Il 18 agosto, in un’intervista con La Verità, il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo Carlo Fidanza ha detto che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump meriterebbe il premio Nobel per la pace «più dei suoi predecessori». A sostegno della sua dichiarazione, Fidanza ha aggiunto che Trump «in pochi mesi ha fermato sei guerre». Ma è davvero così?

Nell’intervista, Fidanza ha ripetuto un’affermazione fatta diverse volte nelle scorse settimane dallo stesso Trump, più di recente al termine dell’incontro in Alaska con il presidente russo Vladimir Putin.

Il sito di fact-checking statunitense PolitiFact ha verificato lo scorso 5 agosto la dichiarazione secondo cui Trump ha già «fermato sei guerre», e le ha assegnato il verdetto Mostly false (in italiano, “Perlopiù falsa”). PolitiFact assegna questo verdetto alle dichiarazioni che contengono un elemento di verità, ma che omettono aspetti essenziali tali da cambiarne in modo sostanziale il significato.

In altre parole, negli ultimi mesi ci sono stati alcuni cessate il fuoco o segnali di distensione tra Paesi in conflitto, in cui il ruolo di Trump non è sempre stato centrale e in certi casi non si può parlare di vere e proprie guerre concluse.

Secondo Trump e la Casa Bianca, l’intervento del presidente degli Stati Uniti avrebbe favorito sei processi di pace: tra Israele e Iran; tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda; tra Cambogia e Thailandia; tra India e Pakistan; tra Serbia e Kosovo; e tra Egitto ed Etiopia. Alcuni accordi o cessate il fuoco sono effettivamente stati firmati, ma con risultati molto diversi da Paese a Paese.

Tra i casi più significativi c’è il cessate il fuoco tra Israele e Iran, arrivato a fine giugno dopo una serie di attacchi reciproci culminati nei bombardamenti statunitensi contro tre siti nucleari iraniani. L’intervento statunitense ha probabilmente accelerato la fine del conflitto, anche se gli esperti hanno sottolineato che Israele sarebbe intervenuto comunque e che non è chiaro quanto abbiano pesato i negoziati di Trump.

Un altro accordo importante è stato quello siglato il 27 giugno a Washington, negli Stati Uniti, tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. L’intesa è stata salutata da Trump come «un trionfo glorioso per la causa della pace» e prevede anche investimenti statunitensi nelle miniere congolesi di oro, rame e litio. Ma si inserisce in una lunga serie di tentativi falliti, e gli esperti hanno avvertito che la pace potrà reggere solo con monitoraggi costanti e pressioni concrete da parte della comunità internazionale.

In altri casi il ruolo di Trump appare più marginale. Il 28 luglio, per esempio, Cambogia e Thailandia hanno accettato un cessate il fuoco dopo un conflitto armato esploso pochi giorni prima. Trump ha rivendicato un ruolo nei negoziati, legandolo anche alle relazioni commerciali con i due Paesi, ma l’accordo non ha risolto la disputa territoriale alla base dello scontro.

Per quanto riguarda India e Pakistan, Trump ha dichiarato che la tregua raggiunta a maggio sul confine del Kashmir è stata possibile grazie alla mediazione statunitense. I leader pakistani lo hanno ringraziato, ma quelli indiani hanno smentito qualsiasi intervento statunitense, spiegando che il cessate il fuoco era stato deciso direttamente tra i due Paesi.

Ancora meno solide sono le affermazioni sul presunto rischio di guerra tra Serbia e Kosovo. Trump ha sostenuto di aver fermato un’escalation grazie al peso del commercio con gli Stati Uniti, ma non ci sono prove di un conflitto imminente, e la stessa Serbia ha negato di avere piani militari.

Infine, sul contenzioso tra Egitto ed Etiopia che riguarda la costruzione di una diga sul Nilo, Trump ha detto di essere al lavoro per «risolvere molto rapidamente» la questione. Ma i negoziati sono fermi e non esiste al momento alcun accordo.

In sintesi, Trump ha effettivamente giocato un ruolo in alcuni processi di pace recenti, come nel caso di Israele e Iran o della Repubblica Democratica del Congo e Ruanda. In altri casi, invece, le sue rivendicazioni sono state smentite dai diretti interessati o non trovano riscontri concreti. Come hanno osservato diversi esperti di politica estera, parlare di «sei guerre fermate» è un’esagerazione.

Un caso più recente, non considerato da PolitiFact, è quello tra Armenia e Azerbaigian. L’8 agosto – tre giorni dopo la pubblicazione del fact-checking del sito statunitense – i due Paesi hanno firmato alla Casa Bianca un accordo preliminare di pace sul Nagorno-Karabakh, mediato direttamente da Trump. L’intesa prevede il riconoscimento reciproco dei confini e l’avvio di relazioni diplomatiche e commerciali, oltre alla creazione di un corridoio strategico attraverso il territorio armeno sotto gestione statunitense. Il coinvolgimento di Trump è stato diretto, anche se resta da capire se l’accordo reggerà nel tempo.