La politica è in ritardo per garantire il diritto di voto ai fuorisede

Entro l’inizio di agosto sono attese novità in Parlamento, che sta discutendo alcune soluzioni per aumentare la partecipazione alle elezioni di chi vive in un comune diverso da quello di residenza
ANSA / MATTEO BAZZI
ANSA / MATTEO BAZZI
Aggiornamento 26 luglio, ore 16 – In seguito alla crisi di governo che ha portato allo scioglimento delle camere e all’indizione di elezione anticipate per il prossimo 25 settembre, è molto difficile che il Parlamento riesca ad approvare in tempi rapidi nuove norme per facilitare il voto ai fuorisede.


Nelle ultime settimane, la bassa affluenza ai referendum sulla giustizia e alle elezioni comunali del 12 giugno hanno riportato al centro dell’attualità politica la questione del diritto di voto ai cosiddetti “fuorisede”, ossia di chi vive in un comune diverso da quello di residenza. In Italia i fuorisede, a differenza di altri Stati del mondo, per votare devono tornare al loro comune di residenza, salvo alcune eccezioni, con ostacoli economici e logistici che rischiano di limitare la loro partecipazione al voto.

Il Parlamento sembra essere consapevole di questo problema, ma a oggi non ha ancora trovato una soluzione. Il 20 giugno era attesa in aula alla Camera dei deputati la discussione delle proposte per estendere l’esercizio di voto dei fuorisede, ma un’intesa tra i partiti su un testo comune non è ancora arrivata. Ora la promessa è che una sintesi delle diverse ipotesi in campo possa arrivare prima della pausa estiva, prevista dopo la prima settimana di agosto.

Quanti sono i fuorisede

Oggi il sistema elettorale italiano prevede che ogni cittadino sia iscritto alle liste elettorali del comune di residenza. Per quanto riguarda le elezioni dei membri della Camera e del Senato, il diritto di voto è esteso anche ai cittadini che per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano all’estero per un periodo di almeno tre mesi. Per votare, questi cittadini devono inviare entro un mese dalla data del voto una richiesta al proprio comune di residenza, che la trasmetterà al Ministero dell’Interno.

I cittadini che invece vivono in Italia e che per motivi di studio, lavoro o salute sono domiciliati in un comune diverso da quello di residenza, sono esclusi dal voto per corrispondenza. Per votare, questi elettori devono per forza tornare a casa oppure spostare la propria residenza nel luogo di domicilio. Ma quanti sono in Italia gli elettori che, complice la lontananza da casa, rischiano di non esercitare il proprio diritto di voto?

Secondo il libro bianco Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto, una relazione prodotta da una commissione di esperti istituita dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (Movimento 5 stelle) e pubblicata ad aprile, la difficoltà di studenti e lavoratori fuorisede a esercitare il diritto di voto è tra le principali cause del cosiddetto “astensionismo involontario”, ossia la mancata partecipazione al voto per motivi indipendenti dalle proprie scelte politiche.

In base ai dati forniti dall’Istat, la commissione ha stimato che nel 2018, anno delle ultime elezioni politiche, i fuorisede erano circa 4,9 milioni, più del 10 per cento degli aventi diritto al voto. Tra questi, i cittadini che impiegavano più di due ore per rientrare nel comune di residenza erano quasi 1,9 milioni (poco più del 4 per cento degli elettori italiani). Più nel dettaglio, quelli che impiegavano tra le 4 e le 8 ore erano circa 728 mila (1,6 per cento degli elettori italiani nel 2018), mentre quelli che impiegavano tra le 8 e le 12 ore erano circa 452 mila (circa l’1 per cento degli elettori). Per quanto riguarda invece la distribuzione geografica, nel 2018 i fuorisede costretti a viaggi superiori alle 4 ore per tornare a casa erano residenti prevalentemente nelle Isole e costituivano circa il 6 per cento degli elettori di questa zona, mentre l’incidenza più bassa è stata stimata nel Nord-Ovest (2,4 per cento per del corpo elettorale).
Ma come si sta muovendo il Parlamento italiano per far fronte al problema del voto di lavoratori e studenti fuorisede?

