Il 5 febbraio la legge italiana sulla cittadinanza ha compiuto trent’anni. Il testo originale della legge è stato infatti approvato il 5 febbraio 1992 e, nonostante diversi tentativi di riforma presentati, non è mai stato modificato in modo sostanziale.
Negli anni il tema è tornato ciclicamente nel dibattito politico, con i partiti di centrosinistra generalmente favorevoli a una revisione delle norme, per rendere meno complicato l’ottenimento della cittadinanza, e quelli di centrodestra contrari. Ora, in occasione del trentennale della legge, diverse associazioni di attivisti hanno fatto notare come la composizione demografica del nostro Paese si sia trasformata e sia oggi ben diversa rispetto alla situazione del 1992.
Al momento tre proposte presentate nel 2018 per riformare la legge in vigore aspettano di essere esaminate in Parlamento, e nelle prossime settimane dovrebbe essere presentato un nuovo testo che le sintetizzi in un’unica proposta di legge. Perno di queste riforme sta nei concetti di ius soli e ius culturae, al momento non previsti dall’ordinamento italiano. Vediamo allora di cosa si tratta, e qual è la situazione attuale in tema di cittadinanza.
Come funziona oggi: ius soli, sanguinis o culturae?
Secondo la legge n. 91 del 5 febbraio 1992, l’ottenimento della cittadinanza italiana è attualmente regolato dal principio dello ius sanguinis, in base al quale la cittadinanza viene “ereditata” automaticamente alla nascita se almeno uno dei genitori già la possiede.
Le cose si complicano per i bambini nati in Italia da genitori entrambi stranieri. In questo caso, infatti, il minore eredita la cittadinanza dei genitori ma, compiuti i 18 anni, e se ha risieduto legalmente in Italia fino a quel momento, ha un anno di tempo per dichiarare l’intenzione ottenere quella italiana.
Le normative attualmente in vigore in Italia non prevedono alcuna forma di ius soli o di ius culturae. Il primo termine fa riferimento al concetto secondo cui chi nasce in un determinato Paese ha diritto a ottenerne automaticamente la cittadinanza. Ad oggi in nessun Paese europeo vige lo ius soli “puro”, ma molti Stati hanno approvato diverse forme di ius soli “temperato”, in cui al requisito di nascita sul territorio se ne aggiungono altri relativi allo status dei genitori (per esempio, essere in possesso di un permesso di soggiorno e aver risieduto nel Paese per un certo periodo di tempo).
Il termine ius culturae invece è legato al concetto di integrazione sociale e culturale: generalmente questo prevede che i bambini nati in un determinato Paese da genitori stranieri possano ottenerne la cittadinanza anche prima del raggiungimento della maggiore età se hanno concluso un determinato ciclo di studi riconosciuto a livello nazionale, come per esempio le scuole primarie o secondarie.
Le varie proposte di riforma alla legge del 1992 si basano proprio su questi due concetti.
I tentativi di riforma
Fino ad oggi la proposta di riforma per la legge 91/1992 che è avanzata maggiormente nell’iter legislativo è quella presentata nel 2015 – quindi nella scorsa legislatura – dall’ex deputata del Partito democratico Marilena Fabbri (oggi non più in carica). Questa proposta di riforma prevedeva l’introduzione sia dello ius soli temperato che dello ius culturae: avrebbero potuto ottenere la cittadinanza i minori nati in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, e anche i bambini e ragazzi nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato per almeno cinque anni un corso di studio. La proposta è stata approvata alla Camera il 13 ottobre 2015 e al momento la sua discussione è bloccata in Senato.
Nel 2018 sono state avanzate altre tre proposte di riforma, presentate rispettivamente dalla deputata del Partito democratico Laura Boldrini, dalla senatrice di Forza Italia Renata Polverini – temporaneamente autosospesasi dal gruppo di Fi alla Camera a causa di divergenze con il partito sul tema – e dal deputato Pd Matteo Orfini.
Il testo presentato da Boldrini prevede l’adozione sia dello ius soli temperato – via libera alla cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia se almeno uno dei genitori soggiornava regolarmente nel nostro Paese da almeno un anno prima della nascita – che dello ius culturae, che prevede l’accesso alla cittadinanza per i bambini e ragazzi che hanno completato un corso di istruzione in Italia. Anche gli altri due testi, firmati da Polverini e Orfini, puntano a semplificare l’accesso alla cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri, seppur con requisiti diversi rispetto alla proposta di Boldrini.
Le tre proposte sono state abbinate e aspettano di essere esaminate dalla Commissione affari costituzionali della Camera. Il deputato del Movimento 5 stelle Giuseppe Brescia, presidente della Commissione, ha dichiarato a Pagella Politica che presenterà «una proposta di testo unificato nelle prossime settimane», aggiungendo: «Sono passati trent’anni dalla legge sulla cittadinanza e credo che un aggiornamento sia necessario mettendo al centro scuola e integrazione. Verificheremo in commissione le condizioni politiche per intraprendere questo percorso».
Brescia aveva già fatto una dichiarazione simile a dicembre 2019, promettendo che il testo sarebbe stato pronto entro il febbraio successivo, quando però è scoppiata la pandemia di Covid-19. Gli attivisti che si battono per riformare la legge sulla cittadinanza non sono particolarmente fiduciosi nei confronti delle tempistiche indicate. «Abbiamo ottenuto molte promesse e scadenze immaginarie, ma il testo unico non arriva e nessuno sembra avere la volontà politica necessaria a portare avanti il lavoro» ha detto a Pagella Politica Ada Ugo Abara, presidente di Arising Africans, un’associazione a favore della riforma. «A settembre [2021 n.d.r.] l’onorevole Brescia ci aveva promesso che il testo sarebbe stato pronto a ottobre. Ora siamo a febbraio». Lo staff di Brescia ha spiegato a Pagella Politica che al momento la Commissione è impegnata con la conversione in legge del decreto “Milleproroghe”, in scadenza il prossimo 28 febbraio.
