La Corte Costituzionale ha detto che la legge toscana sul fine vita è legittima, ma solo in parte

I giudici hanno respinto il ricorso del governo: il provvedimento regionale rimane in vigore, anche se diverse norme dovranno essere riscritte
ANSA
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La Corte Costituzionale ha dichiarato legittima la legge della Toscana che regolamenta la “morte volontaria medicalmente assistita”, più comunemente chiamata “suicidio assistito” o “eutanasia indiretta”, sostenendo però l’incostituzionalità di alcuni articoli.

La legge toscana è stata approvata l’11 febbraio 2025 e ha stabilito che «possono accedere alle procedure relative al suicidio medicalmente assistito le persone in possesso dei requisiti indicati dalle sentenze della Corte Costituzionale 242/2019 e 135/2024». Secondo le due sentenze della Corte Costituzionale, il suicidio assistito è possibile quando la patologia è irreversibile, la persona vive sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, c’è una situazione di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e il paziente ha la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.

A maggio però il governo ha impugnato il provvedimento toscano, sostenendo che invadesse le competenze esclusive dello Stato, oltrepassando quelle della regione.

La Toscana è stata la prima regione a dotarsi di una normativa sul suicidio assistito. Nel 2019 una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato la «non punibilità» di chi, in determinate condizioni, «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile» che è causa di sofferenze «fisiche o psicologiche» intollerabili. Nonostante la sentenza della Corte, a livello nazionale non esiste ancora una legge che disciplini il ricorso al suicidio medicalmente assistito. 

Al momento, c’è una proposta di legge per cui è in corso l’esame nelle commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato, ma per entrare in vigore dovrà prima essere approvata dalle commissioni competenti del Senato, poi dall’aula e, infine, dalla Camera. La legge della Toscana, quindi, si proponeva di colmare la mancanza di una normativa nazionale.

Cosa dice la sentenza della Corte

La Corte Costituzionale ha respinto il ricorso del governo, stabilendo che la legge toscana sul fine vita non è illegittima, aggiungendo però che alcune sue disposizioni violano le competenze dello Stato e quindi devono essere modificate.

Nel complesso, spiegano i giudici, la legge regionale ha una finalità prevalentemente organizzativa. Il fatto che lo Stato non abbia ancora approvato una legge sul suicidio assistito non impedisce alle regioni di intervenire per organizzare i servizi sanitari, purché lo facciano entro i confini fissati dalla Costituzione.

Secondo la Corte, numerose disposizioni della legge regionale «hanno però illegittimamente invaso sfere di competenza riservate alla legislazione statale». In particolare, i giudici hanno dichiarato incostituzionale l’articolo 2, che individua i requisiti per l’accesso al suicidio assistito facendo riferimento alle due sentenze della Corte Costituzionale in materia. Per i giudici è illegittimo perché «viola la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale». Alle regioni, infatti, non è permesso «cristallizzare nelle proprie disposizioni princìpi ordinamentali affermati» dalla Corte.

I giudici hanno poi censurato alcune scelte procedurali della legge toscana. È stato ritenuto illegittimo, ad esempio, consentire che la richiesta di accesso al suicidio assistito sia presentata da un delegato del paziente, perché questa possibilità vìola le disposizioni della legge n. 219 del 2017 sul consenso informato e sul rapporto diretto tra medico e paziente.

Sono stati anche dichiarati incostituzionali gli articoli che imponevano termini particolarmente stringenti per la verifica dei requisiti e per la definizione delle modalità di attuazione della procedura. Pur riconoscendo la necessità di una presa in carico tempestiva delle richieste, la Corte sostiene che «questa disciplina invada la competenza statale in materia di ordinamento civile, in quanto coinvolge scelte che necessitano di uniformità di trattamento sul territorio nazionale». Inoltre, imporre tempi così rigidi è in contrasto «con i principi fondamentali desumibili dalla legge numero 219 del 2017», che prevede la possibilità di svolgere tutti gli approfondimenti clinici e diagnostici anche attraverso la somministrazione di cure palliative, al fine di ridurre le domande di suicidio assistito.

Un’altra parte centrale della bocciatura riguarda il ruolo attribuito alle aziende sanitarie locali (ASL). La legge toscana impegnava le ASL ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico e l’assistenza sanitaria alla preparazione dell’autosomministrazione del farmaco. Secondo la Corte, questa disciplina invade la competenza concorrente in materia di tutela della salute. 

I giudici hanno inoltre ritenuto improprio il riferimento della legge toscana a un ulteriore “livello di assistenza sanitaria”, perché la definizione dei livelli essenziali di assistenza spetta esclusivamente allo Stato. Anche la previsione secondo cui il trattamento potrebbe essere sospeso o annullato è stata giudicata incostituzionale, dal momento che nel suicidio medicalmente assistito non c’è un trattamento sanitario in senso proprio – come ad esempio nell’eutanasia attiva, che prevede l’intervento di una terza persona sul paziente per causarne la morte – ma l’assistenza del personale sanitario a una persona che compie autonomamente l’atto che ne causa la morte.

Restano invece valide le altre disposizioni della legge regionale, nella misura in cui si limitano a profili organizzativi e procedurali compatibili con il quadro costituzionale. Secondo la Corte, quindi, il fatto che il Parlamento non abbia ancora approvato una legge nazionale sul suicidio assistito non impedisce alle regioni di adottare norme di tipo organizzativo e procedurale, purché però non invadano le competenze dello Stato.

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