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Mozione di sfiducia

In base ai regolamenti parlamentari i partiti dell’opposizione, ma anche quelli della maggioranza, possono presentare le cosiddette “mozioni di fiducia” o di “sfiducia” nei confronti dell’intero governo o di singoli ministri. Se la fiducia (vedi: Fiducia) all’esecutivo non viene rinnovata, il presidente del Consiglio rimette il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica, che a quel punto può verificare con uno o più giri di consultazioni se esistono o meno maggioranze alternative in Parlamento, ed eventualmente sciogliere le camere per indire nuove elezioni. In base ai regolamenti della Camera e del Senato, le mozioni di sfiducia devono essere motivate e sottoscritte da almeno un decimo dei componenti dell’aula, ossia da 40 deputati e da 21 senatori. Inoltre non possono essere discusse prima di tre giorni dalla presentazione e sono votate per appello nominale.

Un governo può cadere senza che la mozione di sfiducia venga effettivamente votata. Il 20 agosto 2019, per esempio, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sostenuto da Movimento 5 stelle e Lega, ha rassegnato le sue dimissioni nonostante il partito di Matteo Salvini avesse ritirato la mozione di sfiducia presentata in Parlamento qualche giorno prima.

Nella storia repubblicana italiana, nessun governo è mai caduto a causa di una votazione di sfiducia. In passato solo due governi, entrambi guidati da Romano Prodi e a distanza di 10 anni, sono caduti per il mancato voto di fiducia su risoluzioni per approvare le comunicazioni del presidente del Consiglio, che non erano però vere e proprie mozioni di sfiducia.
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