Anche nella maggioranza c’è chi è contro tutti questi voti di fiducia

Secondo alcuni parlamentari, il governo è costretto a ridurre il ruolo di Camera e Senato per «dare risposte ai cittadini». Secondo altri, questo fenomeno – in corso da anni – va risolto
Ansa
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Da quando è entrato in carica il 22 ottobre 2022 il governo Meloni ha posto 47 questioni di fiducia sui provvedimenti da approvare: in media circa una questione di fiducia ogni due settimane. E il conto è destinato a salire, perché il governo ha annunciato che metterà la fiducia anche sul decreto “Milleproroghe”, al momento in esame alla Camera. In base alle verifiche di Pagella Politica sulle informazioni pubblicate dal Parlamento, sulle questioni di fiducia il ritmo del governo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è uguale al governo precedente, quello di Mario Draghi, che nel primo anno e mezzo aveva posto la fiducia 48 volte.

Eppure in passato, quando era all’opposizione, Meloni aveva criticato il ricorso alla fiducia da parte dei suoi predecessori, e lo stesso aveva fatto la Lega. Dall’inizio della legislatura in varie occasioni i partiti di opposizione hanno criticato i frequenti voti di fiducia posti dal governo, ma gli stessi parlamentari che sostengono l’attuale governo hanno posizioni diverse sulla questione. Anzi, tra di loro c’è chi ammette che ricorrere troppo alla fiducia è un problema e che non si sta facendo molto per risolverlo.

A che cosa serve la fiducia

Con la questione di fiducia il governo velocizza i tempi dell’esame di un progetto di legge da parte del Parlamento, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo. In questo modo, però, il governo rischia di perdere la fiducia di una delle due aule, nel caso in cui non avesse la maggioranza dei voti. Porre la questione di fiducia è dunque un modo per velocizzare i tempi dell’esame dei provvedimenti, limitando la discussione nelle aule, e per mettere allo stesso tempo al riparo il governo da possibili dissensi interni alla maggioranza: se i parlamentari di maggioranza decidessero infatti di votare contro la fiducia ci sarebbe il rischio di una crisi di governo. 

«Il governo Meloni è stabile, gode di un’ampia maggioranza, così come era per il governo Draghi. Non c’è quindi un ricorso alla fiducia per il timore di defezioni all’interno della maggioranza, ma semplicemente per evitare l’ostruzionismo delle opposizioni», ha spiegato a Pagella Politica il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin. Come correttamente ricordato da Zanettin, il governo Meloni, sostenuto da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, può contare sul sostegno di un’ampia maggioranza di parlamentari: 238 deputati su 400 e 116 senatori su 205. «È evidente che in una maggioranza parlamentare di natura politica convivano gruppi con sensibilità diverse, per quanto legate da un programma elettorale che guida l’azione di governo. Credo che il ricorso al voto di fiducia sia assolutamente legittimo e opportuno quando il governo ritiene di dover velocizzare alcune procedure per dare risposte pronte ai nostri cittadini davanti a necessità specifiche», ha detto il deputato della Lega Erik Umberto Pretto.

Un sistema inevitabile?

La scelta di ricorrere alla fiducia sta dunque nella volontà di accelerare i tempi delle discussioni e arrivare velocemente all’approvazione dei provvedimenti. Per fare ostruzionismo e mettere in difficoltà la maggioranza i partiti di opposizioni presentano spesso centinaia di emendamenti in occasione dell’esame dei provvedimenti principali adottati dal governo, per allungarne i tempi. Come abbiamo spiegato in passato, la possibilità di presentare una così grande quantità di emendamenti è concessa dai regolamenti parlamentari. La fiducia è quindi la risposta agli emendamenti posti dalle opposizioni, e secondo Zanettin nessuno vuole davvero cambiare questo sistema. «Il vento gira: chi è oggi in maggioranza sa bene che potrà sfruttare le “armi” dell’ostruzionismo quando sarà all’opposizione, e viceversa». L’attuale sistema che porta i governi a ricorrere al voto di fiducia sarebbe dunque imprescindibile, a meno che non si cambino le regole interne del Parlamento. 

