Conte continua a gonfiare i risultati del Superbonus

Dalla crescita del Pil al calo del debito pubblico, passando per i posti di lavoro creati: che cosa non torna nei numeri rilanciati dal presidente del Movimento 5 Stelle
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
In meno di una settimana il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha ripetuto in quattro interviste una dichiarazione con cui ha gonfiato ancora una volta i risultati del Superbonus. Secondo Conte, in tre anni il bonus edilizio ha fatto crescere del «13,2 per cento» il Prodotto interno lordo (Pil) italiano; ha fatto calare di «17,6 punti» il rapporto tra il debito pubblico e il Pil; e ha creato «quasi un milione di posti di lavoro». L’ex presidente del Consiglio ha citato questi numeri il 27 marzo in un’intervista con il TG1, poi il 31 marzo in un’intervista con la Repubblica, e il 2 aprile a Cinque minuti e a Porta a Porta su Rai 1. A sostegno della sua tesi, il presidente del Movimento 5 Stelle ha dichiarato che queste statistiche sono certificate da «fonti indipendenti», tra cui il Financial Times, Nomisma e il Censis. 

Abbiamo controllato che cosa c’è di vero e che cosa no nelle parole di Conte. In breve: come ha già fatto più volte in passato parlando del Superbonus, il presidente del Movimento 5 Stelle ha mischiato numeri corretti con numeri esagerati per far passare un messaggio scorretto e fuorviante, ossia che la ripresa dell’economia italiana sia tutto merito del bonus edilizio.

La crescita del Pil

Iniziamo dalla crescita del Pil, che secondo Conte sarebbe aumentato del 13,2 per cento per merito del Superbonus nei tre anni tra il 2021 e il 2023. Ricordiamo che Conte è rimasto presidente del Consiglio fino a febbraio 2021, quando è stato sostituito dal governo Draghi, supportato anche dal Movimento 5 Stelle, che però nell’estate del 2022 ha contribuito alla sua caduta. Il Superbonus, invece, è stato introdotto a maggio 2020, come una delle misure per rilanciare l’economia colpita dalla pandemia di Covid-19.

Secondo i dati Istat, nel 2023 il Pil italiano è stato più alto del 13,6 per cento rispetto al 2020, un aumento in linea con quello indicato da Conte [1]. Questa crescita va contestualizzata: nel 2020 il valore del Pil era calato del 9 per cento rispetto al 2019 a causa della pandemia. Se consideriamo i livelli pre-pandemici, nel 2023 il Pil era più alto del 3,5 per cento rispetto al 2019: un dato positivo, ma più basso rispetto a quanto dichiarato da Conte.

Questa crescita non è comunque tutto merito del Superbonus, come ha più volte sostenuto il presidente del Movimento 5 Stelle in questi mesi. Vediamo più nel dettaglio perché.

Conte sostiene che la fonte della sua dichiarazione sia una recente analisi del Financial Times, pubblicata il 7 marzo. Secondo il quotidiano finanziario, in effetti il settore edilizio ha avuto un ruolo importante nel sostenere la crescita economica dell’Italia dopo il 2020, grazie al Superbonus e al sistema della cessione dei crediti per gli altri bonus edilizi. Per esempio il Financial Times ha sottolineato che fino a oggi la crescita italiana rispetto al 2019 è stata la più alta tra quelle dei grandi Paesi europei, con un particolare aumento degli investimenti, che comprendono anche quelli in edilizia.

L’impatto del Superbonus si nota nella variazione del valore aggiunto del settore delle costruzioni tra il 2020 e il 2023. Come mostra il grafico, in questo periodo la crescita è stata del 47 per cento per le costruzioni, mentre per l’industria manifatturiera e per i servizi è stata tra il 9 e il 16 per cento. Semplificando un po’, il valore aggiunto indica la differenza tra i ricavi e i costi esterni di produzione (per esempio quelli per le materie prime) e rappresenta la capacità di un’impresa (o di un’economia, se consideriamo gli aggregati) di creare valore dati determinati input esterni.
La rapida crescita del settore edilizio, però, non significa necessariamente che l’impatto sul Pil dell’edilizia sia stato così rilevante. Le costruzioni, infatti, rappresentano il 5 per cento del valore aggiunto prodotto dall’Italia in un anno. Ma osservando la variazione del valore aggiunto tra il 2020 e il 2023, si nota che questo settore ha contribuito per circa il 13 per cento alla crescita di quel periodo.

