse la maggioranza dei voti. L’eccessivo ricorso dei governi alle questioni di fiducia è un fenomeno che da tempo caratterizza la politica italiana e in passato è stato criticato più volte da Meloni e da Fratelli d’Italia, quando erano all’opposizione.
Ma perché c’è questa differenza nel numero di questioni di fiducia posto alla Camera rispetto a quello del Senato? A prima vista questo fenomeno può sembrare paradossale: alla Camera il governo può contare sul sostegno di almeno 238 deputati su 400, mentre al Senato su quello di 116 su 206, considerando i senatori a vita. I numeri non sembrano giustificare un ricorso maggiore della questione di fiducia in una camera rispetto a un’altra. In realtà almeno due motivi giustificano il comportamento del governo.
Ma perché c’è questa differenza nel numero di questioni di fiducia posto alla Camera rispetto a quello del Senato? A prima vista questo fenomeno può sembrare paradossale: alla Camera il governo può contare sul sostegno di almeno 238 deputati su 400, mentre al Senato su quello di 116 su 206, considerando i senatori a vita. I numeri non sembrano giustificare un ricorso maggiore della questione di fiducia in una camera rispetto a un’altra. In realtà almeno due motivi giustificano il comportamento del governo.