Per alcuni parlamentari di maggioranza il ricorso alla questione di fiducia non compromette comunque le prerogative delle opposizioni e il dibattito parlamentare. «Ricorrere alla fiducia in aula velocizza i tempi della discussione sui progetti di legge, che sono comunque discussi ampiamente nelle commissioni parlamentari, dove sia noi che i partiti di opposizione abbiamo tempo e modo di esaminare i testi. Non vedo per questo un pericolo di limitare i lavori parlamentari», ha sottolineato la deputata della Lega Giorgia Latini. Un’opinione simile è condivisa dalla senatrice di Fratelli d’Italia Susanna Donatella Campione: «È il gioco delle parti: le opposizioni fanno ostruzionismo e la maggioranza risponde cercando di limitarlo».

I dubbi 

Secondo Campione, il frequente ricorso alla fiducia è comunque un problema. «È innegabilmente una questione aperta, che non nasce però con il governo Meloni, che non ha colpe, ma si protrae da diversi anni», ha detto la senatrice. In un anno e tre mesi dal suo insediamento il governo Meloni ha posto praticamente lo stesso numero di questioni di fiducia del governo Draghi nello stesso periodo di tempo. Prima ancora, tra settembre 2019 e gennaio 2021 il secondo governo Conte, sostenuto da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Liberi e Uguali, aveva posto la fiducia 39 volte. Il primo governo Conte, in carica per circa un anno e tre mesi tra giugno 2018 e settembre 2019, aveva invece posto la fiducia dieci volte. Andando indietro nel tempo, tra dicembre 2016 e febbraio 2018, il governo Gentiloni aveva posto la fiducia 26 volte, mentre tra febbraio 2014 e giugno 2015 il governo Renzi l’aveva posta 37 volte. Tra aprile 2013 e febbraio 2014, nei novi mesi in cui è stato in carica il governo Letta l’aveva posta invece 10 volte, mentre prima ancora il governo Monti 38 volte

Anche per il deputato della Lega Stefano Candiani, già sottosegretario nel primo governo Conte, il ricorso alla questione di fiducia è un problema irrisolto. «Il ricorso alla fiducia è una questione che ci portiamo dietro da anni ed è ormai diventata una prassi che nessuno, al di là delle denunce che spesso si fanno, riesce a risolvere», ha detto Candiani a Pagella Politica. Secondo Candiani la questione ha che fare anche con le aspettative degli elettori: «Da un lato ci sono i cittadini, che ci chiedono giustamente provvedimenti rapidi e in tempi certi. Dall’altro lato questa richiesta comporta una riduzione dei tempi dell’esame parlamentare dei provvedimenti, riducendo anche il ruolo di Camera e Senato».

Secondo un parlamentare di Fratelli d’Italia, che ha preferito restare anonimo, la spinta a comprimere l’esame parlamentare non dipende tanto dalla politica, quanto semmai dall’apparato burocratico dei ministeri. «È nei ministeri che vengono partoriti i provvedimenti più importanti, come i decreti-legge. Qui, al di là dei singoli ministri, un ruolo importante è svolto da figure tecniche e burocratiche, penso ai direttori generali, che lavorano a stretto contatto con loro e che lavorano da una vita in questi uffici, a prescindere dai cambi di governo, coordinandone l’attività», ha proseguito. «Sono loro a dettare i tempi dei provvedimenti, stabilendo per esempio l’urgenza per l’esame di un testo piuttosto che un altro. E a volte considerano l’esame parlamentare come un ostacolo alla velocità dell’azione amministrativa». 

Per il parlamentare di Fratelli d’Italia il governo potrebbe ridurre il ricorso alle questioni di fiducia favorendo l’uso delle dichiarazioni d’urgenza. In base ai regolamenti di Camera e Senato, la dichiarazione d’urgenza è uno strumento con cui il governo o un gruppo di parlamentari possono chiedere una procedura velocizzata per l’esame di un determinato progetto di legge, fissando una data entro il quale il provvedimento deve essere esaminato in aula. «Privilegiando questo sistema si potrebbe velocizzare l’esame dei progetti di legge e allo stesso tempo garantire l’esame degli emendamenti presentati dalle opposizioni», ha proseguito il parlamentare. 

Al momento i regolamenti parlamentari, in particolare alla Camera, prevedono una serie di limiti all’uso della dichiarazione d’urgenza. In entrambe le aule la procedura d’urgenza deve essere convalidata con un voto dell’aula. Ma alla Camera possono essere dichiarati come urgenti al massimo cinque provvedimenti nell’arco di tre mesi e l’urgenza non può essere applicata, per esempio, ai disegni di legge di riforma costituzionale.

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