Il fact-checking del comizio con cui Meloni ha annunciato la sua candidatura alle europee

Abbiamo verificato dieci dichiarazioni fatte dalla presidente del Consiglio all’evento di Fratelli d’Italia a Pescara
Ansa
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Il 28 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato ufficialmente che si candiderà alle elezioni europee di giugno. Già all’inizio di gennaio Meloni aveva detto che avrebbe valutato un’eventuale candidatura, decisione che domenica ha confermato in un discorso al termine della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara. Se fosse eletta al Parlamento europeo, la presidente del Consiglio però dovrà rinunciare al seggio, visto che l’incarico è incompatibile con quello di capo di governo.

Dall’economia all’immigrazione, passando per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), abbiamo verificato dieci dichiarazioni fatte da Meloni per controllare quali sono supportate dai fatti e quali no.

Qui trovi tutti gli articoli e i fact-checking di Pagella Politica sulle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024

I risultati delle scorse europee

«Alle europee del 2019 noi abbiamo messo insieme il 6,5 per cento dei consensi. Era la prima volta che ottenevamo un risultato che ci metteva, come dire, al riparo da qualsiasi soglia di sbarramento»

Alle elezioni europee del 26 maggio 2019 Fratelli d’Italia prese il 6,5 per cento dei voti, la percentuale indicata correttamente da Meloni. La cosiddetta “soglia di sbarramento” alle elezioni europee è fissata al 4 per cento: non eleggono parlamentari europei i partiti che non superano questa percentuale di voti. Alle precedenti elezioni europee del 2014 Fratelli d’Italia – partito nato nel 2012 – non superò per poco la soglia di sbarramento, fermandonsi al 3,6 per cento dei voti. 

Le elezioni europee del 2019 non sono state le prime in cui il partito di Meloni ha superato una soglia di sbarramento. Alle elezioni politiche del 2018 Fratelli d’Italia ottenne 19 seggi alla Camera e sette seggi al Senato. In quelle del 2013 ottenne nove seggi alla Camera e nessuno al Senato.

L’andamento dello spread

«Dall’insediamento del nostro governo a oggi lo spread […] è sceso di oltre 100 punti base: da 236 punti a 131 di ieri»

È vero: a oggi lo spread è più basso rispetto a quando si è insediato il governo Meloni, ma questo calo va contestualizzato.

Lo spread indica la differenza tra il rendimento dei Btp, ossia i titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni, e quello dei suoi corrispettivi tedeschi, i Bund. Di norma, un aumento dello spread è interpretato come un peggioramento della fiducia nei titoli di Stato italiani da parte degli investitori, mentre un calo dello spread è letto come un aumento della fiducia.

Il governo Meloni si è insediato il 22 ottobre 2022. All’epoca lo spread valeva 233 punti base: c’era una differenza del 2,33 per cento tra il rendimento dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi. Come mostra il Grafico 1, nei mesi successivi lo spread ha avuto un andamento altalenante: è calato, per poi tornare a salire, ed è sceso di nuovo. Secondo i dati più aggiornati, il 24 aprile valeva 137 punti base, circa 100 punti base in meno rispetto alla fine di ottobre 2022.
Grafico 1. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 24 aprile 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore
Grafico 1. Andamento dello spread dal 22 ottobre 2022 al 24 aprile 2024 – Fonte: Il Sole 24 Ore
Come abbiamo spiegato in un altro articolo, un ruolo nel calo dello spread lo ha avuto soprattutto il peggioramento delle condizioni economiche della Germania, che hanno fatto aumentare il rendimento dei titoli di Stato tedeschi, restringendo lo spread.

Chi detiene il debito pubblico italiano

«Il debito sta tornando nelle mani degli italiani grazie al successo dei Btp Valore»

È vero che i Btp Valore sono stati molto richiesti, a volte superando le previsioni, ma Meloni esagera quando dice che grazie all’emissione di questi titoli di Stato è scesa la quota di debito pubblico italiano detenuta da investitori stranieri.

I Btp Valore sono particolari titoli di Stato lanciati dal governo Meloni per una clientela composta da famiglie e piccole imprese, e non da grandi investitori istituzionali come le banche e altre società finanziarie. Vengono definiti “valore” perché garantiscono rendimenti più alti rispetto alla norma. La prima emissione di Btp Valore è stata fatta a giugno 2023 e tra il 6 e il 10 maggio 2024 sarà effettuata una quarta emissione di questi titoli di Stato. 

Secondo i dati più aggiornati della Banca d’Italia, a gennaio 2024 il debito pubblico italiano valeva circa 2.849 miliardi di euro: quasi il 28 per cento era detenuto dai cosiddetti “non residenti”. Come suggerisce il nome, rientrano in questa categoria i singoli investitori e gli istituti finanziari che non sono residenti in Italia. 

