Il 27 luglio, dopo settimane di trattative e indiscrezioni, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo sul valore dei nuovi dazi applicati alle merci europee esportate nel mercato statunitense. A partire dal 1° agosto, sulla maggior parte di questi prodotti sarà necessario pagare un dazio del 15 per cento. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che ha incontrato in Scozia il presidente statunitense Donald Trump, ha definito l’intesa la «migliore che si potesse ottenere».

Le reazioni del governo italiano sono state in generale piuttosto caute. Secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è stato positivo riuscire a evitare una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Alla Camera, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha dichiarato che è ancora presto per esprimere una «valutazione complessiva» sull’accordo, dal momento che mancano numerosi dettagli. Giorgetti ha comunque aggiunto che i dazi potrebbero determinare un calo cumulato dello 0,5 per cento del Prodotto interno lordo (PIL) reale dell’Italia nel 2026. I partiti all’opposizione, invece, hanno criticato la Commissione Ue, parlando di una resa da parte delle istituzioni europee. 

Ma è davvero corretto considerare l’accordo trovato tra Ue e Stati Uniti come una vittoria di Trump? Indossiamo i nostri occhiali da economisti e proviamo a capirlo.