L’Italia ha superato davvero il Regno Unito sul PIL pro capite?

Tra correzioni statistiche, calo demografico e rimbalzo post-pandemia, il quadro è più sfumato di quanto sostenga Fratelli d’Italia
AFP
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Negli ultimi giorni Fratelli d’Italia e alcuni suoi esponenti hanno celebrato quello che hanno definito un «altro primato per il governo», un «record storico». Secondo il partito di Giorgia Meloni, infatti, il Prodotto interno lordo (PIL) pro capite dell’Italia avrebbe superato quello del Regno Unito.

Se fosse davvero così, sarebbe un risultato rilevante: fatta eccezione per la ripresa immediatamente successiva alla pandemia, l’economia italiana da tempo cresce poco o nulla. E superare un Paese come il Regno Unito – che negli ultimi decenni ha avuto in genere performance economiche migliori – avrebbe un peso simbolico notevole.

Ma i numeri confermano davvero la rivendicazione di Fratelli d’Italia? Facciamo chiarezza.

I dati sul PIL pro capite

Il PIL pro capite rappresenta il valore totale di beni e servizi prodotti da un Paese in un anno, diviso per il numero dei suoi abitanti. Questo dato viene spesso usato per approssimare il reddito dei cittadini e, quindi, il loro benessere.

Quando Fratelli d’Italia sostiene che il PIL pro capite italiano ha superato quello britannico, fa riferimento a una versione particolare di questo indicatore: il PIL pro capite, calcolato a parità di potere d’acquisto. 

Come ha scritto il quotidiano britannico The Telegraph in un articolo del 14 agosto, poi ripreso da varie testate giornalistiche italiane, secondo le stime della Banca mondiale nel 2024 il PIL pro capite dell’Italia a parità di potere d’acquisto è stato di 60.847 dollari internazionali (una valuta artificiale usata per confrontare i redditi nei diversi Paesi), appena superiore ai 60.620 dollari registrati dal Regno Unito.
La scelta di considerare il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto potrebbe sembrare sensata: anziché limitarsi a dividere il PIL per il numero degli abitanti, si applica un’ulteriore correzione che “normalizza” i prezzi tra i Paesi, consentendo così di confrontare il potere d’acquisto dei cittadini italiani con quello dei britannici.

Ma l’elaborazione dei dati per il calcolo della parità di potere d’acquisto può portare a una perdita di alcune sfumature nei valori dell’indicatore del PIL pro capite, come ha sottolineato tra gli altri Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. La conversione a parità di potere d’acquisto, infatti, è necessariamente una semplificazione: è impossibile confrontare ogni singolo prezzo di ogni singolo prodotto tra un Paese e l’altro.

Un sorpasso ancora lontano?

Se si considera il PIL pro capite reale, cioè aggiustato per l’inflazione e quindi misurato in termini costanti nel tempo, non c’è alcun sorpasso: il Regno Unito (circa 47 mila dollari) resta su livelli più alti dell’Italia (circa 34 mila dollari).
Un discorso simile vale per il PIL nominale, calcolato ai prezzi dell’anno in corso senza correzioni per l’inflazione. Volendo immaginare una sorta di “potere d’acquisto europeo”, in cui un dollaro in Italia vale quanto un dollaro nel Regno Unito, questo dato ci restituisce l’effettivo reddito medio disponibile per ciascun cittadino. Anche in questo caso, l’Italia è dietro al Regno Unito: nel 2024 lo scarto era di circa 12 mila dollari.
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Il peso del calo demografico

C’è poi un altro aspetto da considerare: quanta parte della crescita del PIL pro capite italiano dipende dalla capacità dell’economia di generare ricchezza e quanta invece dal calo della popolazione? Il PIL pro capite – lo ricordiamo – è un rapporto: se la popolazione diminuisce e il PIL rimane stabile, l’indicatore cresce.

Per chiarire il quadro conviene guardare all’andamento complessivo del PIL, senza aggiustamenti per l’inflazione. Questo perché vogliamo osservare il “denaro nelle tasche dei cittadini”: le dinamiche inflazionistiche tra i vari Paesi sono state diverse, ma comunque comparabili.

Secondo la Banca mondiale, nel 2015 il PIL del Regno Unito era più alto del 58 per cento rispetto a quello dell’Italia. Nel 2024 la differenza era ancora del 54 per cento. In dieci anni, però, l’Italia ha perso oltre un milione di abitanti, mentre nel Regno Unito la popolazione è cresciuta di quasi cinque milioni.

In altre parole, il PIL pro capite britannico è aumentato abbastanza da garantire a cinque milioni di persone in più non solo di mantenere, ma di migliorare il livello di benessere di chi c’era dieci anni prima. In Italia, invece, il PIL pro capite è cresciuto anche perché ci sono meno persone a spartirsi la ricchezza prodotta.

Un confronto sfumato

Un ulteriore elemento da tenere presente riguarda la parità di potere d’acquisto. Italia e Regno Unito non fanno più parte di un mercato unico, ma restano economie, società e culture molto simili, legate da rapporti commerciali intensi.

Non si può paragonare l’Europa agli Stati Uniti, ma neppure ignorare che una parte significativa dei consumi italiani è intrecciata a quelli di altri Paesi europei, con cui il commercio avviene senza barriere o con ostacoli ridotti. Anche dopo la Brexit, il Regno Unito rimane un partner importante: non è raro che un cittadino italiano sia interessato al potere d’acquisto del proprio reddito all’estero, che sia per lavoro, commercio o anche solo per una vacanza.

È vero: un certo stipendio in Italia può garantire uno stile di vita simile a quello di uno più alto nel Regno Unito. Ma per chi vive in un contesto europeo, è utile chiedersi anche quale sarebbe il potere d’acquisto di quel reddito in altri Paesi, compreso il Regno Unito.

In questo senso, il confronto a parità di potere d’acquisto ha un valore, ma rischia di sottovalutare la dimensione “cosmopolita” dei consumatori europei, soprattutto quelli più abbienti e mobili, che si muovono tra vari Paesi del continente.

Tiriamo le somme

In definitiva, è fuorviante dire che l’economia italiana ha fatto meglio di quella del Regno Unito perché i dati sul PIL pro capite a parità di potere d’acquisto suggeriscono un sorpasso, seppur di poco. Al massimo, si può dire che l’Italia ha mantenuto stabile il distacco. È giusto sottolineare i momenti positivi della nostra economia, e non va dimenticato che dopo la pandemia c’è stata una ripresa, ma non si può dire che l’Italia abbia registrato risultati solidi e duraturi migliori di quelli britannici.

Inoltre, il “sorpasso” rivendicato da Fratelli d’Italia dipende soprattutto da fattori strutturali: il calo demografico, che fa crescere “artificialmente” il PIL pro capite, e il rimbalzo post-pandemico, che ha interessato tutte le economie avanzate. Non ci sono elementi che permettano di attribuire questo traguardo in modo specifico al governo Meloni, rispetto agli esecutivi che lo hanno preceduto, dato che da quando è entrato in carica la crescita del PIL italiano ha rallentato.

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