Che cosa fa il Parlamento

A ottobre 2018 la Camera ha approvato una proposta di legge presentata dalla deputata del M5s Dalila Nesci che, tra le altre cose, punta a consentire il voto ai fuorisede in un comune diverso da quello di residenza in occasione dei referendum abrogativi, di quelli costituzionali e delle elezioni europee. In quest’ultimo caso, però, l’elettore deve dichiarare di esercitare il suo diritto di voto in una regione che fa parte della stessa circoscrizione in cui è residente. 

Le circoscrizioni sono le zone in cui viene suddivisa l’Italia in occasione delle elezioni europee: i cittadini possono eleggere solo i candidati presenti nelle liste della propria circoscrizione di residenza. Per esempio, alle elezioni europee, un cittadino residente a Palermo, in Sicilia, può votare solo per i candidati della circoscrizione “Italia insulare”, che comprende la Sicilia e la Sardegna. Se la proposta di legge Nesci avesse previsto che un fuorisede avrebbe potuto votare in una qualsiasi circoscrizione, un cittadino residente in Sicilia ma domiciliato a Torino avrebbe potuto votare in Piemonte per i candidati della circoscrizione “Italia settentrionale”, alterando il principio che lega la rappresentanza politica alla residenza.

Dopo il via libera della Camera, la proposta di legge Nesci è passata quindi al Senato, ma qui l’esame si è bloccato. Non tutto però è andato perduto.

Nel frattempo, a maggio 2021, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha iniziato l’esame di altre cinque proposte di legge sullo stesso tema. Quattro proposte sono di iniziativa parlamentare e sono a prima firma di Marianna Madia (Partito democratico), Enrico Costa (Azione), Felice Maurizio D’Ettore (Coraggio Italia) e Massimo Ungaro (Italia viva). Le proposte Madia e Ungaro riguardano le elezioni politiche, mentre le proposte D’Ettore e Costa le elezioni comunali e regionali. 

La quinta proposta, di iniziativa popolare, è stata redatta dai costituzionalisti Salvatore Curreri e Roberto Bin su richiesta del Collettivo Peppe Valarioti, un gruppo di studenti, lavoratori e ricercatori calabresi (ma non solo), che prende il nome da un militante comunista di Rosarno, ucciso nel 1980 dalla ‘Ndrangheta. Il testo della proposta è stato fatto proprio e depositato da Giuseppe Brescia (Movimento 5 stelle), che è anche il relatore in commissione delle altre quattro proposte di legge. 

La proposta Bin-Curreri riguarda solo le elezioni comunali e regionali, e prevede che un fuorisede possa esercitare il proprio diritto di voto fuori dal comune di residenza, presentandosi nella prefettura o nell’ufficio territoriale del governo nel luogo in cui il cittadino ha registrato il proprio domicilio. La proposta era stata presentata ad aprile 2021 e i promotori puntavano a introdurre le nuove modalità di voto già per le elezioni amministrative di ottobre 2021, obiettivo poi mancato.

A maggio 2021, a poche settimane dall’inizio dell’esame di questa e delle altre quattro proposte, il Ministero dell’Interno ne ha rallentato l’iter, sollevando alcune obiezioni. Fra i dubbi del ministero, c’erano i possibili ritardi nello spoglio delle schede – anche a causa dei molti comuni coinvolti – e il rischio di riconoscibilità del voto nei casi in cui un solo elettore voti in un’altra città, a distanza, per il proprio comune di residenza. «In generale, il Viminale appare contrario a far viaggiare le schede elettorali dal comune di residenza a quello di temporaneo domicilio e viceversa. È stato fatto comunque presente che gli italiani all’estero votano per corrispondenza», aveva spiegato in quell’occasione il relatore Brescia.

