Gli emendamenti sono l’ultima “battaglia” dei parlamentari

Le modifiche ai decreti-legge sono ormai diventate l’occasione principale per deputati e senatori di incidere sull’attività legislativa
Ansa
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Da anni una parte sempre più importante dell’attività dei parlamentari si concentra sull’esame dei decreti-legge, provvedimenti che sono presentati dal governo e che devono essere convertiti in legge da Camera e Senato entro due mesi. Per esempio in questa legislatura, iniziata a ottobre 2022, il Parlamento ha convertito in legge 42 decreti, mentre le leggi approvate dopo essere state presentate da deputati o senatori sono state 22.

Questo squilibrio tra i poteri del governo e del Parlamento ha fatto sì che gli emendamenti ai decreti siano diventati una delle poche opportunità per i parlamentari e per i partiti di incidere sull’attività legislativa. In particolare il luogo dove si consumano periodicamente le “battaglie” sugli emendamenti, ossia sulle modifiche da apportare ai decreti prima della loro conversione in legge, sono le commissioni parlamentari. Queste infatti sono piccole assemblee che esaminano i disegni di legge prima che arrivino in aula. È qui che i parlamentari giocano un ruolo centrale per portare avanti le proposte dei loro partiti di appartenenza.

Lo strumento del “Milleproroghe”

Uno dei provvedimenti su cui i parlamentari possono incidere di più con i loro emendamenti è il cosiddetto “decreto Milleproroghe”. Questo è un provvedimento con cui almeno una volta all’anno, di solito a dicembre, i governi prorogano alcune leggi in scadenza o rinviano l’entrata in vigore di alcune norme. Il decreto “Milleproroghe” è ormai diventato una prassi della politica italiana e, come suggerisce il nome, affronta al suo interno temi molto diversi tra loro. Come tutti i decreti-legge, una volta approvato dal governo il decreto “Milleproroghe” passa al Parlamento: qui, nel passaggio tra la Camera e il Senato, il testo subisce di solito varie modifiche, frutto degli emendamenti dei parlamentari, e viene poi convertito in legge in una forma diversa da quella iniziale. Il nuovo decreto “Milleproroghe” è stato approvato dal governo Meloni lo scorso 28 dicembre e al momento è all’esame delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera.  

Nel corso della precedente legislatura, quella tra il 2018 e il 2022, gli emendamenti parlamentari ai decreti “Milleproroghe” hanno introdotto importanti misure. Un esempio è il “bonus psicologo”, ossia l’aiuto per i cittadini che fanno ricorso a sedute di psicoterapia. Il bonus è stato introdotto a febbraio 2022 con un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto “Milleproroghe” presentato in Parlamento a fine dicembre 2021 dal governo Draghi. «Quello è stato il caso di un emendamento che ha avuto una strana sorte: sembrava morto, risuscitato dall’indignazione della rete e da un po’ di attenzione comunicativa e, infine, passato in un provvedimento un po’ spurio», ha raccontato a Pagella Politica il senatore del Partito Democratico Filippo Sensi, all’epoca deputato e primo firmatario dell’emendamento. Sensi ha ricordato come la “battaglia” parlamentare sul tema fosse iniziata già durante l’esame in Senato della legge di Bilancio per il 2022, con un emendamento su cui «c’era convergenza ampia tra forze di minoranza e maggioranza». La proposta di modifica alla fine però non fu approvata. «Da lì è partita una campagna sui social, soprattutto tra i più giovani, di delusione e amarezza sul tema della salute mentale. Alla Camera abbiamo quindi riproposto il bonus psicologo nel primo provvedimento utile, il “Milleproroghe”, e l’emendamento è stato approvato», ha raccontato Sensi.

Tempi certi e svolte inaspettate

A differenza della proposta di legge, i cui tempi di esame in Parlamento non sono certi, il decreto-legge ha il vantaggio di avere una scadenza stabilita: va convertito in legge entro 60 giorni dall’approvazione del governo, altrimenti i suoi effetti decadono. Questo aspetto è tenuto bene a mente da deputati e senatori, che approfittano dei decreti per inserire proposte che altrimenti verrebbero poco considerate.

«Nel momento in cui la quasi totalità della produzione normativa è in mano al governo attraverso la decretazione d’urgenza la discussione degli emendamenti resta l’unico momento in cui si possono tentare delle piccole o grandi riforme», ha spiegato il segretario di Più Europa Riccardo Magi, deputato e membro della Commissione Affari costituzionali. Secondo Magi con gli emendamenti è possibile «far venire allo scoperto che cosa vogliono o non vogliono fare su determinati argomenti i gruppi parlamentari». Il segretario di Più Europa ha ricordato quando, nella scorsa legislatura, durante l’esame alla Camera del decreto “Semplificazioni” il Parlamento riuscì a far cambiare idea al governo Draghi su un emendamento che riguardava la raccolta firme per i referendum. L’emendamento in questione era stato presentato a luglio 2021 da vari deputati, tra cui Magi e Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), e prevedeva la possibilità di raccogliere le firme per i referendum con lo Spid. L’emendamento è stato approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera. «C’è stato un lavoro di costruzione trasversale del consenso, anche di convincimento. È stato un bel momento di orgoglio parlamentare», ha raccontato Magi.

Non solo in commissione

Le “battaglie parlamentari” sugli emendamenti avvengono per lo più nelle commissioni. A febbraio 2015, durante l’esame della riforma costituzionale proposta dal governo Renzi, nell’aula della Camera è però accaduto un fatto abbastanza insolito: il governo ha cambiato idea su una proposta dopo aver ascoltato gli interventi dei deputati in aula. 

