Gli incentivi alle imprese sono costati più del previsto e sappiamo poco sui loro benefici

Nel 2023 i crediti per Transizione 4.0 sono stati più alti delle stime iniziali e con tutta probabilità sarà così anche quest’anno. Manca una valutazione generale dell’impatto di questo piano
ANSA
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Oltre al Superbonus, c’è un’altra serie di incentivi che stanno costando più del previsto alle casse dello Stato. Stiamo parlando del piano “Transizione 4.0” (un tempo chiamato “Industria 4.0”), che da anni agevola gli investimenti delle imprese nelle nuove tecnologie attraverso il sistema dei crediti d’imposta. 

Il 22 aprile l’Ufficio parlamentare di bilancio, un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici, ha dichiarato in un’audizione in Parlamento che nel 2023 sono stati compensati 7,6 miliardi di euro di crediti d’imposta relativi agli incentivi di Transizione 4.0. Questa cifra è il 30 per cento più alta rispetto a quanto inizialmente previsto. «I dati delle compensazioni effettuate nei primi tre mesi del 2024 (pari a 3,3 miliardi) già rappresentano il 70 per cento del totale stimato inizialmente» per quest’anno, ha sottolineato l’Ufficio parlamentare di bilancio. Con tutta probabilità, dunque, anche la spesa per l’anno in corso sarà superiore alle attese.

Il decreto-legge del governo che ha definitivamente bloccato la cessione dei crediti per i bonus edilizi ha stabilito la creazione di un sistema di monitoraggio dei crediti di Transizione 4.0. In attesa che queste misure diventino operative, l’Agenzia delle Entrate ha annunciato di aver sospeso la compensazione dei crediti d’imposta per questo piano.

Ma al di là dei costi superiori alle stime iniziali, questi incentivi hanno almeno raggiunto i risultati sperati? Abbiamo controllato che cosa dicono gli studi e al momento le prove dell’efficacia di Transizione 4.0 sono poche.

Che cos’è Industria 4.0 in breve

Innanzitutto, vediamo brevemente che cos’è Industria 4.0, o Transizione 4.0 come è chiamata negli ultimi anni. Per capirlo, bisogna fare un passo indietro di otto anni.

A febbraio 2016, durante il governo Renzi, la Commissione Attività produttive della Camera ha pubblicato i risultati di un’indagine conoscitiva per avviare un piano in grado di «favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali». Le indagini conoscitive sono procedure che permettono alle commissioni parlamentari di acquisire notizie, informazioni e documentazioni su materie di loro competenza. In concreto, queste indagini consistono di solito in un ciclo di audizioni che può durare molti mesi, al termine del quale viene approvato un documento conclusivo.

In seguito, a settembre 2016 il Ministero dello Sviluppo economico guidato da Carlo Calenda ha approvato il “Piano nazionale Industria 4.0”, con l’obiettivo di favorire la spesa in ricerca e sviluppo, aumentare gli investimenti delle imprese e aumentare il loro livello di innovazione. Molte delle misure previste dal piano sono state introdotte con la legge di Bilancio per il 2017. Vediamo alcune delle più importanti.

Il super-ammortamento e l’iper-ammortamento erano due forme di agevolazioni fiscali che consentivano alle aziende di dedurre una quota aggiuntiva di ammortamento sui loro investimenti in beni strumentali e beni materiali. Il super-ammortamento consentiva di dedurre una quota aggiuntiva del 40 per cento degli investimenti in beni strumentali, mentre l’iper-ammortamento consentiva di dedurre una quota aggiuntiva del 150 per cento degli investimenti in beni materiali, dispositivi e tecnologie 4.0. Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo riconosceva invece un credito del 50 per cento sulle spese incrementali in ricerca e sviluppo, appunto, fino a un massimo di 20 milioni di euro all’anno.

Accanto a questi strumenti, già nella legge di Bilancio per il 2015 (all’epoca chiamata ancora “legge di Stabilità”), era stato inserito il cosiddetto patent box. Questo è un regime fiscale di favore che permette alle imprese di escludere dalla base imponibile, ossia il valore su cui si calcolano l’Irpef e l’Irap, una parte dei redditi prodotti dall’uso di beni immateriali, come i software protetti da copyright o i brevetti industriali.

Negli anni successivi, il piano è stato soggetto a varie revisioni, culminando nel cambio di denominazione in “Transizione 4.0” nel 2019. Tra le modifiche apportate, quelle più significative riguardano le agevolazioni relative agli ammortamenti e al patent box. Semplificando, è stato introdotto il concetto di credito d’imposta al posto delle precedenti modalità di maggiorazione degli ammortamenti. Inoltre, la disciplina del patent box è stata ridefinita: anziché stabilire una quota di reddito esclusa dall’imponibile complessivo, come spiegato in precedenza, si è passati a una maggiorazione fino al 110 per cento dei costi sostenuti.

Gli impatti sui conti pubblici

A oggi sono stati condotti pochi studi per valutare l’impatto di Industria 4.0 sulle finanze dello Stato, che finora sono stati tutt’altro che trascurabili. Sebbene in misura minore rispetto al Superbonus, insieme ai bonus edilizi «gli incentivi alle imprese Transizione 4.0 hanno inciso marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni e lasciano una pesante eredità sul futuro», ha dichiarato l’Ufficio parlamentare di bilancio il 18 aprile in un’altra audizione in Parlamento. 

Nei tre anni tra il 2021 e il 2023 la perdita di gettito complessiva per le casse dello Stato, generata dai crediti d’imposta per gli investimenti delle aziende, ha raggiunto un valore di 12,5 miliardi di euro, più bassa dei 13,4 miliardi inizialmente stimati. Ma come abbiamo visto, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che il problema è un altro, ossia che i costi del 2023 sono stati più alti del previsto e lo stesso avverrà con tutta probabilità nel 2024.

