Dieci riforme e proposte di legge che non ce l’hanno fatta

A causa delle elezioni anticipate, molte iniziative decadranno: dopo il voto, se presentate di nuovo, dovranno iniziare da capo il loro percorso in Parlamento
ANSA
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Il 13 ottobre si riunirà il nuovo Parlamento che uscirà dalle elezioni del 25 settembre. Intanto, centinaia di proposte di legge presentate durante questa legislatura si trovano in un limbo: hanno iniziato l’iter parlamentare e ricevuto in alcuni casi l’approvazione di una delle due camere, ma non hanno raggiunto il via libero definitivo da parte di entrambe, necessario per diventare vere e proprie leggi. 

Che cosa succederà a questi testi con la nuova legislatura? Dalla riforma del fisco allo ius scholae, passando per il suicidio assistito, ecco alcuni dei testi più discussi negli ultimi mesi, che in questa legislatura non ce l’hanno fatta.

Che cosa succede alle leggi non approvate

Come ha spiegato a Pagella Politica Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre, le leggi per le quali il Parlamento non riuscirà a concludere l’esame decadranno con l’insediamento delle nuove camere: «Tutti gli atti di cui non è stato concluso l’esame decadono automaticamente a fine legislatura, a eccezione dei decreti-legge in fase di conversione, delle proposte di legge di iniziativa popolare e delle leggi che il presidente della Repubblica ha rinviato al Parlamento», ha detto Celotto. 

I testi decaduti dovranno essere ripresentati nella prossima legislatura e il loro esame ripartirebbe dall’inizio, ossia dall’esame nelle commissioni. Restano validi, invece, i disegni di legge delega già approvati dal Parlamento, come la legge annuale sulla concorrenza: si tratta di leggi con cui il Parlamento cede al governo il potere legislativo per modificare le norme in vigore su un determinato tema, indicando anche i criteri generali a cui attenersi.

La delega fiscale

Uno tra i provvedimenti principali che decadranno con la prossima legislatura è la legge delega per la riforma del fisco, promessa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (alla sua approvazione non è però legata l’erogazione dei fondi europei). Il testo è stato presentato dal governo in Parlamento a fine ottobre e approvato dalla Camera a giugno, dopo mesi di contrasti all’interno dei partiti che sostenevano l’esecutivo. Tra le altre cose, il testo conteneva varie disposizioni sul catasto, alcune novità sull’Irpef e una revisione dell’Iva e dell’Irap. 

Al Senato i partiti non sono riusciti a trovare un accordo, a causa soprattutto della contrarietà della Lega. Per questo motivo, il 20 settembre, durante l’ultima seduta prima delle elezioni, il provvedimento non è stato nemmeno discusso. Il compito passa ora al prossimo governo, che avrà la possibilità di presentare un nuovo testo, e ai parlamentari della prossima legislatura che dovranno approvarlo.

Il 16 settembre, durante la conferenza stampa per la presentazione del decreto “Aiuti ter”, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto che «c’era un accordo con tutte le forze politiche» per votare il testo in Senato il 7 settembre, con cui il governo si era impegnato a non emanare alcun decreto legislativo prima delle elezioni. «Il governo ha mantenuto la sua parola e non l’ha fatto. Di tutte le forze politiche, una non ha mantenuto la sua parola e non l’ha votata or, ha detto Draghi, riferendosi alla Lega, senza citarla.  

La depenalizzazione della cannabis

Anche la proposta di legge sulla depenalizzazione della cannabis dovrà ricominciare da capo l’esame parlamentare. Il testo attualmente in discussione – nato dall’unificazione di due proposte sul tema, presentate rispettivamente dal deputato di Più Europa Riccardo Magi e dalla deputata di Impegno civico Caterina Licatini – vuole consentire la coltivazione di al massimo quattro piante per uso personale e ridurre le sanzioni per chi spaccia cannabis e altre droghe leggere in piccole quantità. 

La proposta di legge è stata approvata il 27 giugno alla Commissione Giustizia della Camera e ha iniziato l’esame in assemblea il 29 giugno. Da lì il percorso della proposta si è bloccato: per l’approvazione definitiva mancherebbero ancora i via libera da parte sia della Camera che del Senato.