«Eravamo in aula in tarda serata. Ai deputati di maggioranza era arrivato l’ordine governativo di ritirare tutti gli emendamenti e l’indicazione di bocciare quelli dell’opposizione per evitare di far tornare il testo della riforma al Senato», ha raccontato Luca Squeri, deputato di Forza Italia, all’epoca all’opposizione e in questa legislatura membro della Commissione Attività produttive. «A un certo punto si discute un emendamento della maggioranza», presentato da Stefano Quintarelli, all’epoca deputato di Scelta civica, la lista creata per le elezioni politiche 2013 dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti. Informatico ed esperto di innovazione digitale, Quintarelli è l’ideatore del già citato Sistema pubblico di identità digitale, meglio noto con la sigla “Spid”.

L’emendamento di Quintarelli alla riforma costituzionale del governo Renzi puntava a inserire in Costituzione l’obbligo di coordinamento delle piattaforme informatiche tra tutti gli organismi della Pubblica amministrazione. «Mentre Quintarelli, dispiaciuto, annunciava che avrebbe ritirato l’emendamento, il mio compagno di banco, il deputato Antonio Palmieri di Forza Italia, esperto di comunicazione e digitale, mi ha detto: “Guarda mi sa che qui pochi sanno che chi parla è il padre di Internet in Italia. Peccato perché questo emendamento sarebbe utile”. Io quindi gli ho suggerito di sostenere l’emendamento per fare in modo che il dibattito andasse avanti». Palmieri ha quindi preso la parola, supportando la richiesta di Quintarelli, che è poi stata approvata con 364 voti favorevoli, quattro astenuti e nessun contrario. 

Riflessi mediatici

Un esempio più recente di “battaglia parlamentare” di successo risale alla legge di Bilancio per il 2024, approvata definitivamente dal Parlamento lo scorso 29 dicembre. Durante l’esame in Senato del disegno di legge, i partiti di opposizione hanno deciso di unire le forze, presentando un emendamento condiviso per aumentare le risorse previste nel 2024 per le iniziative contro la violenza sulle donne. L’emendamento è stato poi accolto dai partiti di maggioranza e approvato.

Secondo Sensi, l’approvazione di quel emendamento «è avvenuta anche sulla scia del forte impatto dell’omicidio di Giulia Cecchettin», una ragazza di 22 anni uccisa dall’ex fidanzato a novembre 2023. «Probabilmente in un altro contesto la scelta di stanziare i soldi a disposizione sarebbe stata indirizzata su un altro capitolo di bilancio: anche un’azione di comunicazione può avere un’incidenza e un impatto nella sorte positiva di un emendamento e di una singola specifica battaglia», ha aggiunto il senatore del PD. 

Secondo la senatrice del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Sanità Elisa Pirro «si riesce a incidere quando c’è anche un grande clamore all’esterno del Parlamento: allora il governo tiene in maggiore considerazione le proposte». A novembre dello scorso anno il Senato ha approvato un emendamento di Pirro, presentato al cosiddetto “decreto Anticipi”, che ha prorogato lo smart working per i genitori con figli minori di 14 anni, un tema molto sentito a livello pubblico. 

Un emendamento si misura comunque sulla qualità del testo e soprattutto sulle coperture finanziarie proposte nel caso di iniziative che richiedono una spesa per lo Stato. «I deputati e i senatori devono avere la capacità di saper trovare le risorse per coprire economicamente gli emendamenti», ha spiegato Sensi. «Altri aspetti che incidono sulla buona riuscita di un emendamento sono la capacità di manovra dei singoli parlamentari, la loro autorevolezza, la loro prossimità a chi può decidere dentro ai ministeri e tra i tecnici».

Pochi spazi

Diversi tra i parlamentari di opposizione contattati da Pagella Politica hanno raccontato che, da quando è iniziata la diciannovesima legislatura, il governo Meloni si è mostrato poco incline ad accogliere le loro proposte ed emendamenti. 

Secondo la senatrice Pirro «si tende ad approvare una proposta dell’opposizione se ce n’è una simile – se non identica – presentata da qualche esponente della maggioranza». Dello stesso avviso è Marco Grimaldi, capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra in Commissione Bilancio alla Camera: «In Commissione Bilancio ho visto pochissimi emendamenti passare. In questa legislatura c’è un problema di provvedimenti spot, che chiamo instant decreti, ossia decreti-legge nati sulla scia di fatti di cronaca come il naufragio di Cutro o lo stupro di Caivano, e su cui è molto difficile avere margine di manovra in Parlamento e un confronto con la maggioranza». 

Secondo Giulia Pastorella, capogruppo di Azione in Commissione Trasporti alla Camera, «sui temi molto politici dove c’è proprio scontro è più difficile far approvare un emendamento, mentre sui temi meno politicizzati si ottiene di più». Per l’esponente di Azione gli emendamenti «sono lo strumento più incisivo che resta al ruolo di parlamentare, che potrebbe essere più propositivo ma non lo è». 

Il deputato di Fratelli d’Italia Riccardo Zucconi, che nella precedente legislatura era all’opposizione dei governi Conte e Draghi, è convinto invece che sugli emendamenti maggioranza e opposizione abbiano spazi simili. «Quando uno si trova all’opposizione è libero di proporre perché si contrappone alla maggioranza e quindi anche la funzione di critica è più libera», ha detto Zucconi. Se si è in maggioranza, ha aggiunto, «bisogna invece tener presente che ci sono una serie di ministeri che si occupano di determinate materie e quindi si è meno “disinvolti” nell’avanzare proposte». «Spesso una proposta la fai tu, ma nel provvedimento o nel decreto il tuo nome non compare, sebbene tu abbia portato il tuo contributo», ha concluso il deputato di Fratelli d’Italia.   

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