Attualmente quindi la situazione si trova in una fase di stallo. I trent’anni compiuti di recente dalla legge 91/1992 hanno riacceso la discussione, soprattutto grazie all’iniziativa di un gruppo di attivisti favorevoli al cambiamento. Vediamo quali sono le loro ragioni, e cosa sostengono invece i contrari.
L’Italia che cambia: le ragioni dei favorevoli alla riforma
L’argomento principale proposto dai favorevoli a riformare la legge del 1992 sostiene che l’Italia di oggi è ben diversa da quella di trent’anni fa, e le norme in vigore sono ormai anacronistiche.
Diversi dati in merito sono stati raccolti da Idos, un centro studi indipendente che si occupa di immigrazione, e diffusi il 4 febbraio con un comunicato stampa in cui si sostiene la necessità di riformare la normativa oggi in vigore. Secondo Idos, «oggi sarebbero potenzialmente oltre 860 mila gli stranieri residenti nel Paese ad aver diritto di accesso alla cittadinanza italiana se questa fosse estesa, con efficacia retroattiva, a tutti i nati sul territorio nazionale».
Secondo dati Eurostat e Istat, riportati da Idos, il numero di cittadini naturalizzati, quindi stranieri di nascita che hanno poi acquisito la cittadinanza italiana, è notevolmente cresciuto negli ultimi trent’anni, passando da appena 4 mila nel 1992 – quando è stata approvata la legge – a più di 130 mila nel 2020.
In un rapporto Istat rilasciato a ottobre 2021 si legge che «tra il 2011 e il 2020 hanno preso la cittadinanza italiana quasi 1 milione e 250mila persone, di cui oltre 400 mila minori diventati italiani per trasmissione del diritto dai genitori». Al 1° gennaio 2020, inoltre, risiedevano nel nostro Paese un milione e mezzo di «nuovi italiani» cioè «persone straniere di nascita che hanno acquisito nel tempo la cittadinanza italiana». Erano 286 mila nel 2001.
Infine, secondo dati forniti dal Ministero dell’Istruzione (Miur) nell’anno scolastico 2019/2020 più del 65 per cento degli studenti stranieri, in tutti i livelli di istruzione, sono nati in Italia. Il dato raggiunge il picco in Veneto, dove i nati in Italia costituiscono il 71,7 per cento degli studenti stranieri. Se il principio dello ius culturae fosse applicato questi ragazzi e ragazze potrebbero ottenere la cittadinanza in tempi più ridotti, anche prima del raggiungimento dei 18 anni di età.
Inoltre, secondo gli attivisti i requisiti imposti dalla legge del 1992 sono eccessivamente restrittivi. «Le persone che nascono e crescono in Italia [da genitori stranieri] trascorrono 18 anni nell’incertezza più assoluta» ha detto Abara a Pagella Politica. «Spesso i documenti amministrativi necessari per presentare la domanda richiedono molto tempo per essere raccolti» e si rischia di arrivare alla soglia del diciannovesimo compleanno senza poter presentare la domanda per ragioni burocratiche. «Ci viene sempre chiesto di dimostrare di essere i cittadini migliori, campioni nel proprio ambito, senza il diritto a essere persone con percorsi ordinari» sostiene Abara.
Generalmente il Partito democratico si è sempre dichiarato favorevole all’introduzione dello ius soli mentre i partiti di centrodestra, in particolare Lega e Fratelli d’Italia si sono sempre detti contrari.
Le ragioni dei contrari
Secondo i partiti di centrodestra non c’è un reale bisogno di riformare le leggi attuali, anche perché già oggi l’Italia è il Paese che concede più cittadinanze a livello europeo. Questa tesi è stata riproposta più volte da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. È vero che tra il 2015 e il 2017 l’Italia è stato il Paese europeo ad avere concesso il maggior numero di cittadinanze (scendendo poi al terzo posto negli anni successivi), ma come abbiamo già spiegato questa tendenza non è dovuta alla “generosità” del sistema vigente, ma al fatto che negli ultimi anni stanno maturando i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana soprattutto quegli stranieri che sono arrivati in Italia decenni fa, a partire dagli anni Novanta.
Gli stessi partiti sostengono inoltre che la riforma della legge sulla cittadinanza non è un priorità al momento. Lo scorso ottobre per esempio la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha scritto su Twitter che, per il suo partito, i temi su cui discutere sono altri: «Sicurezza, legalità, contrasto all’immigrazione illegale di massa e soprattutto difesa delle imprese e del lavoro in Italia». Il leader leghista Matteo Salvini ha inoltre affermato più volte che lo ius soli trasformerebbe la cittadinanza italiana in un «biglietto premio regalato».
Per quanto riguarda il M5s, nonostante il suo esponente Giuseppe Brescia sia il relatore delle principali proposte di riforma della legge sulla cittadinanza, la posizione complessiva del partito resta incerta e il leader Giuseppe Conte non ha mai preso una posizione netta a riguardo.
Considerato che i partiti divisi su questo tema sono invece uniti in un governo di unità nazionale, e considerata la mole di lavoro che il Parlamento sarà chiamato a svolgere per far procedere le riforme necessarie per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), le possibilità che la modifica della cittadinanza venga calendarizzata e approvata nell’ultimo anno della legislatura in corso sembrano relativamente scarse.
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