Da quando si è insediato il governo Meloni, questa percentuale è rimasta di fatto stabile. A novembre 2022 il 27 per cento del debito pubblico era detenuto infatti da “non residenti”. La stessa percentuale è stata registrata a giugno 2023.

Il record dell’occupazione

«In questi mesi gli occupati sono cresciuti di oltre mezzo milione, abbiamo toccato il record di occupazione, di occupazione femminile, i contratti stabili aumentano, la precarietà diminuisce, la disoccupazione diminuisce […]. Vuol dire che le cose vanno meglio di prima»

Secondo i dati Istat più aggiornati, a febbraio 2024 in Italia c’erano 23 milioni e 773 mila occupati, oltre 500 mila in più rispetto a ottobre 2022. A dicembre 2023 il tasso di occupazione nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni ha raggiunto il 62 per cento, percentuale più alta mai registrata dal 2004, ossia da quando ci sono i dati mensili. Il tasso di occupazione femminile ha toccato il 53 per cento, anche qui un record. A febbraio 2024 entrambe queste percentuali erano un po’ più basse, rispettivamente al 61,9 per cento e al 52,8 per cento. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 7,8 per cento di ottobre 2022 al 7,5 per cento di febbraio 2024. A febbraio i lavoratori dipendenti con un contratto a tempo indeterminato erano quasi 16 milioni, circa 700 mila in più rispetto a ottobre 2022. Quelli con un contratto a tempo determinato erano poco più di 2,8 milioni, quasi duecentomila in meno rispetto a ottobre 2022.

Questi dati dimostrano che grazie al governo Meloni «le cose vanno meglio di prima» e che c’è stata un’inversione di tendenza? In realtà, come abbiamo spiegato più volte in passato, l’aumento dell’occupazione non è iniziato a ottobre 2022, con l’insediamento del nuovo governo. Il trend di crescita degli occupati è iniziato infatti già nel 2021 e già durante il governo Draghi erano stati raggiunti vari record sull’occupazione, poi superati dal governo Meloni. Nonostante i miglioramenti degli ultimi tre anni, il tasso di occupazione italiano resta il più basso di tutta l’Unione europea.

L’andamento degli sbarchi

«Grazie all’accordo tra Unione europea e Tunisia le partenze sulle rotte del Mediterraneo centrale sono diminuite del 60 per cento»

Qui non è chiaro a quale periodo faccia riferimento la presidente del Consiglio. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, dal 1° gennaio al 26 aprile 2024 sono sbarcati in Italia oltre 16 mila migranti, il 60 per cento circa in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Meloni non dice però che nei primi quattro mesi di quest’anno gli sbarchi restano più alti del 66 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, quando c’era ancora il governo Draghi (Grafico 2).
Grafico 2. I migranti sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 26 aprile, anni 2022-2023-2024 – Fonte: Ministero dell’Interno
Grafico 2. I migranti sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 26 aprile, anni 2022-2023-2024 – Fonte: Ministero dell’Interno
Ricordiamo che il 2023, con quasi 158 mila sbarchi, è stato il secondo anno con più arrivi dal 2016 (oltre 181 mila). E secondo le elaborazioni dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), lo scorso febbraio gli sbarchi annui (ossia quelli registrati nei 12 mesi precedenti) erano circa 147 mila, il 12 per cento in meno rispetto al picco degli sbarchi annui durante il governo Meloni, registrato a settembre 2023. Un calo meno contenuto del 60 per cento rivendicato dalla leader di Fratelli d’Italia.

In ogni caso, non è possibile attribuire tutta la riduzione degli sbarchi registrata in questi primi mesi del 2024 rispetto al 2023 alla firma dell’accordo con la Tunisia. L’accordo è stato firmato dall’Unione europea a luglio 2023, su spinta anche del governo Meloni, ma nei mesi successivi vari esponenti del governo hanno dato opinioni contrastanti sull’efficacia di questa intesa.

Quanto vale il traffico di esseri umani

«Le Nazioni Unite dicono che il traffico di esseri umani nel mondo è diventato molto più redditizio del traffico di armi e sta eguagliando il traffico della droga»

Già lo scorso settembre, parlando all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la presidente del Consiglio aveva fatto una dichiarazione simile, dicendo: «Oggi al mondo non esiste attività criminale più profittevole del traffico di migranti». In un fact-checking avevamo spiegato che quella dichiarazione era scorretta, ed è esagerata anche quella fatta di recente a Pescara.

Secondo le stime più aggiornate delle Nazioni Unite, nel mondo il profitto del traffico di migranti arriva fino ai 7 miliardi di dollari, mentre quello degli esseri umani fino a 32 miliardi. Il traffico di droga vale di più, superando i 300 miliardi di dollari.

