L’educazione sessuale in Europa non è mai la stessa

Ogni Paese ha regole diverse su come e quando insegnarla, quali temi affrontare e quanto spazio darle nei programmi scolastici
AFP/Filippo Monteforte
AFP/Filippo Monteforte
Il 3 dicembre la Camera ha approvato il disegno di legge che obbliga le scuole medie e superiori a ottenere il consenso informato dei genitori prima di svolgere qualsiasi attività su temi legati alla sessualità. Il testo, presentato in Parlamento dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, stabilisce inoltre che l’insegnamento dell’educazione sessuale sia vietato nelle scuole dell’infanzia e nelle elementari. Per diventare legge a tutti gli effetti, il provvedimento dovrà ora essere approvato dal Senato. 

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha definito questa scelta un «passo indietro clamoroso», ricordando che «l’Italia è uno dei soli sette Paesi europei che non ha l’educazione sessuale già obbligatoria a scuola». Senza entrare nel merito delle opinioni politiche, per comprendere meglio che cosa accade nel resto d’Europa è utile guardare alla ricerca più completa e recente sul tema, pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea.

Secondo questo rapporto, che ha raccolto e armonizzato i risultati di numerose analisi scientifiche, a novembre 2019 in 19 Stati membri era obbligatorio per le scuole offrire qualche forma di educazione sessuale, mentre l’offerta restava facoltativa in altri otto Paesi: Spagna, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania e, appunto, l’Italia. Lo stesso studio, però, mostra come il concetto di “educazione sessuale obbligatoria” renda solo in parte la complessità del quadro europeo.
In arancione i Paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria, in grigio scuro quelli dove è facoltativa. Nei cerchi è indicata l’età in cui inizia l’insegnamento. Per i Paesi con il “?” mancano i dati – Fonte: Commissione Ue
In arancione i Paesi dove l’educazione sessuale è obbligatoria, in grigio scuro quelli dove è facoltativa. Nei cerchi è indicata l’età in cui inizia l’insegnamento. Per i Paesi con il “?” mancano i dati – Fonte: Commissione Ue
Il tema è infatti articolato e varia ampiamente da un Paese all’altro, con differenze non solo sull’obbligatorietà, ma anche sull’età di introduzione, sui contenuti trattati e sulle modalità con cui i programmi vengono inseriti nei curricoli scolastici. Alcuni Stati affrontano la sessualità già nella scuola primaria, mentre altri – come l’Italia – la introducono molto più tardi. Inoltre, in diversi Paesi l’educazione sessuale non si limita agli aspetti biologici, ma comprende una dimensione affettiva e relazionale.

In questo senso, il rapporto della Commissione Ue ha analizzato undici temi trattati nell’insegnamento dell’educazione sessuale: gli aspetti biologici e la conoscenza del corpo; l’amore e le relazioni affettive; la violenza sessuale e di genere; la gravidanza e il parto; l’orientamento sessuale e le tematiche LGBT; la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; la contraccezione; i ruoli di genere; il consenso; i diritti umani; e il rapporto tra sessualità e i media online.
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Le differenze tra i vari Paesi sono notevoli: in alcuni la materia si concentra quasi esclusivamente sulla dimensione biologica, mentre solo un numero ristretto di Stati – tra cui Germania, Finlandia, Austria e Repubblica Ceca – affronta in maniera sistematica tutti gli undici temi individuati.

Questa eterogeneità emerge chiaramente anche dal caso italiano. Nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, che definiscono gli obiettivi comuni per elementari e medie, tra gli obiettivi di apprendimento alla fine della quinta elementare compare quello di «acquisire le prime informazioni su riproduzione e sessualità». Alla fine della terza media, invece, si prevede che gli studenti debbano «acquisire corrette informazioni sullo sviluppo puberale e la sessualità». Questi obiettivi sono stati confermati anche nella bozza delle nuove indicazioni nazionali pubblicata lo scorso giugno dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, che aggiunge per la scuola media il traguardo di «conoscere i rischi delle malattie sessualmente trasmissibili».

Un’ulteriore complessità riguarda il modo in cui l’educazione sessuale viene impartita. Nella maggior parte dei Paesi Ue non esiste una disciplina autonoma dedicata, ma i contenuti sono distribuiti tra più materie, come biologia, religione, educazione alla cittadinanza o alla salute. In altri casi, come nei Paesi Bassi o in Germania, la sessualità diventa un tema trasversale del curricolo, con obiettivi generali che tutti i docenti devono contribuire a raggiungere. Questo modello riflette le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui la sessualità attraversa competenze scientifiche, etiche e sociali e non può essere confinata in una singola ora di lezione.
Accanto alla varietà dei contenuti e dei modelli di insegnamento, il rapporto segnala anche un altro problema: la formazione degli insegnanti. In molti Paesi resta limitata, facoltativa o non strutturata, e solo in pochi casi è integrata nella preparazione iniziale dei docenti. Questa fragilità si somma all’ampio margine di autonomia lasciato a scuole e regioni nell’applicazione delle linee guida nazionali, che può produrre differenze significative anche all’interno dello stesso Stato. Ne consegue che, anche dove l’educazione sessuale è formalmente obbligatoria, non tutti gli studenti la ricevono realmente. In alcuni Paesi i genitori possono chiedere l’esonero dei figli, mentre in altri, come la Polonia, le resistenze politiche e sociali hanno limitato fortemente l’offerta scolastica, arrivando perfino a tentativi di criminalizzare alcune attività informative rivolte ai minori.

A questo quadro si aggiunge un ultimo elemento, che aiuta a mettere in prospettiva il dibattito europeo e italiano. Le differenze tra Paesi, infatti, riguardano non solo modelli educativi e scelte politiche, ma anche il modo in cui ciascun sistema interpreta le evidenze disponibili sugli effetti di questi programmi. Il rapporto della Commissione Ue sottolinea che, secondo il consenso internazionale, l’educazione sessuale ha effetti positivi sulla salute e sul comportamento dei giovani, riducendo i rischi, aumentando l’uso della contraccezione e migliorando conoscenze, atteggiamenti e competenze relazionali, senza in alcun modo anticipare l’inizio dell’attività sessuale. Questa valutazione, condivisa da molte ricerche, è uno dei motivi per cui diversi Paesi hanno costruito negli anni approcci più ampi o più strutturati, mentre altri continuano a muoversi con maggiore cautela, ritenendo che l’educazione a temi legati alla sessualità deve essere minima e lasciata al contesto familiare.

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