Alla Camera l’ostruzionismo creativo sfrutta le pieghe del regolamento

Tutti i deputati possono intervenire “a titolo personale”, una possibilità spesso usata per rallentare le votazioni in aula
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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«Ha chiesto di parlare l’onorevole Giuliano: ne ha facoltà». «Grazie presidente: a titolo personale, anch’io ribadisco il voto nettamente contrario rispetto a questo articolo». «Ha chiesto di parlare, a titolo personale, la deputata Serracchiani: ne ha facoltà per un minuto». «Grazie presidente: intervengo anch’io per sottolineare la nostra volontà». E ancora: «Ha chiesto di parlare, a titolo personale, l’onorevole Ascari: ne ha facoltà». «Grazie presidente: anch’io invito, come ha già fatto la collega Alifano, a un supplemento di riflessione». 

Questi sono solo alcuni degli interventi avvenuti alla Camera prima del voto sulla riforma della Corte dei Conti, approvata dall’aula il 9 aprile. Per rallentare il voto, alcuni deputati dei partiti di opposizione – critici verso la riforma sostenuta dalla maggioranza – hanno sfruttato la possibilità di intervenire “a titolo personale”. Non per esprimere un dissenso rispetto alla propria parte politica, ma per ribadire quanto già detto da altri colleghi.

Non è una novità: questo tipo di ostruzionismo parlamentare è stato usato più volte in passato dalle opposizioni per rallentare l’approvazione di una legge, sfruttando una possibilità prevista dal regolamento della Camera.

Disciplina di gruppo

Alla Camera – come al Senato – il procedimento legislativo prevede che, prima del voto finale su un provvedimento, si esaminino gli articoli della proposta di legge uno per uno, discutendo gli eventuali emendamenti. Su ogni articolo o emendamento, può intervenire un solo parlamentare per ciascun gruppo, per illustrare la posizione del proprio partito. Ogni parlamentare, però, ha anche il diritto di parlare a titolo personale, qualora intenda motivare un voto diverso rispetto a quello del proprio gruppo. 

Nella pratica, questo avviene raramente, come spiegano diverse fonti parlamentari a Pagella Politica. Di norma, prevale la cosiddetta “disciplina di gruppo”: i vertici dei gruppi parlamentari indicano ai deputati come votare, specialmente sugli aspetti più tecnici o controversi.

Alla Camera – ma non al Senato – il regolamento consente ai deputati di fare «interventi a titolo personale», che non hanno una definizione giuridica precisa (su questo torneremo più avanti). In teoria, servono per permettere a ciascun deputato di motivare la propria posizione. In pratica, vengono spesso usati dalle opposizioni per guadagnare tempo e rallentare l’esame delle leggi.

«Ormai gli interventi a titolo personale li utilizziamo per ribadire la nostra opinione rispetto a un determinato argomento. Dunque sì, l’intervento a titolo personale non è di fatto “a titolo personale” e a volte è anche un modo per fare ostruzionismo», ha spiegato a Pagella Politica la deputata Enrica Alifano. Alifano è la delegata d’aula del Movimento 5 Stelle alla Camera: il suo compito è coordinare le presenze in aula dei colleghi di partito, mantenere l’ordine interno e indicare come votare, specie nei passaggi più tecnici.

Secondo Alifano, però, il suo partito non usa gli interventi a titolo personale solo per fare ostruzionismo. «Come gruppo abbiamo adottato la linea di valorizzare quanti più deputati possibili durante le discussioni. Per questo nelle nostre riunioni che anticipano i lavori dell’aula ci accordiamo in modo tale da dare spazio a tutti e gli interventi a titolo personale non sono sempre ostruzionistici, ma vanno anche nel merito delle questioni», ha spiegato la deputata del Movimento 5 Stelle.

Recuperare tempo

Alla Camera, gli interventi a titolo personale hanno assunto di fatto lo stesso valore delle dichiarazioni di voto. Spesso un deputato interviene per annunciare il voto favorevole o contrario del proprio gruppo su un articolo o emendamento, e un altro deputato dello stesso gruppo prende poi la parola, “a titolo personale”, per argomentare quella scelta.

