Che cosa prevede la riforma per l’elezione diretta del presidente del Consiglio

Il governo ha approvato il disegno di legge di riforma costituzionale, che ora dovrà essere esaminato dal Parlamento
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Il 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale per introdurre in Italia l’elezione diretta del presidente del Consiglio (una forma del cosiddetto “premierato”), a cui sarebbero dati più poteri rispetto a quelli attuali. Durante una conferenza stampa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito questo disegno di legge la «madre di tutte le riforme» e «un’enorme rivoluzione» per il Paese.

Secondo Meloni, questa riforma garantirebbe «due grandi obiettivi», ossia «il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare» e «il principio per cui chi viene scelto dal popolo possa governare con un orizzonte di legislatura». Lo stesso concetto è stato espresso dalla ministra per le Riforme istituzionali e la Semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha presentato più nel dettaglio la riforma.

Al momento il testo del disegno di legge non è ancora pubblicamente disponibile, ma il suo contenuto è stato riassunto dal governo in un comunicato stampa. Secondo fonti stampa, il testo della riforma è composto da cinque articoli, che modificano quattro articoli della Costituzione: l’articolo 59, l’88, il 92 e il 94.

Il contenuto della riforma

Con la modifica dell’articolo 92 della Costituzione si introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Secondo il testo della riforma, il capo del governo è eletto contestualmente alle elezioni politiche per il rinnovo di Camera e Senato e il suo mandato dura cinque anni. A differenza di quanto previsto oggi, la persona che diventa presidente del Consiglio deve essere per forza un parlamentare. 

È previsto inoltre un premio di maggioranza pari al 55 per cento dei seggi in Parlamento per la coalizione che esprime il presidente del Consiglio, per garantire maggiore stabilità al governo. Su questo punto, però, il governo deve ancora presentare la sua proposta per cambiare la legge elettorale.

Con la modifica dell’articolo 88 si elimina poi la possibilità per il capo dello Stato di sciogliere anche solo una delle due camere. La riforma prevede inoltre una norma definita “anti-ribaltone”, per impedire in futuro la formazione di governi tecnici o con altre maggioranze rispetto a quelle vincitrici alle elezioni. Con la modifica dell’articolo 94 della Costituzione, se il presidente del Consiglio eletto non ottiene la fiducia del Parlamento, il presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico e, qualora non ottenga di nuovo la fiducia, scioglie le camere. In caso di dimissioni, impedimento o sfiducia delle camere, il presidente della Repubblica può affidare l’incarico di formare un nuovo governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza, solo per realizzare il programma di governo e le dichiarazioni programmatiche approvate dal presidente inizialmente eletto. Se il governo non ottiene la fiducia, il capo dello Stato scioglie le camere.

È prevista infine la cancellazione del secondo comma dell’articolo 59, eliminando la possibilità per il presidente della Repubblica di nominare nuovi senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico fino alla scadenza del mandato, mentre per gli ex presidenti della Repubblica rimane comunque il diritto di diventare senatore a vita.

Il percorso della riforma

Il percorso di approvazione della riforma costituzionale è ancora lungo. Per riformare la Costituzione non è sufficiente infatti l’approvazione di una normale legge, che richiede solamente la maggioranza semplice delle due camere, ma occorre una speciale procedura di revisione prevista dall’articolo 138 della Costituzione stessa. Secondo questo articolo, la Camera e il Senato devono approvare la proposta di riforma costituzionale due volte nel medesimo testo. Se nella seconda votazione entrambe le camere approvano il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considera definitivamente approvata. Se invece nella seconda votazione si raggiunge solo la maggioranza assoluta, la riforma costituzionale può essere sottoposta a referendum popolare per confermarla. 

Al momento la maggioranza di centrodestra non ha i numeri in Parlamento per poter approvare il disegno di legge di riforma costituzionale senza la possibilità di dover passare per un referendum popolare. Alla Camera la maggioranza dei due terzi dell’assemblea è fissata infatti a 266 voti e il centrodestra può contare su 238 deputati. Discorso simile vale per il Senato, dove i voti necessari sono 166 e la maggioranza può contare su 136 senatori.

Qualora venisse approvata definitivamente, la riforma non entrerebbe comunque in vigore da subito, ma dal primo scioglimento delle camere dopo la sua approvazione. Se l’attuale legislatura dovesse terminare alla sua scadenza naturale, la riforma costituzionale entrerebbe in vigore nel 2027.

Come siamo arrivati fin qui

Qualora fosse approvata, quella sul premierato sarebbe la ventunesima riforma della Costituzione da quando è entrata in vigore nel 1948 e sarebbe la prima riguardante la forma di governo del nostro Paese. 

L’elezione diretta del presidente del Consiglio non era presente nel programma elettorale della coalizione di centrodestra per le elezioni politiche 2022, che prometteva invece l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Al momento quest’ultimo è eletto dal Parlamento in seduta comune, ossia dai deputati, dai senatori e dai rappresentanti delle regioni riuniti insieme. 

L’ipotesi del premierato è emersa nella primavera di quest’anno. A maggio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato i partiti di opposizione per trovare un accordo sul tema delle riforme, senza però arrivare a un’intesa. Nonostante questo, da lì in poi la ministra Casellati ha lavorato su un testo di riforma costituzionale per dare maggiori poteri al presidente del Consiglio. Il 29 agosto Casellati ha annunciato che il testo era praticamente pronto e che sarebbe servito solo qualche aggiustamento prima dell’esame in Consiglio dei ministri.

Dopo settimane di rinvii, il 30 ottobre scorso si è tenuto un vertice tra i partiti di maggioranza in cui si è ufficializzata la data del 3 novembre per il via libera alla riforma in Consiglio dei ministri.

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