La Camera ha cambiato il suo regolamento, ma i problemi restano

Nonostante una seconda modifica delle regole, è già in programma una terza riforma: varie questioni non sono state risolte
Ansa
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Il taglio dei parlamentari approvato nel 2020 ha reso necessarie alcune modifiche ai regolamenti di Camera e Senato, che dovevano aggiornare il loro funzionamento al numero ridotto di componenti delle due assemblee e delle singole commissioni. Se al Senato questo è già stato fatto alla fine della scorsa legislatura, da quattro anni la Camera è alle prese con la riforma del suo regolamento interno, che sta procedendo lentamente. 

Il 16 ottobre la Camera ha approvato la seconda serie di modifiche alle proprie regole interne a quasi due anni di distanza dall’approvazione della prima parte. A novembre 2022, infatti, la Camera aveva dato il via libera all’abbassamento delle soglie necessarie per alcune votazioni per via della riduzione dei deputati da 630 a 400. In seguito è iniziata la seconda fase del processo di riforma, che si è conclusa questa settimana, riducendo i tempi previsti per alcuni lavori dell’aula, nel tentativo di limitare il fenomeno dell’ostruzionismo. Nonostante questo secondo cambiamento, però, varie questioni rimangono irrisolte.

Il percorso che ha portato al via libera di questa seconda parte della riforma del regolamento della Camera è stato lungo e piuttosto accidentato. Due anni fa il deputato del Partito Democratico Federico Fornaro, uno dei due relatori delle modifiche dei regolamenti, aveva detto a Pagella Politica che la seconda riforma del regolamento poteva essere approvata entro la fine del 2023, ma alla fine è servito un anno in più. I motivi riguardano sia la mole di provvedimenti che la Camera ha dovuto esaminare, e che non hanno consentito alla Giunta per il regolamento di riunirsi con regolarità, sia alcune contrapposizioni tra i partiti sui contenuti della riforma del regolamento. Queste contrapposizioni sono emerse anche durante il voto definitivo in aula questa settimana. In generale, i punti in sospeso sono molti e secondo i relatori della riforma dovranno essere affrontati in una terza fase di modifica.

Il contenuto della riforma

Il testo della riforma del regolamento della Camera è stato presentato il 24 gennaio dai suoi relatori, il deputato della Lega Igor Giancarlo Iezzi e il deputato del PD Fornaro. In seguito il testo è stato esaminato dalla Giunta per il regolamento, che è l’organo della Camera che si occupa delle questioni legate al funzionamento interno dell’assemblea e la cui composizione rispecchia in proporzione i gruppi all’interno dell’aula.

Durante l’esame della Giunta, il testo di Fornaro e Iezzi è stato modificato con alcuni emendamenti e il 16 ottobre è stato approvato dall’aula con 235 voti favorevoli, 37 astenuti e due contrari. Tutti i gruppi principali della Camera hanno votato a favore, tranne il Movimento 5 Stelle che si è astenuto. Il deputato del gruppo Misto Luigi Marattin, da poco uscito da Italia Viva, ha espresso voto contrario, così come il deputato di Sud Chiama Nord Francesco Gallo. Il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, invece, è tra quelli che non hanno partecipato alla votazione, data la sua contrarietà al metodo della riforma (su questo ci torneremo più avanti). 

La seconda riforma del regolamento della Camera ha previsto la riduzione del tempo per l’intervento dei deputati nelle discussioni da trenta minuti a un massimo di dieci minuti, garantendo comunque la possibilità di interventi di 30 minuti per la discussione di mozioni di fiducia o sfiducia al governo e le discussioni su progetti di riforma costituzionale. Anche i tempi di intervento nelle discussioni generali dei provvedimenti, ossia le discussioni iniziali, sono stati ridotti da venti a dieci minuti massimo. 

Il testo della riforma prevede poi una limitazione alla possibilità per i deputati di intervenire quando si discute degli articoli e degli emendamenti a una proposta di legge. A oggi infatti il regolamento stabilisce che durante queste discussioni ogni deputato può intervenire al massimo una volta per venti minuti, mentre la riforma punta a ridurre gli interventi a massimo uno per gruppo parlamentare, e per non più di dieci minuti. Il testo prevede poi alcune limitazioni per gli ordini del giorno, ossia gli atti che i parlamentari presentano per chiedere al governo di intervenire su una determinata questione. Quando vengono presentati, gli ordini del giorno devono essere discussi e votati, sebbene non siano vincolanti per il governo. Su questo tema la riforma stabilisce che il testo degli ordini del giorno dovrà «essere formulato secondo principi di concisione, essenzialità e chiarezza e recante istruzioni o impegni al governo in relazione a specifiche disposizioni della legge in esame». 

Le modifiche possono sembrare di carattere tecnico, ma in realtà  potrebbero avere una ricaduta significativa sui lavori della Camera, dato che limitano i principali strumenti con cui l’opposizione fa di solito ostruzionismo, tentando di allungare il più possibile i tempi dei lavori dell’aula. Stiamo parlando appunto degli interventi nelle discussioni, degli emendamenti e degli ordini del giorno.
Immagine 1. Il deputato del PD Federico Fornaro con la capogruppo Chiara Braga alla Camera – Fonte: Ansa
Immagine 1. Il deputato del PD Federico Fornaro con la capogruppo Chiara Braga alla Camera – Fonte: Ansa

I tempi della fiducia

Durante l’esame in Giunta per il regolamento e poi in aula, alcuni deputati hanno espresso contrarietà rispetto alle modifiche introdotte, ritenendole non sufficienti. 

