No, il governo non darà 500 euro a oltre tre milioni di lavoratori più poveri

Lo sostiene Fratelli d’Italia, citando una misura della nuova legge di Bilancio. Ma i conti non tornano
Pagella Politica
Il 17 novembre, Fratelli d’Italia ha risposto sui social network alle accuse di alcuni partiti all’opposizione, secondo cui il disegno di legge di Bilancio per il 2026 – ora all’esame del Senato – sarebbe «una manovra per ricchi». Secondo il partito di Giorgia Meloni, «3,3 milioni di lavoratori con redditi fino a 28 mila euro avranno fino a 500 euro in più in busta paga grazie al taglio delle imposte sugli aumenti contrattuali».

Abbiamo controllato e questa dichiarazione è esagerata.
Nel disegno di Bilancio per il 2026, attualmente all’esame del Senato, il governo propone di introdurre per il solo 2026 un’imposta sostitutiva del 5 per cento sugli aumenti retributivi previsti dai contratti collettivi del settore privato sottoscritti nel 2025 e nel 2026. In parole semplici, gli aumenti salariali legati ai nuovi rinnovi contrattuali verrebbero tassati meno del normale, così da lasciare una quota maggiore dell’incremento direttamente nelle buste paga dei lavoratori.

L’agevolazione è riservata ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 28 mila euro annui e può essere rifiutata, nel qual caso continuerà a valere la normale tassazione prevista, opzione utile per chi già oggi paga poche imposte e quindi non avrebbe beneficio dal nuovo sconto fiscale.

La relazione tecnica allegata al disegno di legge stima un costo della misura pari a 420 milioni di euro nel 2026 e poco meno di 60 milioni nel 2027, con un modesto recupero di gettito negli anni successivi. Secondo la stessa relazione tecnica, i potenziali beneficiari della misura sarebbero circa 3,3 milioni di lavoratori, calcolati sulla base dei dipendenti in attesa di rinnovo o con contratti rinnovati nel 2025, filtrati per reddito e con un’ipotesi di adesione dell’85 per cento.

Altre valutazioni indipendenti restituiscono però una fotografia diversa. Per esempio, le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) – un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici – sono più contenute. L’UPB ha ricostruito la platea dei beneficiari a partire dai contratti effettivamente rinnovati, dai lavoratori in attesa di rinnovo nel settore privato e dalle scadenze previste per il 2026, e ha individuato circa 2,8 milioni di lavoratori con redditi inferiori a 28 mila euro. Considerando solo chi avrebbe un vantaggio reale dall’imposta sostitutiva, il totale dei beneficiari si riduce a circa 2,1 milioni.

Anche la stima dell’ISTAT è più bassa rispetto a quella della relazione tecnica. Sulla base dei contratti rinnovati nel 2025, dei contratti già scaduti e di quelli che scadranno entro il 2026, e limitando l’analisi ai lavoratori con continuità di impiego e redditi non superiori a 28 mila euro, l’istituto nazionale di statistica ha stimato una platea potenziale di circa 1,9 milioni di beneficiari.
A questo punto è possibile verificare se la cifra indicata da Fratelli d’Italia sia plausibile. Le differenze tra le stime rendono evidente che la previsione di «500 euro in più in busta paga» non torna. Prendendo per buona la platea più ampia indicata dalla relazione tecnica, dividere i 420 milioni di euro stanziati per 3,3 milioni di lavoratori porta a un valore medio di poco superiore ai 120 euro a testa, molto lontano dai 500 euro rivendicati. 

Le valutazioni dell’UPB confermano questo ordine di grandezza: con circa 2,1 milioni di beneficiari, il costo complessivo della misura implica un beneficio medio di circa 208 euro a lavoratore, inferiore alla cifra indicata da Fratelli d’Italia.

Unisciti a chi crede che il giornalismo debba verificare, non tifare.

Con la membership di Pagella Politica ricevi:

• la nuova guida sul premierato;
• la newsletter quotidiana con le notizie più importanti sulla politica;
• l’accesso agli articoli esclusivi e all’archivio;
• un canale diretto di comunicazione con la redazione.
PROVA GRATIS PER UN MESE
Newsletter

Politica di un certo genere

Ogni martedì
In questa newsletter proviamo a capire perché le questioni di genere sono anche una questione politica. Qui un esempio.

Ultimi articoli