La riforma del regolamento della Camera è in ritardo di mesi

L’aggiornamento delle regole per velocizzare i lavori dell’aula doveva concludersi lo scorso anno, ma non è stato così. E da aprile la discussione è bloccata, anche per le divisioni tra i partiti
Ansa
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Da oltre un anno e mezzo la Camera sta discutendo su una riforma del regolamento che dovrebbe ridurre i tempi dei lavori dell’aula, limitando il fenomeno dell’ostruzionismo. Il processo di riforma del regolamento della Camera è iniziato a gennaio del 2023, dopo che alla fine di novembre del 2022 l’aula aveva approvato una prima serie di modifiche necessarie per adattare le proprie regole interne alla riforma del taglio dei parlamentari, che ha ridotto i deputati da 630 a 400. All’epoca, il deputato del Partito Democratico Federico Fornaro, uno dei due relatori delle modifiche dei regolamenti, aveva detto a Pagella Politica che la nuova riforma del regolamento poteva essere approvata entro la fine del 2023. E invece il testo è ancora all’esame della giunta del regolamento della Camera, che però non si riunisce da oltre tre mesi. 

Al Senato la situazione è diversa: dopo la loro riduzione da 315 a 200, i senatori hanno già concluso l’intera riforma del regolamento interno, introducendo alcune norme per adattare i lavori delle commissioni parlamentari al numero di membri ridotto e scoraggiare il trasformismo parlamentare (i cosiddetti “cambi di casacca”). Il nuovo regolamento del Senato prevede infatti che i senatori che lasciano il loro gruppo nel corso di una legislatura risulteranno poi non iscritti ad alcun gruppo parlamentare se entro tre giorni dalla loro uscita non aderiranno a un altro.

La riforma del regolamento della Camera non prevede norme per contenere il trasformismo dei deputati, ma solo alcune modifiche per velocizzare i tempi dei lavori. Che peraltro, sotto il governo Meloni, sono già molto rapidi, visto che finora la Camera — insieme al Senato — ha approvato in media una legge ogni sei giorni. In ogni caso, dietro alla lentezza dell’esame della riforma del regolamento della Camera ci sono sia l’ingorgo nei lavori parlamentari, sia le divisioni tra i partiti.

Che cosa prevede il testo dei relatori

I relatori della riforma sono il deputato del PD Fornaro e quello della Lega Igor Giancarlo Iezzi: uno della maggioranza, uno dell’opposizione (nei dibattiti parlamentari i relatori sono i deputati o i senatori che si occupano di seguire tutto l’esame di un provvedimento, dalla stesura iniziale fino all’approvazione definitiva). Fornaro e Iezzi hanno presentato il testo della riforma del regolamento della Camera il 24 gennaio di quest’anno, dopo un lavoro di quasi un anno, che ha coinvolto un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare all’interno della Giunta per il regolamento. La Giunta per il regolamento è l’organo della Camera che si occupa per l’appunto delle questioni legate al funzionamento interno dell’assemblea, e la sua composizione rispecchia in proporzione i gruppi all’interno dell’aula. 

Il testo presentato da Fornaro e Iezzi punta a modificare una serie di articoli del regolamento della Camera che riguardano soprattutto la durata dei lavori parlamentari, l’esame degli emendamenti e la presentazione degli ordini del giorno. In particolare, è prevista la riduzione del tempo per l’intervento dei deputati nelle discussioni da 30 minuti a un massimo di dieci minuti, garantendo comunque la possibilità di interventi di 30 minuti per la discussione di mozioni di fiducia o sfiducia al governo e le discussioni su progetti di riforma costituzionale. 

Anche i tempi di intervento nelle discussioni generali dei provvedimenti, ossia le discussioni iniziali, sono ridotti da 20 a 10 minuti massimo. Il testo della riforma prevede una limitazione alla possibilità per i deputati di intervenire quando si discute degli articoli e degli emendamenti a una proposta di legge. A oggi infatti il regolamento prevede che durante queste discussioni ogni deputato può intervenire al massimo una volta per venti minuti, mentre la riforma punta a ridurre gli interventi al massimo a uno gruppo parlamentare, e per non più di dieci minuti.

Il testo prevede poi alcune limitazioni per gli ordini del giorno, ossia gli atti che i parlamentari presentano per chiedere al governo di intervenire su una determinata questione. Quando vengono presentati, gli ordini del giorno devono essere discussi e votati, sebbene non siano poi vincolanti per il governo. Su questo tema, la riforma stabilisce che il testo degli ordini del giorno dovrà essere sintetico, ossia non superiore alle 500 parole di lunghezza, e che gli ordini del giorno su cui il governo esprime parere favorevole siano approvati senza essere messi ai voti. In più è previsto il divieto di presentare ordini del giorno che copiano il testo di emendamenti respinti.  