Il futuro della legge dipenderà con tutta probabilità dai risultati delle elezioni. Il Movimento 5 stelle e la coalizione di centrosinistra, con Partito democratico, Più Europa e Alleanza Verdi-Sinistra, è favorevole a legalizzare la coltivazione di cannabis per uso personale, mentre la coalizione di centrodestra è contraria. Carlo Calenda, il leader dell’alleanza tra Azione e Italia viva, ha detto in un’intervista del 9 settembre di essere a favore della depenalizzazione, ma di voler mantenere comunque una sanzione amministrativa per chi consuma cannabis. 

Lo ius scholae

La fine della legislatura annulla anche i passi avanti in Parlamento fatti sul cosiddetto “ius scholae”, la riforma che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni. L’attuale legge sulla cittadinanza è basata sul principio dello ius sanguinis e prevede che le persone nate in Italia da genitori entrambi stranieri debbano aspettare i 18 anni di età per poter ottenere la cittadinanza. 

Dopo essere stato approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, il 29 giugno il testo è passato all’esame dell’assemblea, dove però l’iter si è arenato a causa soprattutto dell’ostruzionismo messo in atto dalla Lega. 

Anche in questo caso il futuro del testo dipenderà dalla composizione del prossimo Parlamento. Al momento i principali partiti della coalizione di centrosinistra, così come l’alleanza tra Italia viva e Azione, e il Movimento 5 stelle, promettono nei rispettivi programmi elettorali di introdurre lo ius scholae nella prossima legislatura, mentre il centrodestra è contrario. 

La legge per agevolare il voto dei fuorisede

Un’altra legge che, alla fine di questa legislatura, terminerà il suo percorso in Parlamento con un nulla di fatto è quella sul diritto di voto per i fuorisede, cioè le persone che vivono fuori dal comune di residenza, per esempio per motivi di studio o di lavoro. Al momento infatti, e anche per le elezioni del 25 settembre, per votare i fuorisede devono tornare al loro comune di residenza, salvo alcune eccezioni, con ostacoli economici e logistici che rischiano di limitare la loro partecipazione al voto.

A maggio 2021 il Parlamento ha iniziato l’esame di cinque proposte di legge sul tema, di cui quattro di iniziativa parlamentare e una di iniziativa popolare. Poco dopo l’inizio dell’esame, il Ministero dell’Interno aveva presentato alcune obiezioni, relative soprattutto all’ipotesi di permettere il voto per corrispondenza, che hanno contribuito a rallentare l’iter di approvazione.

Entro agosto il deputato Giuseppe Brescia (M5s), relatore delle proposte, avrebbe dovuto presentare un testo unificato per semplificare l’esame e rispondere alle obiezioni del Ministero dell’Interno. Di fatto però, con la caduta del governo Draghi e lo scioglimento anticipato delle Camere, questo non è mai successo. Tutte le proposte dovranno quindi essere presentate nuovamente durante la prossima legislatura, e ricominciare da capo il percorso di approvazione. 

Il tema del voto ai fuorisede è stato discusso anche nell’attuale campagna elettorale. A inizio settembre, per esempio, il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha detto che il suo partito ha fatto «di tutto per approvare la legge sul voto ai fuorisede», affermando poi che il tema sarà «una priorità per la prossima legislatura, perché è uno scandalo che chi è fuori (dal comune di residenza, ndr) sia limitato nel suo diritto di voto». Dal canto suo, a fine agosto il leader di Azione Carlo Calenda aveva proposto di «rimborsare il 100 per cento» del viaggio per i fuorisede che si spostano per votare. 

La legge sul suicidio assistito

Tra le altre cose, il 10 marzo la Camera ha approvato la proposta di legge sulla cosiddetta “morte volontaria medicalmente assistita”, più comunemente chiamata “suicidio assistito” o “eutanasia indiretta”. Il testo prevede che i medici possano eseguire il suicidio assistito – quindi fornire a un paziente che ne faccia richiesta, e che abbia tutti i requisiti necessari, un farmaco che metta fine alla sua vita – senza andare incontro a conseguenze penali. Oggi infatti la pratica è illegale e può essere considerata come una forma di istigazione o aiuto al suicidio o come omissione di soccorso. 