È quanto successo, per esempio, durante l’esame della riforma della Corte dei Conti, una scelta che rientra in una strategia precisa. «È una sorta di escamotage messo in atto ormai da molti gruppi di opposizione: fare la dichiarazione di voto per tutto il gruppo usando gli interventi a titolo personale ci consente di risparmiare un po’ del tempo complessivo assegnato al nostro gruppo», ha spiegato a Pagella Politica Marco Grimaldi, vice-capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera. «In questo modo, possiamo fare intervenire molti più deputati di quanti non potremmo fare a nome del gruppo».

Alla Camera vige infatti il “contingentamento dei tempi”: all’inizio di ogni mese, l’Ufficio di presidenza stabilisce quanto tempo hanno a disposizione i gruppi parlamentari per intervenire in aula, durante l’esame delle proposte di legge in calendario. Oltre a questo, viene anche fissato un tempo complessivo per gli interventi a titolo personale dei deputati. Così, se i deputati usano questo tempo per fare dichiarazioni di voto, risparmiano minuti preziosi destinati al gruppo e permettono a più colleghi di intervenire in successione.

Secondo il regolamento della Camera, le dichiarazioni di voto possono essere fatte da un solo deputato per gruppo, mentre per gli interventi a titolo personale non ci sono limiti numerici. L’unico vincolo è che chi intende parlare a titolo personale deve comunicarlo in anticipo al presidente dell’assemblea.
Il vice-capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra Marco Grimaldi interviene alla Camera – Fonte: Ansa
Il vice-capogruppo di Alleanza Verdi-Sinistra Marco Grimaldi interviene alla Camera – Fonte: Ansa

Un’annosa questione

Il significato degli interventi a titolo personale è discusso da oltre vent’anni alla Camera: c’è chi sostiene che dovrebbero essere riservati a chi dissente dalla linea del proprio gruppo; altri ritengono che debbano restare uno spazio libero, in cui ogni deputato possa esprimere anche posizioni già condivise dal proprio partito.

Il dibattito è emerso già nel 2001, durante la quattordicesima legislatura. In quell’occasione, la Camera stava esaminando la proposta di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sul cosiddetto “caso Telekom Serbia”, legato all’acquisto di azioni della compagnia telefonica serba da parte di Telecom Italia nel 1997, durante il primo governo Prodi. Le accuse, lanciate dal faccendiere Igor Marini, si rivelarono poi infondate, e Marini fu condannato per associazione a delinquere e calunnia, anche nei confronti di Prodi.

Durante il dibattito in aula, il deputato dei Verdi Marco Boato chiese di intervenire a titolo personale per difendere un proprio emendamento. Ma Roberto Menia, allora deputato di Alleanza Nazionale (oggi senatore di Fratelli d’Italia), si oppose, sostenendo che quegli interventi dovessero servire solo per esprimere posizioni difformi da quelle del gruppo. L’allora vicepresidente della Camera Alfredo Biondi (Forza Italia), che presiedeva la seduta, gli rispose affermando che gli interventi a titolo personale non sono riservati solo a chi dissente dal gruppo di appartenenza.

In effetti, “parlare a titolo personale” non significa necessariamente “esprimere dissenso”. «Parlare a titolo personale non vuol dire per forza esprimere una posizione in dissenso dagli altri, ma anche semplicemente aggiungere un argomento all’interno di un dibattito o esprimere una tesi simile a quella espresso da altri, ma con proprie argomentazioni», ha spiegato a Pagella Politica Michele Cortelazzo, professore emerito di Linguistica all’Università di Padova. «L’espressione è comunque molto generica e come tutte le espressioni generiche si presta a distorsioni nel significato. Se nella pratica parlamentare è diventato un modo per fare ostruzionismo, è ovviamente un’altra questione, che riguarda i regolamenti parlamentari e il gioco reciproco tra le forze politiche».

«Intervenire a titolo personale per dare ragione al proprio gruppo è ormai una prassi consolidata. Per fortuna negli anni la Camera ha adottato diverse misure per contingentare i tempi dei lavori, altrimenti ci troveremmo di fronte a discorsi fiume», ha raccontato a Pagella Politica il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè (Forza Italia). 

Non è sempre stato così: negli anni Ottanta, i regolamenti parlamentari non prevedevano limiti di tempo per gli interventi, e i deputati dell’opposizione ne approfittavano. Un esempio celebre riguarda ancora Boato: nel 1981, l’allora deputato del Partito Radicale parlò per oltre 15 ore durante l’esame di un decreto-legge che modificava le regole sul fermo di polizia.

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