Il Parlamento approva una legge dietro l’altra, ma non è per forza un bene

Durante il governo Meloni, la Camera e il Senato hanno approvato un provvedimento ogni sei giorni. Continuano a pesare i decreti-legge e le questioni di fiducia
Ansa
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Il governo Meloni è in carica da oltre 20 mesi e nel corso di questa legislatura il Parlamento ha già approvato più di cento leggi. In media è stata approvata una legge ogni sei giorni circa, la velocità più alta tra quelle dei governi degli ultimi dieci anni. 

Si potrebbe pensare che questo sia un segnale positivo: se la Camera e il Senato lavorano speditamente, significa che riescono a incidere con efficacia sulla vita politica del Paese. In realtà, al di là delle legittime posizioni politiche, non è così. Abbiamo parlato con esperti e politici, sia dei partiti di maggioranza sia dei partiti all’opposizione, e il quadro che emerge è meno positivo di quello che sembra ed è il risultato di dinamiche in corso da tempo.

Un po’ di numeri

Dall’insediamento del governo Meloni, ossia dal 22 ottobre 2022, secondo le nostre verifiche il Parlamento ha approvato in via definitiva 101 leggi. Tra queste, abbiamo conteggiato le leggi presentate dai parlamentari e da esponenti del governo, e quelle con cui sono stati convertiti in legge i decreti-legge approvati dal governo. Dal conteggio abbiamo escluso invece le leggi con cui il Parlamento ha ratificato i trattati internazionali, visto che attuano accordi tra l’Italia e altri Stati, più che proporre nuovi provvedimenti.

La maggioranza che in Parlamento sostiene l’attuale governo – formata da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati – è la più “prolifica” degli ultimi dieci anni, seppure con un distacco minimo. Secondo le nostre verifiche, sotto il governo Draghi il Parlamento aveva approvato in media una legge alla settimana, a fronte della media di una legge approvata ogni dieci giorni circa registrata nei precedenti due governi, entrambi guidati da Giuseppe Conte.
Abbiamo cercato di capire quali sono i fattori dietro all’alta produttività dell’attuale Parlamento: c’entrano i decreti-legge presentati dal governo, il ricorso alle questioni di fiducia e le differenze tra i regolamenti di Camera e Senato.

Il ruolo dei decreti-legge

Secondo diversi deputati con cui abbiamo parlato, l’aumento del numero di leggi approvate in questa legislatura è dovuto soprattutto al ricorso ai decreti-legge. «A mio parere questi dati dimostrano il sintomo dell’estremizzazione di una tendenza che purtroppo è in atto da anni, ossia l’abuso da parte dei governi dei decreti-legge, che obbligano il Parlamento a velocizzare i tempi dell’esame, pena la loro decadenza», ha detto a Pagella Politica il senatore del Partito Democratico Antonio Misiani, già viceministro dell’Economia del secondo governo Conte, con una lunga esperienza da parlamentare iniziata nel 2006. Una volta approvati dal governo – in teoria, solo in casi di necessità e urgenza – i decreti entrano subito in vigore, ma devono essere convertiti in legge, anche con modifiche, dalla Camera e dal Senato entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Altrimenti decadono.

In base alle nostre verifiche, finora il governo Meloni ha presentato in Parlamento 64 decreti-legge: uno ogni dieci giorni circa [1]. Tra questi, sono stati convertiti definitivamente in legge 52 decreti (i rimanenti o sono in corso di approvazione, sono decaduti o assorbiti da altri decreti), che corrispondono al 51 per cento dell’intera produzione di leggi del Parlamento. Detta altrimenti, oltre la metà delle leggi approvate durante il governo Meloni è composta da decreti convertiti in legge.
Nella scorsa legislatura il governo Draghi ha presentato 56 decreti-legge in Parlamento, uno ogni 11 giorni. Ne sono stati convertiti in legge 47, un numero pari al 49 per cento di tutte le leggi approvate dal Parlamento. Dunque, la percentuale del governo Meloni è un po’ più alta di quella del governo Draghi, ma non è la più alta degli ultimi governi. Sotto il secondo governo Conte, infatti, il 68 per cento delle leggi approvate dal Parlamento è stato il risultato della conversione in legge di decreti. Questa percentuale è spiegata in parte dalla pandemia di Covid-19, dato che le percentuali dei governi precedenti sono state più basse: 45 per cento durante il primo governo Conte, 20 per cento durante il governo Gentiloni e 37 per cento durante il governo Renzi.