Per quanto riguarda il patent box, già nel 2022 l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva segnalato che nei cinque anni tra il 2015 e il 2020 i costi di questa misura sono stati superiori di circa 11 miliardi rispetto alle stime iniziali. Per quanto riguarda invece la parte di crediti di imposta legata alla ricerca e sviluppo, sembra esserci stata una maggiore coerenza fra la spesa stimata e quella effettiva, anche se tra il 2021 e il 2024 è emersa una perdita di gettito di circa 2 miliardi di euro, un po’ più alta rispetto alle previsioni.

Gli effetti economici

Discorso simile all’impatto sui conti pubblici vale anche per gli effetti economici generati da Industria 4.0: finora sono stati condotti pochi studi per valutarli, come ha evidenziato di recente l’Ufficio parlamentare di bilancio.

«A fronte di misure fiscali che assorbono importi sempre più rilevanti sarebbe opportuno introdurre in maniera sistematica nelle procedure di bilancio una loro valutazione ex post, da un lato, per valutare se le diverse misure sono risultate efficaci rispetto agli obiettivi perseguiti ed eventualmente poterle riorientare e, dall’altro, per verificare che le risorse collettive effettivamente impiegate non superino le stime iniziali della perdita di gettito attesa», ha detto in audizione l’Ufficio parlamentare di bilancio. «Il monitoraggio e la quantificazione ex post assumono rilevanza sotto il profilo sia della tenuta dei conti pubblici sia per l’aggiornamento degli andamenti tendenziali di agevolazioni già esistenti e per migliorare l’attività di quantificazione delle nuove misure».

Riassumendo: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, manca in Italia una valutazione degli incentivi, come quelli edilizi o alle imprese, che permetta di capire come si stanno spendendo i soldi e se si può migliorare la spesa. Per quanto riguarda Industria 4.0, qualche valutazione è comunque uscita negli ultimi anni.

Nel 2020 Banca d’Italia ha pubblicato una ricerca, poi uscita su una rivista scientifica nel 2023, in cui sono stati valutati gli effetti economici di tre riforme, introdotte tra il 2011 e il 2017: la liberalizzazione del settore dei servizi regolamentati; gli incentivi all’innovazione, di cui faceva parte Industria 4.0; e il pacchetto di riforme che hanno innovato la giustizia civile. Secondo i ricercatori della Banca d’Italia, nel 2019 il Pil italiano era tra il 3 e il 6 per cento più alto rispetto a quello che sarebbe stato registrato se non si fossero adottate le riforme analizzate. Il contributo maggiore alla crescita dell’economia è stato dato alla liberalizzazione del settore dei servizi. Più nel dettaglio, per le stime di Banca d’Italia – che per loro natura hanno un margine di incertezza – l’effetto sulla produttività degli incentivi alle aziende avrebbe generato un aumento della produttività pari all’1,4 per cento. Per avere un ordine di confronto, la liberalizzazione dei servizi avrebbe aumentato del 4,3 per cento la produttività di questo settore.

Anche all’interno delle relazioni annuali pubblicate da Banca d’Italia negli ultimi anni sono state inserite alcune valutazioni sugli effetti di Industria 4.0. Per esempio, secondo la Relazione di Banca d’Italia per il 2017, l’impatto delle agevolazioni relative a Industria 4.0 è stato particolarmente rilevante solo sugli acquisti di mezzi di trasporto. Stando ai dati presentati, questa componente era l’unica, fra i beni strumentali materiali, ad aver superato i livelli precedenti la crisi. Al rialzo degli investimenti avrebbero contribuito anche le condizioni creditizie molto favorevoli, riconducibili all’orientamento espansivo della politica monetaria. La legge di Bilancio per il 2018 ha escluso dalle agevolazioni l’acquisto di veicoli e mezzi di trasporto. 

La Relazione della Banca d’Italia per il 2017 ha anche aggiunto che in quell’anno e nel 2018 il contributo combinato delle agevolazioni fiscali alle imprese per gli investimenti, degli aumenti degli investimenti pubblici e del rinnovo dei contratti del pubblico impiego sarebbe stato complessivamente inferiore allo 0,3 per del Pil nel 2017 e allo 0,2 per cento nel 2018. Di contro, la politica monetaria ha contribuito per lo 0,9 per cento nel primo anno e per lo 0,7 per cento nel secondo.

Un altro indicatore utile per valutare la componente tecnologica di un Paese è la total factor productivity (TFP), che misura quanto efficacemente un’economia usa le sue risorse per produrre beni e servizi. Secondo il database AMECO della Commissione Ue, negli ultimi vent’anni la TFP dell’Italia è rimasta praticamente costante.

Riguardo agli obiettivi di stimolo alla spesa in ricerca e sviluppo, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che la crescita fra il 2011 e il 2020 è stata pari allo 0,3 per cento del Pil, passando dall’1,2 all’1,5 per cento. Nonostante l’aumento, l’Italia è rimasta al di sotto della media europea, che nello stesso periodo è salita dal 2 per cento al 2,3 per cento. Il divario è ancora più evidente se si considera che nel 2020 l’Italia è stata raggiunta dalla Grecia, un Paese che nel 2011 aveva la spesa in ricerca e sviluppo più bassa in Europa (pari allo 0,7 per cento del PIL). Questo divario non è stato colmato negli anni successivi: nel 2022 la spesa in ricerca e sviluppo dell’Italia valeva l’1,3 per cento del Pil, quello della Grecia quasi l’1,5 per cento.

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