Diverse associazioni che si battono per garantire il diritto di voto ai fuorisede esprimono da tempo molta delusione di fronte al parere del ministero. «Finora abbiamo sentito tante promesse dalla politica e non capiamo perché il Ministero dell’Interno opponga tutta questa resistenza al tentativo di risolvere una situazione paradossale», ha detto a Pagella Politica, Fabio Rotondo, campaigner e policy officer di The Good Lobby, un’organizzazione non profit che si batte per una società più democratica ed equa. Il 10 giugno, due giorni prima delle elezioni comunali e dei referendum sulla giustizia del 12 giugno, The Good Lobby e “Il Comitato Io Voto Fuori Sede” hanno depositato un atto di citazione per violazione del diritto di voto di lavoratori e studenti fuorisede al Ministero dell’Interno e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Sul fronte parlamentare, anche per risolvere i problemi sollevati dal Ministero dell’Interno, il relatore Brescia sta lavorando su un testo unificato che raccoglierà tutte e cinque le proposte in esame alla Camera. «Il testo a cui sto lavorando punterà sulla tecnologia, grazie alla tessera elettorale digitale», ha spiegato Brescia a Pagella Politica. L’idea era stata avanzata nel già citato rapporto della commissione di esperti e consiste in un codice elettronico, sul modello del green pass, da scansionare al momento del voto nella città scelta dall’elettore. «L’idea è quella di permettere il voto con una settimana d’anticipo rispetto alla domenica delle elezioni nella città scelta dall’elettore», ha spiegato Brescia a Pagella Politica. «Il voto potrebbe avere luogo negli uffici postali o in altri luoghi ritenuti idonei. La scheda poi arriverà al seggio dell’elettore con tutte le garanzie di segretezza». 

Un emendamento presentato da Brescia al cosiddetto decreto “Elezioni”, che la Camera sta esaminando per la conversione in legge, ha previsto inoltre la sperimentazione del meccanismo del voto elettronico entro le elezioni politiche 2021. Questo meccanismo dovrà essere sperimentato sulla base delle linee guida del decreto ministeriale pubblicato a luglio 2021 dal Ministero dell’Interno e da quello della Transizione digitale.  

Le tempistiche

Il testo unificato su cui sta lavorando Brescia punta a superare la proposta di legge Nesci, al momento ferma al Senato e che riguarda solo un gruppo ristretto di elezioni. L’obiettivo del relatore è quello di portare in aula il testo sul voto ai fuorisede entro la pausa estiva della Camera, il cui inizio però non è ancora stato stabilito. 

Secondo quanto riferito dall’ufficio stampa della Camera a Pagella Politica, la pausa estiva potrebbe iniziare dalla seconda settimana di agosto, complici le numerose scadenze dell’assemblea, come l’approvazione del disegno di legge annuale sulla concorrenza, una delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Dopo l’eventuale via libera della Camera, il testo sul voto ai fuorisede dovrebbe ottenere il via libera anche del Senato per essere approvato in via definitiva. 

L’esercizio del diritto di voto nel mondo

La relazione pubblicata dalla commissione di esperti istituita da D’Incà ha messo in evidenza che, tra i maggiori Paesi al mondo, l’Italia è quello che prevede il minor numero di modalità alternative per votare. 
Figura 1. L’esercizio di voto nei principali Paesi al mondo. Fonte: relazione Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto
Figura 1. L’esercizio di voto nei principali Paesi al mondo. Fonte: relazione Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto
Diversi Paesi hanno invece già adottato un’ampia gamma di votazioni alternative per facilitare la partecipazione elettorale. Per esempio, in almeno 15 Paesi in tutto il mondo, tra cui gli Stati Uniti, la Francia e la Germania, è previsto il voto per corrispondenza per un’ampia categoria di persone che non possono votare nel comune di residenza.

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