Sui voti di fiducia Meloni sta facendo come Draghi

La presidente del Consiglio aveva criticato questa pratica quando era all’opposizione. Ora il suo governo sta seguendo la stessa strada
Pagella Politica
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Oggi, lunedì 27 novembre, la Camera ha approvato il voto di fiducia per la conversione in legge del decreto “Immigrazione” che il governo Meloni aveva posto tre giorni prima. Nei 400 giorni dall’insediamento, avvenuto il 22 ottobre 2022, è la quarantaduesima volta che l’attuale governo pone un voto di fiducia su un provvedimento in una delle due aule del Parlamento. Secondo le verifiche di Pagella Politica, questo è lo stesso ritmo tenuto dal precedente governo tecnico, guidato da Mario Draghi, che più volte in passato è stato criticato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni proprio per l’eccessivo ricorso ai voti di fiducia. 
Fino a oggi la Camera ha votato la questione di fiducia su 27 progetti di legge (nel sito della Camera non è conteggiata quella sul decreto “Immigrazione”), mentre il Senato su 15. Anche durante i primi 400 giorni del governo Draghi, ossia dal 13 febbraio 2021 al 20 marzo 2022, il Parlamento ha votato 42 volte una questione di fiducia: 21 alla Camera e 21 al Senato. In classifica seguono il governo Renzi (36 voti di fiducia), il secondo governo Conte a pari merito con il governo Gentiloni (32), il primo governo Conte (13) e il governo Letta (10). Andando ancora indietro nel tempo, il primato spetta al governo tecnico di Mario Monti, che nei suoi primi 400 giorni ha posto la questione di fiducia 50 volte, otto in più rispetto a Meloni e Draghi. 
Come mostrano i numeri, l’eccessivo ricorso dei governi alle questioni di fiducia è un fenomeno che da tempo caratterizza la politica italiana e crea squilibri tra governo e Parlamento. Con la questione di fiducia infatti un governo velocizza i tempi dell’esame di un progetto di legge da parte del Parlamento, perché cade la possibilità per le aule di votare modifiche al testo.

Ma come mai il governo Meloni sta facendo un così ampio ricorso alla questione di fiducia nonostante la coalizione di partiti che lo supporta goda di un’ampia maggioranza sia alla Camera sia al Senato? Come abbiamo spiegato in passato, ci sono varie spiegazioni dietro a questo fenomeno. Il primo motivo riguarda la scadenza dei provvedimenti sui cui è stata posta la fiducia: su 27 fiducie votate dalla Camera, 26 hanno riguardato la conversione in legge di decreti-legge; al Senato le conversioni hanno riguardato 14 voti di fiducia su 15. I decreti-legge, una volta approvati dal governo, diventano subito operativi, ma hanno 60 giorni di tempo per essere definitivamente convertiti in legge dal Parlamento. In molti casi il governo ha posto la fiducia alla Camera perché i disegni di legge di conversione sono arrivati all’esame dell’assemblea pochi giorni prima della loro scadenza. L’eccessivo ricorso ai decreti-legge, che in teoria andrebbero approvati solo in caso di necessità e urgenza, monopolizza i lavori del Parlamento, che ha meno tempo per esaminare i progetti di legge presentati dai parlamentari.

C’è poi un secondo motivo che spiega l’ampio ricorso alle questioni di fiducia da parte del governo Meloni, in particolare alla Camera. Semplificando un po’, il regolamento del Senato permette di convertire i decreti-legge più rapidamente rispetto alla Camera, così il governo decide di porre di più la questione di fiducia alla Camera proprio per colmare questa differenza e lavorare più speditamente.

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