Le modifiche possono sembrare di carattere tecnico, ma in realtà se approvate potrebbero avere una ricaduta significativa sui lavori della Camera, dato che limitano i principali strumenti con cui l’opposizione fa ostruzionismo. Come abbiamo spiegato di recente, le attuali regole sui tempi degli interventi, sugli emendamenti e sugli ordini del giorno sono spesso sfruttate dai partiti di opposizione per allungare i tempi delle discussioni e per ostacolare l’azione della maggioranza di governo. Per esempio, il 12 e 13 giugno, durante la discussione del disegno di legge sull’autonomia differenziata, i deputati dei partiti di opposizione hanno fatto decine di interventi in aula alla Camera per rallentare l’esame del provvedimento, poi bloccato per alcuni giorni in seguito alla rissa in cui è stato ferito un deputato del Movimento 5 Stelle. Tra i protagonisti della rissa c’era proprio il deputato leghista Igor Giancarlo Iezzi, uno dei relatori della riforma del regolamento della Camera.

Altri modi per fare ostruzionismo sono per l’appunto la presentazioni di centinaia di ordini del giorno o di emendamenti. Da questo punto di vista, un caso limite è avvenuto nel 2015, quando il senatore della Lega Roberto Calderoli, attuale ministro per gli Affari regionali, ha presentato oltre 80 milioni di emendamenti alla proposta di riforma costituzionale del governo Renzi. Gli emendamenti erano stati scritti grazie a un programma che permetteva di cambiare una sola parola di un testo, producendone uno leggermente diverso. In quel caso gli emendamenti di Calderoli sono stati per la maggior parte giudicati inammissibili dall’allora presidente del Senato Pietro Grasso. Non era comunque la prima volta che l’allora senatore leghista presentava migliaia di emendamenti in chiave ostruzionistica: un anno prima, nel 2014, ne aveva presentati oltre 10 mila durante la discussione della riforma della legge elettorale.
Immagine 1. Roberto Calderoli e altri senatori leghisti con i pacchi di emendamenti presentati alla riforma delle legge elettorale a dicembre 2014 – Fonte: Ansa
Immagine 1. Roberto Calderoli e altri senatori leghisti con i pacchi di emendamenti presentati alla riforma delle legge elettorale a dicembre 2014 – Fonte: Ansa
Insomma, l’attuale testo di riforma del regolamento della Camera punta a contenere i fenomeni di ostruzionismo. Questo è stato confermato dallo stesso relatore Fornaro, relatore della riforma, durante la seduta del 24 gennaio della giunta per il regolamento. In quell’occasione il deputato del PD ha detto infatti che lo scopo principale della riforma è «fluidificare i procedimenti parlamentari». L’ostruzionismo rimane infatti una pratica legittima nei lavori parlamentari, ma come abbiamo visto negli anni ha portato a situazioni estreme. E in passato alcuni ex parlamentari, tra cui l’ex deputata del PD Giuditta Pini e l’ex deputato di Forza Italia Simone Baldelli, avevano raccontato a Pagella Politica che secondo loro l’ostruzionismo a livello parlamentare non dovrebbe diventare una prassi da parte delle opposizioni, a prescindere da chi sta al governo. 

In ogni caso, dopo la riunione fatta a gennaio la giunta del regolamento si è riunita soltanto una volta, il 10 aprile, ossia oltre tre mesi fa, e per ora l’esame della riforma è bloccato.

Visioni contrapposte

Fornaro ha spiegato a Pagella Politica che questa interruzione della discussione è dovuta più che altro alla grande quantità di provvedimenti che la Camera sta esaminando, e ciò non consentirebbe alla giunta di riunirsi. Effettivamente, come abbiamo spiegato in un precedente articolo, in queste settimane tra la fine di luglio e la prima metà di agosto il calendario dei lavori della Camera prevede l’esame e la conversione in legge di sette decreti-legge con scadenze molto ravvicinate. In sostanza, secondo il deputato del PD dietro ai ritardi della riforma del regolamento non ci sarebbero dissensi tra i partiti sul testo, ma solo problemi organizzativi. 

In realtà, però, non tutti i partiti sono d’accordo sul testo della riforma. Per esempio, nella seduta del 24 gennaio il deputato di Fratelli d’Italia Antonio Baldelli ha espresso la volontà della maggioranza di centrodestra di allargare il progetto di riforma a modifiche più ampie, un’idea condivisa dall’altro relatore del provvedimento, il deputato leghista Iezzi. 

La proposta di Baldelli non è stata condivisa dai partiti di opposizione, in particolare dal Movimento 5 Stelle e da Alleanza Verdi-Sinistra. «In quell’occasione ho riproposto quello che noi di Fratelli d’Italia e della maggioranza chiediamo da tempo, ossia una riforma più ampia dei regolamenti, che vada a cambiare per esempio le regole sul voto in aula delle questioni di fiducia, che a oggi comportano un inutile allungamento dei tempi», ha spiegato a Pagella Politica Baldelli. 

Quando il governo pone la questione di fiducia sul voto di una legge, le aule di Camera e Senato non possono proporre modifiche al testo. In questo modo il governo evita rallentamenti dell’esame della legge e ne velocizza l’approvazione, correndo però un rischio (quasi sempre remoto): se Camera o Senato non approvano la fiducia su una legge, anche il governo perde la fiducia del Parlamento e rischia così di cadere. Da tempo i governi che si sono succeduti alla guida dell’Italia ricorrono spesso alle questioni di fiducia, e finora il governo Meloni non è stato da meno, avendo approvato in media una fiducia ogni 11 giorni.