Per esempio Giachetti ha lamentato il fatto che la nuova riforma del regolamento non ha eliminato una regola, da lui considerata ormai vecchia, riguardante i voti di fiducia. Il regolamento della Camera prevede infatti che la questione di fiducia può essere votata almeno un giorno dopo che il governo l’ha posta e non vale come voto sul provvedimento in esame. In altre parole, dopo il voto sulla fiducia è necessaria un’altra votazione per approvare il testo. Al Senato, invece, il procedimento è più veloce, dato che il voto di fiducia corrisponde al voto sul provvedimento, e non occorre aspettare almeno un giorno da quando il governo l’ha posto. «Alla Camera abbiamo ancora una norma del regolamento che prevede che quando il governo chiede la fiducia, per 24 ore tutte le attività si fermano. I deputati vanno in giro per Roma senza poter far nulla. Retaggio dei tempi in cui si veniva a Roma col calesse da ogni parte del Regno», ha scritto su X Marattin, che ha votato contro la riforma del regolamento.

Quella di Marattin è un iperbole, dato che nelle ore prima del voto sulla questione di fiducia i deputati possono comunque avere tempo per altri impegni istituzionali o iniziative. In ogni caso, è vero che la regola in vigore alla Camera sulla questione di fiducia è vecchia. «La pausa tra un voto è stata concepita decenni fa perché la questione di fiducia dovrebbe essere cosa seria, dato che si chiede al Parlamento di confermare il sostegno al governo. In origine, quindi, questa regola era stata pensata per dare una pausa di riflessione ai deputati e per consentire loro gli spostamenti verso Roma, dato che un tempo i mezzi di trasporto non erano quelli di adesso. Ma oggi questa regola ha perso di senso», ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre.

Gli ordini del giorno

Seppur favorevole alla riforma, il deputato di Azione Antonio D’Alessio considera necessario un intervento maggiore sugli ordini del giorno. Come detto, la presentazione di decine di ordini del giorno è il metodo con cui spesso l’opposizione cerca di fare ostruzionismo nei confronti della maggioranza. 

Allo stesso tempo, gli ordini del giorno non sono atti vincolanti: con questi strumenti i parlamentari chiedono al governo di intervenire su una determinata materia, ma non lo obbligano in alcun modo. D’Alessio ha suggerito di introdurre la possibilità per i deputati di chiedere conto al governo su che cosa ha fatto effettivamente per mettere in pratica gli ordini del giorno approvati alla Camera. In particolare, il deputato di Azione ha proposto che i deputati possano chiedere al governo, entro tre mesi dall’approvazione di un ordine del giorno, se lo ha attuato o meno.
Immagine 2. Il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti – Fonte: Ansa
Immagine 2. Il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti – Fonte: Ansa

Le quote per le proposte dei parlamentari

In aula il Movimento 5 Stelle, che si è astenuto sul voto alla riforma, ha chiesto invece di aumentare la quota di proposte di legge dei parlamentari nella programmazione dei lavori della Camera. 

In particolare, la deputata Valentina D’Orso, rappresentante del partito di Giuseppe Conte in Giunta per il regolamento, ha chiesto di aumentare questa quota da un quinto a un terzo del calendario dei lavori. Secondo D’Orso i lavori del Parlamento sono troppo concentrati nell’esame dei decreti-legge del governo. Come abbiamo spiegato in passato, il crescente ricorso ai decreti-legge da parte del governo è un fenomeno in corso da anni e comporta una compressione dei tempi dell’attività parlamentare. Una volta approvati dal governo – in teoria, solo in casi di necessità e urgenza – i decreti entrano subito in vigore, ma devono essere convertiti in legge, anche con modifiche, dalla Camera e dal Senato entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Altrimenti decadono.

La richiesta del Movimento 5 Stelle è stata comunque respinta dall’aula. I relatori Fornaro e Iezzi hanno spiegato infatti che è in programma una terza fase di riforma del regolamento in cui saranno affrontate tutte le questioni rimaste in sospeso, dalla questioni di fiducia agli ordini del giorno, fino alle quote di proposte di legge riservate ai deputati. L’inizio della discussione in Giunta per il regolamento della terza fase di riforma è in programma per il 23 ottobre, alle ore 13:30. 

Non è chiaro se nella terza fase di riforma saranno affrontate altre due questioni, che non sono state toccate finora: la limitazione del cosiddetto “trasformismo parlamentare”, ossia dei parlamentari che cambiano partito, e l’inserimento del codice di condotta dei deputati nel regolamento della Camera. Per quanto riguarda il trasformismo, il Senato ha già approvato alcune penalizzazioni per i senatori che cambiano gruppo parlamentare, in occasione della riforma del regolamento interno, che si è conclusa già nella scorsa legislatura. Per quanto riguarda il secondo aspetto, la Camera si è dotata di un codice di comportamento e di trasparenza per i deputati nel 2016, ma non è mai stato inserito nel regolamento interno a tutti gli effetti, e per questo le sue regole rimangono in parte non vincolanti.

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