Nelle ultime ore, alcuni esponenti del governo Meloni hanno commentato con ottimismo l’introduzione dei nuovi dazi statunitensi sulle merci europee e italiane.

«I dazi non sono una cosa positiva, ma bisogna vedere quali saranno gli effetti», ha dichiarato il 12 agosto al Corriere della Sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Forza Italia). «I dati dell’export sono molto incoraggianti: il primo semestre del 2025 segna +2,1 per cento rispetto al 2024». Anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) ha espresso valutazioni simili, in un’intervista con Il Sole 24 Ore del 14 agosto: «I dati sulla crescita dell’export in questa prima parte del 2025 sono piuttosto incoraggianti, a dimostrazione della resilienza delle nostre imprese», ha detto, aggiungendo che «è ancora presto per valutare se e quale sia l’impatto sull’export negli Stati Uniti».

Ma i dati confermano davvero l’ottimismo dei due ministri? Nella prima metà del 2025 le esportazioni di merci italiane sono davvero aumentate, nonostante il dibattito sui dazi? Vediamo che cosa dicono i numeri.

Secondo l’ISTAT, tra gennaio e giugno 2025 il valore delle esportazioni italiane è cresciuto del 2,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024 (quando invece si era registrato un calo rispetto al 2023). Le vendite verso i Paesi dell’Unione europea sono aumentate più di quelle verso i Paesi extra-Ue: +2,8 per cento contro +1,4 per cento. Nei primi sei mesi di quest’anno, dunque, sembra esserci stato effettivamente un incremento dell’export italiano.

Ma ci sono stati anche due dati negativi. Nel secondo trimestre del 2025, cioè tra aprile e giugno, le esportazioni italiane sono diminuite del 2,6 per cento rispetto al trimestre precedente (gennaio-marzo). Inoltre, tra gennaio e giugno 2025, i volumi delle esportazioni – cioè la quantità fisica di merci vendute all’estero – sono scesi del 2 per cento rispetto ai primi sei mesi del 2024.

In sintesi: nella prima metà del 2025 è aumentato il valore nominale delle esportazioni (che non tiene conto dell’inflazione), ma è diminuito il volume.

Secondo l’ISTAT, la crescita del 2,1 per cento è «spiegata dalle maggiori vendite di articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+38,8 per cento), mezzi di trasporto, esclusi autoveicoli (+8,7 per cento), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+5,1 per cento) e metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (+3,4 per cento)». «Per tutti gli altri settori si rilevano diminuzioni nelle vendite: le più ampie per coke e prodotti petroliferi raffinati (-22,9 per cento) e autoveicoli (-10,3 per cento)», ha aggiunto l’istituto nazionale di statistica.

Nei primi sei mesi del 2025, il valore delle esportazioni verso gli Stati Uniti – Paese al centro della questione “dazi” – è cresciuto del 7,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024, una delle percentuali più alte tra i partner commerciali dell’Italia. Ma questo significa che i dazi statunitensi non stanno danneggiando le imprese italiane? È presto per dirlo, e per almeno due motivi.

Il primo riguarda la gestione altalenante della misura: a inizio aprile, il presidente statunitense Donald Trump aveva annunciato dazi del 20 per cento sulle merci importate dall’Unione europea, e quindi anche dall’Italia. Pochi giorni dopo li aveva sospesi, mantenendo solo quelli al 10 per cento, per aprire trattative con l’Ue. A luglio ha rilanciato, annunciando che dal 1° agosto i dazi sarebbero saliti al 30 per cento, salvo poi scendere al 15 per cento dopo un’intesa con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Il secondo motivo riguarda le cause stesse dell’aumento dell’export verso gli Stati Uniti: secondo alcuni osservatori, il rialzo registrato nella prima metà dell’anno potrebbe essere dovuto a un “effetto scorta”. Le imprese statunitensi avrebbero cioè anticipato gli acquisti per evitare di pagare dazi più alti nei mesi successivi.

Per capire davvero l’impatto delle misure volute da Trump, bisognerà quindi attendere i dati dei prossimi mesi.