Le questioni di fiducia

Il continuo ricorso alle questioni di fiducia è un altro fattore che ha contribuito a velocizzare l’approvazione delle leggi da parte del Parlamento. Quando il governo pone la questione di fiducia sul voto di una legge, le aule di Camera e Senato non possono proporre modifiche al testo. In questo modo il governo evita rallentamenti dell’esame della legge e ne velocizza l’approvazione, correndo comunque un rischio (quasi sempre remoto): se Camera o Senato non approvano la fiducia su una legge, anche il governo perde la fiducia del Parlamento e rischia così di cadere. 

Da tempo i governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia ricorrono spesso alle questioni di fiducia, e finora il governo Meloni non è stato da meno, nonostante in passato la stessa leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni abbia criticato questa usanza.

In base alle nostre verifiche, dal 22 ottobre 2022 a oggi il governo Meloni ha posto in media una questione di fiducia ogni 11 giorni circa. In precedenza, nei giorni in cui è rimasto effettivamente in carica, il governo Draghi ha posto in media una fiducia ogni 9,5 giorni, dunque più spesso del governo Meloni. Al terzo posto c’è il secondo governo Conte, con una fiducia ogni 13 giorni, seguito dal governo Gentiloni (una ogni 14,6 giorni) e dal governo Renzi (una ogni 15 giorni). Il governo Letta ha usato la fiducia circa una volta al mese, così come il primo governo Conte.
Sia nella conversione in legge dei decreti sia nell’approvazione delle altre leggi si continua a verificare poi un fenomeno che prende il nome di “monocameralismo alternato”. Vediamo come funziona con un esempio. Il 29 dicembre 2023 il Parlamento ha approvato definitivamente la legge di Bilancio per il 2024, dopo un esame parlamentare durato due mesi. La Camera, da dove è iniziata la discussione della legge, ha esaminato il testo per 53 giorni, mentre il Senato ha avuto solo una settimana di tempo per approvarla, di fatto obbligato ad approvare senza modifiche quanto deciso dall’altro ramo del Parlamento. 

Questa prassi è ormai consolidata da diversi anni ed è dovuta al fatto che i governi presentano spesso in ritardo la legge di Bilancio in Parlamento e, siccome questa legge deve essere approvata entro il 31 dicembre, la seconda camera che la esamina non ha tempo per votare modifiche. Lo stesso discorso vale per la conversione in legge dei decreti-legge, che come detto hanno 60 giorni di tempo per essere approvati definitivamente. La camera dove inizia l’esame di una legge ha così più potere dell’altra, nonostante il nostro sistema parlamentare sia un bicameralismo perfetto, dove ogni legge deve essere approvata nello stesso testo da Camera e Senato.  

C’è un’ulteriore particolarità da considerare. Durante il governo Meloni la maggior parte delle fiducie è stata chiesta alla Camera: qui il regolamento permette ai deputati dell’opposizione di rallentare l’esame dei provvedimenti facendo ostruzionismo. Al Senato, invece, la recente riforma del regolamento ha permesso all’aula di esaminare i decreti e le proposte di legge in tempi più brevi.

Il ruolo del Parlamento

Quindi la velocizzazione dei lavori parlamentari, almeno al Senato, non è dovuta solo a fenomeni anomali – ormai diventati abituali – come l’abuso dei decreti-legge e delle questioni di fiducia. «Da noi al Senato il lavoro è stato velocizzato con la modifica del regolamento interno, necessaria dopo la riforma del taglio del numero dei parlamentari», ha raccontato il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, parlamentare della Lega ed ex ministro dell’Agricoltura.

