A metà luglio la Giunta regionale della Sardegna ha approvato una delibera che stabilisce che sarà possibile eseguire l’aborto farmacologico non solo negli ospedali, ma anche nei consultori e, in via sperimentale, a domicilio. A fine luglio anche la Giunta ligure è tornata a parlare di aborto ma, al contrario della Sardegna, ha deciso di non rendere possibile la somministrazione della pillola abortiva a domicilio. Il 21 luglio i consiglieri regionali liguri di Alleanza Verdi-Sinistra Selena Candia e Jan Casella hanno presentato un ordine del giorno per impegnare la giunta «a predisporre una sperimentazione della somministrazione domiciliare del misoprostolo», cioè uno dei farmaci usati nell’aborto farmacologico. Ma l’ordine del giorno è stato respinto.
Liguria e Sardegna, guidate rispettivamente dal centrodestra e dal centrosinistra, sono solo due delle regioni che in materia di aborto hanno deciso in modo diverso: c’è chi ha reso disponibile l’aborto a domicilio, chi l’ha vietato e chi non l’ha vietato ma semplicemente non lo garantisce. La situazione è molto varia, sebbene cinque anni fa il Ministero della Salute ha adottato delle linee guida che dovrebbero disciplinare la materia.
Liguria e Sardegna, guidate rispettivamente dal centrodestra e dal centrosinistra, sono solo due delle regioni che in materia di aborto hanno deciso in modo diverso: c’è chi ha reso disponibile l’aborto a domicilio, chi l’ha vietato e chi non l’ha vietato ma semplicemente non lo garantisce. La situazione è molto varia, sebbene cinque anni fa il Ministero della Salute ha adottato delle linee guida che dovrebbero disciplinare la materia.