Quanto sono costati i bonus edilizi

«Parliamo di un provvedimento che ha consentito di ristrutturare gratuitamente soprattutto seconde case, case di pregio, perfino castelli, scaricando il costo sulle tasse di tutti […] per un peso complessivo, considerando tutti i bonus edilizi, di oltre 200 miliardi di euro, circa 65 miliardi di euro in più di quanto ci costa l’intero fondo sanitario nazionale in un anno»

Le cifre indicate da Meloni sono corrette, mentre in base ai dati pubblicamente disponibili non è possibile sapere se effettivamente la maggior parte degli immobili ristrutturati con il Superbonus sia composta da «seconde case». 

Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia delle Entrate, i crediti d’imposta relativi ai bonus edilizi che sono stati oggetto di cessione o sconto in fattura tra ottobre 2020 e aprile 2024 hanno raggiunto un valore pari a circa 219 miliardi di euro. Di questi, 160,3 miliardi riguardano il Superbonus, 58,7 miliardi gli altri bonus edilizi. Nel 2024 il finanziamento al Servizio sanitario nazionale raggiungerà i 134 miliardi di euro. La differenza di circa 65 miliardi di euro indicata da Meloni è quindi sostanzialmente corretta.

Il Superbonus ha interessato meno del 4 per cento degli immobili presenti in Italia. Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), al 31 marzo 2024 otto “castelli” avevano usufruito del Superbonus. Enea ha spiegato a Pagella Politica che in questa categoria rientrano anche le dimore storiche. Il valore dei lavori effettuati su questi castelli e ammessi a detrazione ha raggiunto quasi il milione di euro.

Quanto valgono le truffe dei bonus edilizi

«Fino a oggi sono state scoperte truffe [legate ai bonus edilizi] per almeno 17 miliardi di euro»

Secondo i dati più aggiornati comunicati dall’Agenzia delle Entrate, fino a oggi i crediti d’imposta relativi a tutti i bonus edilizi e «oggetto di truffa» sono stati circa 15 miliardi di euro, una cifra un po’ più bassa di quella indicata da Meloni. Non tutti riguardano crediti d’imposta già usati da singoli cittadini, imprese o istituti finanziari per pagare meno imposte. Infatti, 8,6 miliardi di euro sono stati sequestrati in modo preventivo dall’autorità giudiziaria, mentre 6,3 miliardi sono stati scartati dalla piattaforma della cessione dei crediti. 

Nel complesso, i 15 miliardi di euro di frodi – che sono conteggiati nei 219 miliardi complessivi – valgono quasi il 7 per cento del totale dei crediti.

Come sta andando il Pnrr

«Oggi siamo la nazione più avanti in Europa per rate erogate [del Pnrr] e per progetti presentati. Noi non siamo più l’Italia che non sa spendere i fondi europei»

Questa dichiarazione di Meloni è fuorviante. Fino a oggi l’Italia ha ricevuto l’erogazione di quattro rate del Pnrr, così come il Portogallo e la Croazia. Ricordiamo che non tutti i Paesi hanno concordato con l’Ue l’erogazione dei fondi in dieci rate. 

Il fatto che l’Italia sia tra i primi Paesi per numero di rate erogate non significa che la spesa dei soldi del Pnrr stia proseguendo senza problemi. L’Ue eroga infatti i soldi quando i Paesi raggiungono un determinato numero di obiettivi, non un determinato livello di spesa.

Come abbiamo spiegato più volte in passato, l’Italia ha accumulato ritardi nella spesa delle risorse già ricevute per il Pnrr. Per esempio alla fine del 2023 il nostro Paese aveva speso 43 miliardi di euro, meno della metà dei soldi ricevuti fino ad allora dall’Ue. Quasi 28 miliardi erano stati usati per incentivi fiscali, in particolare per il Superbonus e Industria 4.0 (un piano che incentiva l’innovazione tecnologica delle imprese). Questi sono investimenti nati prima del Pnrr, il cui finanziamento è stato in parte poi inserito nel piano.

Un altro modo per valutare la bontà della spesa del Pnrr è confrontare i dati attuali con le previsioni fatte in passato. Il governo Meloni aveva stimato che nel 2023 si sarebbero spesi 34 miliardi del Pnrr. La cifra realmente spesa è stata inferiore di circa 14 miliardi. Nel 2024, nel 2025 e nel 2026 l’Italia dovrà spendere ancora circa 151 miliardi di euro, in media oltre 50 miliardi di euro l’anno, più di quanto speso finora per il Pnrr tra il 2021 e il 2023.

La crisi demografica in Europa

«Non c’è una sola nazione in Europa che raggiunga il cosiddetto “tasso di sostituzione”, quel 2,1 figli per donna che è necessario per garantire la continuità della popolazione»

La presidente del Consiglio ha ragione. Secondo i dati Eurostat più aggiornati, nel 2022 il Paese dell’Unione europea con il tasso di fecondità più alto era la Francia, con 1,79. Questo tasso indica il numero medio di figli per donna tra i 15 e i 49 anni. Il tasso di fecondità dovrebbe essere pari a 2,1 se si volesse mantenere il numero di abitanti stabile, in assenza di immigrazione ed emigrazione.

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