Insomma, la forte crescita del settore delle costruzioni innescata dal Superbonus e dagli altri bonus edilizi c’è stata e ha avuto un impatto sull’economia. Ma è scorretto dire, come fa Conte, che tutta la crescita economica degli ultimi tre anni è merito del Superbonus: lo è solo in parte. Per avere una stima precisa, bisogna considerare che una parte degli interventi di edilizia residenziale interessati dai bonus sarebbero comunque stati fatti anche in assenza degli incentivi fiscali. Sulla base di queste premesse, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha stimato che nel 2021 e nel 2022 il contributo degli investimenti in costruzioni residenziali alla crescita del Pil è stato di due punti percentuali, di cui uno è riconducibile al Superbonus. Questa stima è più o meno in linea con quelle fatte dall’Agenzia dell’Entrate e dal Ministero dell’Economia.

Oltre all’efficacia del Superbonus, va considerata anche la sua efficienza. Lo stesso Financial Times – e questo Conte non lo dice – non ha sottolineato solo l’impatto del Superbonus sulla crescita, ma anche quello sui conti pubblici, che è stato molto alto e superiore alle previsioni iniziali. Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), alla fine di febbraio 2024 il valore totale delle detrazioni maturate per i lavori conclusi con il Superbonus superava i 114 miliardi di euro.

Il calo del rapporto tra debito e Pil

Veniamo adesso al calo del debito pubblico. Conte ripete che in tre anni il rapporto tra il debito pubblico e il Pil è sceso di 17,6 punti grazie al Superbonus. Secondo le stime pubblicate da Istat il 1° marzo, nel 2020 questo rapporto era pari al 154,9 per cento, mentre nel 2023 è sceso al 137,3 per cento: la differenza è pari a 17,6 punti, il numero correttamente indicato dal presidente del Movimento 5 Stelle. 

Sulla dichiarazione di Conte vanno però fatte alcune osservazioni. Innanzitutto, prima della pandemia, nel 2019 il rapporto tra debito pubblico e Pil era pari al 134,6 per cento, circa 5 punti percentuali inferiore rispetto a oggi e 11 punti percentuali in meno rispetto al 2021, quando è finita l’esperienza del secondo governo Conte. In secondo luogo, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil può ridursi per due motivi: da un lato, se scende lo stock di debito, ossia la quantità di risorse prese a prestito; dall’altro lato, se cresce il Pil nominale, che a differenza del Pil reale non tiene conto dell’inflazione. Il Pil nominale sta al denominatore ed è inversamente proporzionale al rapporto: in concreto, più aumenta il Pil, più cala il rapporto tra il debito e il Pil. 

Di solito in economia si fa riferimento al rapporto tra il debito e il Pil, e non al valore assoluto del debito, per un motivo: non importa tanto quanto un soggetto sia indebitato, sia esso uno Stato, un’azienda o una famiglia, ma piuttosto quanto reddito produce per rendere quel debito sostenibile. Un professionista che fattura alcuni milioni di euro ogni anno e ha un mutuo da 100 mila euro è più indebitato in valori assoluti di un disoccupato che ha chiesto un prestito da 10 mila euro, ma la sostenibilità dei due debiti è diversa perché è diverso il reddito generato dai due soggetti. Anche se con qualche differenza, lo stesso ragionamento funziona anche quando si parla del debito degli Stati.

Dunque, secondo Conte la crescita del Pil innescata dal Superbonus sarebbe stata talmente alta da ridurre il rapporto tra il debito pubblico e il Pil. Questa riduzione sarebbe avvenuta, a detta sua, perché la crescita economica sarebbe stata più alta del maggiore indebitamento a cui lo Stato è dovuto ricorrere per finanziare le ristrutturazioni degli immobili. Al di là degli effetti di lungo periodo (l’aumento del Pil sta arrivando in questi anni, mentre gli oneri del Superbonus si spalmeranno sui prossimi), questa tesi è poco solida per varie ragioni.

Di recente l’Istat ha rivisto al rialzo il deficit (ossia la differenza in negativo tra quanto lo Stato spende e incassa) registrato nel 2023. Il governo Meloni aveva previsto che lo scorso anno il deficit avrebbe avuto un valore pari al 5,3 per cento del Pil. In realtà è stato pari al 7,2 per cento, con una differenza in negativo di circa 40 miliardi di euro. L’aumento del deficit è stato dovuto proprio alla crescita delle detrazioni dei bonus edilizi, che è stata più alta del previsto. Anche la stima del deficit per il 2022 è stata rivista al rialzo a causa dei bonus edilizi, raggiungendo un valore pari all’8,6 per cento del Pil. È normale che in un periodo di crisi l’indebitamento di uno Stato cresca, ma il valore del deficit italiano resta più alto rispetto ad altri Paesi europei. Il dato del 2023, per esempio, è pari al doppio della media dell’Unione europea ed è particolarmente preoccupante per il nostro Paese, che ha il secondo rapporto tra debito pubblico e Pil più alto nell’Ue. L’impatto del Superbonus sulla crescita non è quindi bastato a far scendere il rapporto tra il debito e il Pil, suggerendo che l’efficacia della misura sia stata piuttosto limitata e, anzi, possa aver aggravato ulteriormente lo stato dei conti pubblici italiani.