Dopo il via libera della Camera, il testo è passato al Senato, dove attualmente è in fase di esame alle Commissioni Giustizia e Igiene e sanità, senza però aver fatto grandi passi avanti. L’iter dovrà ricominciare da capo nella prossima legislatura.

A oggi, il centrosinistra e il Movimento 5 stelle sono favorevoli alla regolarizzazione del suicidio assistito, mentre la Lega è contraria. Il tema non compare invece nei programmi di Fratelli d’Italia, di Forza Italia e dell’alleanza tra Italia viva e Azione. 

Il ddl “Zan”

Il disegno di legge contro l’omotransfobia presentato dal deputato del Pd Alessandro Zan, noto come “ddl Zan”, è stato tra i più discussi di questa legislatura. Il testo propone, tra le altre cose, di estendere le pene per le discriminazioni basate su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche a quelle fondate «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità».

A novembre 2020, durante il secondo governo Conte, il ddl Zan ha ricevuto l’approvazione della Camera, passando poi al Senato. Qui i partiti di centrodestra hanno ostacolato il percorso del disegno di legge, definito un provvedimento «liberticida» e contro la libertà di opinione.

Dopo numerose audizioni – anche di esponenti del mondo ultracattolico e no-vax – in Commissione Giustizia del Senato e diversi tentativi di ostruzionismo del centrodestra, a fine ottobre 2021 il testo è arrivato in aula. Qui, con un voto segreto, i senatori hanno approvato la proposta di non esaminare le varie proposte di modifica del disegno di legge (un meccanismo chiamato in gergo parlamentare la “tagliola”), determinando di fatto la fine dell’esame del testo. 

Circa sei mesi dopo la prima bocciatura, a maggio 2022, il Pd ha ripresentato in Senato un testo identico al ddl Zan, che però non ha mai nemmeno cominciato l’esame in Commissione. Oltre al Pd, anche gli altri partiti di centrosinistra, il M5s e l’alleanza tra Italia viva e Azione sono favorevoli all’approvazione di una legge contro l’omotransfobia, mentre finora il centrodestra si è sempre opposto al testo presentato da Zan. 

Le altre leggi, da Roma Capitale all’equo compenso

Oltre a quelle più discusse nel dibattito pubblico e politico, la fine della legislatura interromperà l’iter parlamentare per centinaia di altre leggi. Tra queste c’è la proposta di riforma costituzionale che vuole attribuire alla città di Roma poteri simili a quelli di una regione, in modo da agevolare la gestione del suo vasto territorio. Dopo essere stato approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, il testo ha iniziato l’esame in assemblea il 20 giugno, senza poi proseguire. 

Un’altra proposta di legge costituzionale che non sarà approvata dall’attuale Parlamento è quella che chiede di modificare la modalità di elezione del Senato da regionale a nazionale. Questa riforma, insieme con la modifica dei regolamenti di Camera e Senato, era uno dei cosiddetti “correttivi” che avrebbero dovuto essere adottati in seguito al taglio del parlamentari, approvato con il referendum costituzionale del 2020. Il testo è stato approvato dalla Camera il 10 maggio ed è poi passato al Senato, dove l’esame deve ancora cominciare. Ricordiamo inoltre che, come tutte le riforme costituzionali, i testi sui poteri della città di Roma e quello sulle modalità di elezione del Senato devono essere approvati due volte da entrambe le camere, a distanza di almeno tre mesi.

La fine della legislatura annulla anche il lavoro fatto per approvare la legge sull’equo compenso per i liberi professionisti che offrono il loro servizio a grandi imprese, a società attive nel settore bancario e assicurativo e alla pubblica amministrazione. Il testo, presentato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, era stato approvato dalla Camera a ottobre 2021, per poi passare al Senato, dove è attualmente fermo.

Infine, è destinata a un nulla di fatto anche la proposta di legge, firmata sempre da Meloni, per rendere illegale la maternità surrogata anche nei casi in cui la procedura venga svolta all’estero, che è ferma all’esame della Commissione Giustizia della Camera. 

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