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È vero che oltre 3 milioni di lavoratori in Italia sono poveri?

| 16 marzo 2023
La dichiarazione
«Sono più di 3 milioni le lavoratrici e i lavoratori che sono poveri anche se lavorano»
Fonte: Camera dei deputati | 15 marzo 2023
ANSA
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Verdetto sintetico
Il dato è sostanzialmente corretto, anche se dipende da che cosa si intende per “povero”.
In breve
  • Secondo Eurostat, nel 2021 l’11,7 per cento degli occupati in Italia viveva in condizioni di povertà lavorativa (a grandi linee, quasi 2,6 milioni di occupati). TWEET
  • Di recente un gruppo di esperti del Ministero del Lavoro ha ampliato la definizione di lavoratori poveri usata da Eurostat, calcolando che questo fenomeno riguarda oltre il 13 per cento degli occupati nel nostro Paese, quasi 3 milioni. TWEET
Il 15 marzo, durante il question time della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha dichiarato che in Italia oltre 3 milioni di persone sono povere «anche se lavorano». Nella sua domanda a Meloni, Schlein ha chiesto se il governo è intenzionato a introdurre il salario minimo, ricevendo una risposta negativa dalla presidente del Consiglio.

Al di là del dibattito sul salario minimo, su cui i partiti dell’opposizione hanno proposte diverse, il numero citato da Schlein è corretto oppure no? Abbiamo verificato.

I lavoratori poveri in Italia

A gennaio 2022 il Ministero del Lavoro, all’epoca guidato dal ministro Andrea Orlando (Partito democratico), ha pubblicato la relazione di un gruppo di lavoro sulle misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia. Il rapporto è stato curato da otto esperti del settore, coordinati dall’economista del lavoro Andrea Garnero, che lavora per l’Ocse. 

Per valutare il fenomeno della povertà lavorativa in Italia, il gruppo di lavoro è partito dall’in-work poverty, un indicatore calcolato da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, per individuare gli occupati poveri nei 27 Stati membri dell’Ue. Secondo Eurostat, un lavoratore è considerato “povero” se rispetta quattro condizioni: deve avere un’età tra i 18 e i 64 anni, deve essere occupato al momento della rilevazione dei dati, deve aver lavorato per almeno sette mesi nell’anno di riferimento, e in un anno deve avere un reddito disponibile equivalente (un particolare tipo di reddito che tiene conto del numero dei membri della famiglia) inferiore alla soglia della cosiddetta “povertà relativa”. Questa è fissata a un valore pari al 60 per cento del reddito disponibile mediano nazionale equivalente (valore mediano significa che la metà dei redditi ha un valore inferiore e l’altra metà superiore). Per un lavoratore single stiamo parlando di una soglia di 11.500 euro l’anno.

Nella relazione del Ministero del Lavoro, si faceva riferimento ai dati Eurostat del 2019 sulla povertà relativa. In quell’anno l’11,8 per cento degli occupati italiani era considerato in condizioni di in-work poverty, una percentuale di fatto rimasta uguale nel 2021 (11,7 per cento). Eurostat non fornisce però il numero di lavoratori poveri in valore assoluto. Con un calcolo spannometrico, se si rapporta la percentuale dell’11,7 per cento di lavoratori poveri con i circa 21,9 milioni di occupati (fascia 15-64 anni) secondo Istat nel 2021, si ottengono quasi 2,6 milioni di occupati poveri. 

Come spiega la relazione del gruppo di lavoro, «la definizione di lavoratore povero non è affatto univoca». Gli esperti consultati dal Ministero del Lavoro hanno così ampliato le condizioni di Eurostat per considerare un occupato come “povero”, mettendo dentro anche le persone che sono state occupate almeno un mese in un anno e che «reputano il loro lavoro come il loro status prevalente». Sulla base di questi criteri, il gruppo di lavoro ha stimato che nel 2017 la percentuale di lavoratori in povertà lavorativa era pari a 13,2 per cento. Assumendo che questa percentuale sia rimasta stabile fino a oggi, vorrebbe dire che – anche qui con un calcolo spannometrico – sui 22,4 milioni di occupati in Italia nel 2022 quasi 3 milioni di lavoratori sono in condizioni di povertà lavorativa.

Il gruppo di lavoro del ministero ha calcolato come cambia la percentuale di lavoratori poveri a seconda della forma contrattuale. Nel 2017, per esempio, la povertà lavorativa colpiva di più i lavoratori autonomi rispetto a quelli dipendenti, e riguardava in particolare gli occupati con almeno un mese di lavoro part-time (Tabella 1).
Tabella 1. Percentuale di lavoratori poveri – Fonte: Elaborazioni del gruppo di lavoro del Ministero del Lavoro sulla povertà lavorativa
Tabella 1. Percentuale di lavoratori poveri – Fonte: Elaborazioni del gruppo di lavoro del Ministero del Lavoro sulla povertà lavorativa

Il verdetto

Secondo Elly Schlein, «sono più di 3 milioni le lavoratrici e i lavoratori che sono poveri anche se lavorano». Il dato della segretaria del Partito democratico è sostanzialmente corretto, anche se dipende da che cosa si intende per “povero”.

Secondo Eurostat, nel 2021 l’11,7 per cento degli occupati in Italia viveva in condizioni di povertà lavorativa (a grandi linee, quasi 2,6 milioni di occupati). Di recente un gruppo di esperti del Ministero del Lavoro ha ampliato la definizione di lavoratori poveri usata da Eurostat, calcolando che questo fenomeno riguarda circa il 13 per cento degli occupati nel nostro Paese, quasi 3 milioni di occupati.

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