Va poi sottolineato che il calo degli ultimi anni del rapporto tra debito e Pil è dipeso molto anche dall’inflazione. Come abbiamo anticipato, nel calcolo del rapporto non si considera il Pil reale, ossia il Pil al netto dell’aumento dei prezzi, ma quello nominale. Per capire la differenza basta un esempio: immaginiamo un’economia che produce solo mele, che costano un euro l’una. Se nel 2020 sono state prodotte dieci mele, il Pil varrà dieci euro. Se l’anno successivo si producono sempre dieci mele, ma che costano due euro l’una, il Pil salirà a 20 euro. Questo è l’aumento del Pil nominale, calcolato ai prezzi correnti, mentre il Pil reale, che considera la quantità effettivamente prodotta, rimarrà invariato. Se però lo stock di debito vale dieci euro e il Pil nominale cambia, si passerà da un rapporto tra debito e Pil del 100 per cento a un rapporto pari al 50 per cento.

In Italia l’aumento del Pil nominale, e quindi il calo del rapporto tra debito e Pil, è stato trainato in parte proprio dall’inflazione, che è cresciuta molto dal 2021 in poi. Il Superbonus e gli altri bonus edilizi hanno contribuito a questo fenomeno, dato che la forte domanda di ristrutturazioni ha contribuito a far crescere i prezzi nelle costruzioni, e quindi a far crescere l’inflazione. Ma è difficile definire questo aumento dei costi come un risultato positivo ottenuto dai bonus edilizi.

Il «milione di occupati»

E veniamo adesso all’ultima statistica citata da Conte, quella secondo cui il Superbonus avrebbe creato quasi un milione di posti di lavoro. Non è chiaro a quale periodo faccia riferimento il presidente del Movimento 5 Stelle, ma già lo scorso settembre Conte aveva fatto una dichiarazione identica, citando come fonti Nomisma e Censis.

Nomisma è una società che realizza consulenze e ricerche di mercato per imprese, associazioni e istituzioni pubbliche. Il Censis è un istituto di ricerca socioeconomica che si occupa anche di consulenza e assistenza tecnica. Dal 2021 in poi Nomisma e Censis hanno pubblicato alcune stime sugli impatti economici e occupazionali del Superbonus, ma come abbiamo spiegato in passato, i loro calcoli hanno alcuni limiti. Per esempio c’è poca trasparenza su come Nomisma e Censis abbiano elaborato le loro stime. In base alle informazioni disponibili, entrambi hanno sovrastimato il cosiddetto “effetto moltiplicatore” del Superbonus, ossia il contributo all’economia generato dagli investimenti in edilizia. Entrambi hanno poi un potenziale conflitto d’interessi con il Superbonus. Il rapporto del Censis più citato sul Superbonus è stato realizzato con associazioni che rappresentano le imprese attive nel campo dell’edilizia e con una società di consulenza attiva nel settore dell’efficientamento energetico degli edifici e nella cessione dei crediti d’imposta. Tra i suoi servizi anche Nomisma ha offerto supporto alle imprese nelle procedure relative all’erogazione del Superbonus e alla cessione dei crediti d’imposta. 

Al di là di queste osservazioni, secondo Censis il «milione» di nuovi occupati (per la precisione circa 900 mila, considerando occupati diretti e indiretti) sarebbe stato creato dal Superbonus in un periodo preciso: tra agosto 2020 e ottobre 2022. Un dato mostra subito perché questa stima è implausibile. Secondo Istat, nel periodo di tempo considerato dal Censis, tutti gli occupati in Italia sono aumentati più o meno di un milione di unità. Fosse vero che il Superbonus ha creato quasi un milione di posti di lavoro, vorrebbe dire che tutti i nuovi occupati generati tra agosto 2020 e ottobre 2022 nel nostro Paese, in tutti i settori economici, sarebbero stati frutto del bonus edilizio. Ma è impossibile che da solo l’incentivo fiscale abbia contribuito alla crescita totale dell’occupazione in Italia.

A sua volta, Censis citava come fonte una stima del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI). Lo stesso CNI ha spiegato a Pagella Politica che la sua stima è stata fraintesa. Il dato sul «milione di occupati» non riguardava «nuova occupazione ma la forza lavoro impiegata». «È verosimile pensare che una parte di questi occupati siano preesistenti e che altri siano nuovi occupati», ha sottolineato il CNI.

Il Superbonus, viste le ingenti risorse che ha impiegato, ha sì contribuito all’aumento dell’occupazione, ma in misura più contenuta di quanto sostenuto da Conte. Altre stime confermano questa tesi. Per esempio secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Superbonus ha creato al massimo 250 mila occupati, mentre secondo l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) il dato corretto è ancora più basso, intorno ai 170 mila occupati, considerando solo il settore delle costruzioni.

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