La riforma del regolamento del Senato è stata approvata a luglio 2022 per tenere in considerazione gli effetti del taglio dei parlamentari, e in particolare la riduzione del numero dei senatori da 315 a 200. Per esempio il numero delle commissioni parlamentari, dove le leggi sono esaminate prima di andare in aula, è sceso da 14 a dieci, sono state ricalcolate alcune soglie numeriche per le votazioni e sono state introdotte alcune norme per scoraggiare i cambi dei parlamentari da un gruppo all’altro. In più il nuovo regolamento prevede la possibilità per i capigruppo di stabilire il termine massimo entro cui i disegni di legge devono essere votati dall’aula.
Immagine 1. Il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio – Fonte: Ansa
Immagine 1. Il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio – Fonte: Ansa
La riforma del regolamento della Camera non è invece ancora stata completata. L’ultima volta che la Giunta del regolamento della Camera si è riunita per esaminare la riforma è stata lo scorso 10 aprile.

Quantità non vuol dire qualità

Al netto dei dati, secondo gli esperti la velocizzazione dei tempi di approvazione delle leggi e l’aumento della produzione normativa non sono per forza cose positive. «Il numero di leggi in sé non è né negativo né positivo: non è chiaramente indicatore di una maggiore efficienza né tantomeno di una qualità superiore delle norme approvate», ha spiegato a Pagella Politica Gianluca Passarelli, professore di Scienza Politica all’Università Sapienza di Roma. 

Secondo Passarelli il fatto che ci siano sempre più leggi di iniziativa governativa può essere «un buon segno, dato che è il governo l’attore politico che produce le leggi in base alla proposta politica espressa in campagna elettorale». Allo stesso tempo, però, quello che non va bene è il tipo di norma che viene approvata. «Oltre al massiccio ricorso ai decreti-legge cosiddetti “omnibus”, che contengono misure in settori molto distanti tra loro, nell’ultimo periodo stiamo assistendo alla tendenza del governo ad approvare decreti-legge che intervengono su ambiti più ristretti. Questo non fa altro che ingolfare il Parlamento, perché gli argomenti vengono spacchettati in più decreti, che si aggiungono all’esame degli altri provvedimenti», ha spiegato a Pagella Politica Marco Valbruzzi, professore di Scienza Politica all’Università di Napoli. 

Gli esempi di decreti-legge approvati di recente dal governo su singole materie sono diversi: il decreto “Salva casa”, voluto dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini per sanare una serie di irregolarità edilizie, e approvato il 24 maggio; il decreto-legge per la riduzione delle liste d’attesa approvato l’11 giugno; e il decreto-legge per garantire l’approvvigionamento delle cosiddette “materie prime critiche”, ossia i materiali per la costruzione di pannelli solari e turbine eoliche, approvato il 20 giugno. Questi decreti-legge specifici si sono aggiunti all’elenco degli altri decreti già all’esame della Camera e del Senato e da convertire in tempi brevi. Basti pensare che nel calendario di luglio della Camera è in programma al momento la conversione in legge di sette decreti, e lo stesso vale per il Senato. «È proprio una questione di istinto di sopravvivenza: l’unico modo per riuscire a convertire tutti questi decreti-legge in scadenza è ridurre al minimo i tempi di approvazione dei disegni di legge di iniziativa parlamentare», ha commentato Valbruzzi. 

In ogni caso, da esponente della maggioranza, anche Centinaio ha riconosciuto che l’eccesso al ricorso ai decreti-legge è un problema. «Se dobbiamo fare un ragionamento di prospettiva sul futuro delle nostre istituzioni, penso che la sfida sia dare maggiore risalto alle proposte di deputati e senatori, che sono tante, ma pochissime vengono esaminate davvero. I decreti-legge sono legittimi, ci mancherebbe, ma in casi di necessità e urgenza. Altrimenti rischiamo che Camera e Senato diventino dei semplici ratificatori», ha detto il vicepresidente del Senato, in Parlamento dal 2013.
Immagine 2. Il leader della Lega Matteo Salvini presenta gli emendamenti del suo partito al decreto "Salva casa" – Fonte: Ansa
Immagine 2. Il leader della Lega Matteo Salvini presenta gli emendamenti del suo partito al decreto "Salva casa" – Fonte: Ansa
Ricapitolando: la maggioranza parlamentare attuale è la più veloce della storia recente e finora la sua produzione normativa è superiore rispetto a quanto fatto dalle altre maggioranze negli ultimi dieci anni. I motivi dietro questa velocità del Parlamento sono principalmente il frequente ricorso ai decreti-legge, un fenomeno in atto da anni nella politica italiana; il frequente ricorso ai voti di fiducia per velocizzare l’esame dei provvedimenti, una pratica anche questa diffusa da anni; e la riforma del regolamento del Senato, approvata alla fine della scorsa legislatura.

Lo svilimento del ruolo dei parlamentari

Insomma, oltre a vedersi ridotta la possibilità di proporre e far passare leggi di loro iniziativa, deputati e senatori stanno perdendo anche la possibilità di incidere sui provvedimenti attraverso l’esame nelle commissioni. Come ha accennato Centinaio, in un contesto del genere il ruolo dei parlamentari rischia sempre più di essere ridotto a quello di semplici ratificatori dei provvedimenti approvati dal governo. Secondo Passarelli, se il Parlamento continua a lavorare in questo modo «non fa quello che dovrebbe fare in realtà un’assemblea parlamentare, ossia informare, approfondire, discutere e controllare l’agenda legislativa, ma è costretta a fornire solo una sorta di timbratura, mettere il timbro sulle normative derivanti o provenienti dal governo». 

Per Passarelli questa situazione svilisce soprattutto gli stessi parlamentari della maggioranza: «Il governo, per dare quest’idea un po’ muscolare del fatto che va spedito, che è unito e compatto, di fatto trascura l’attività dei suoi parlamentari che forse un po’ si annoiano, dato che stanno lì a schiacciare il tasto verde durante le votazioni e poco altro, senza avere la possibilità di incidere sui provvedimenti a causa dei tempi sempre ristretti». Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, questo svilimento del ruolo dei parlamentari, sia della maggioranza sia dell’opposizione, si manifesta in particolare sulle proposte di legge rivolte ai territori e alle comunità locali. Nella maggior parte dei casi queste proposte non iniziano nemmeno l’esame in commissione, e per questo i parlamentari sono costretti a presentarle sotto forma di emendamenti a disegni di legge o decreti del governo. 

Secondo gli esperti, le cause del «depauperamento del Parlamento» – come l’ha definito Passarelli – non sono comunque da ricercare solo nella volontà del governo di controllare il processo legislativo. «Queste tendenze vengono acuite dall’assenza di coordinamento nell’approvazione normativa, che provoca storture come quella serie di decreti-legge che andranno approvati uno dietro l’altro nei prossimi mesi», ha detto Valbruzzi. «La responsabilità secondo me è dei presidenti delle camere e dei capigruppo di maggioranza, che producono un calendario dei lavori del tutto ingovernabile e che può essere gestito solo stringendo i tempi e chiedendo una calendarizzazione lampo di ogni singolo provvedimento».

Ma in un sistema simile, dove le discussioni sui provvedimenti sono spesso quasi inesistenti, quali sono le possibilità per i partiti di opposizione di incidere sull’attività legislativa? «Se l’opposizione non può essere parlamentare allora deve essere extraparlamentare», ha spiegato Valbruzzi, secondo cui dal momento che l’opposizione non può essere incisiva sul piano parlamentare dovrebbe provare a esserlo all’esterno, nell’opinione pubblica, nei mezzi di comunicazione e tramite i social network. «Oggi purtroppo il Parlamento non consente all’opposizione di svolgere a pieno il proprio lavoro di freno a livello istituzionale, di emendamento, di controllo, e se vogliamo anche di fact-checking nei confronti dell’azione legislativa del governo».

***

[1] Nell’elenco è compreso il decreto-legge contro il sovraffollamento delle carceri approvato dal Consiglio dei ministri il 3 luglio, e non ancora presentato al Parlamento per la conversione in legge.

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