Oggi 8 marzo è la festa delle donne. O, meglio, la “Giornata internazionale dei diritti della donna”. La ricorrenza ha le sue origini nelle proteste delle donne russe contro lo zar e contro la Grande Guerra, nei primi decenni del Novecento, e dal 1975 è celebrata anche dalle Nazioni unite.

In questa giornata, che ha il senso di ricordare le lotte delle donne del passato – per il voto, per l’uguaglianza, per i diritti – e la strada ancora lunga da percorrere nel futuro, abbiamo raccolto i nostri fact-checking dell’ultimo anno su vari aspetti della “questione femminile” in Italia.

Dai tassi di occupazione ai femminicidi, dalla presenza delle donne in politica all’aborto, il quadro che emerge relativamente all’Italia ha molti scuri, ma anche qualche chiaro.

Poche donne lavorano in Italia e la pandemia ha peggiorato la situazione

Come abbiamo scritto di recente analizzando una dichiarazione della neoministra per il Sud Mara Carfagna (Forza Italia), è vero che in Italia lavori solo una donna su due. Al Sud la percentuale scende a una su tre e, come ha ricordato correttamente l’ormai ex segretario del Pd Nicola Zingaretti, in alcune regioni (come Sicilia, Calabria e Campania) non si raggiunge il 30 per cento.

Questa situazione purtroppo non è una novità, da anni l’Italia è agli ultimi posti nelle classifiche dell’Ue, ma a peggiorarla è arrivata la pandemia: come ha correttamente riportato Lia Quartapelle (Pd) la crisi causata dalla pandemia ha portato a un calo di 444 mila occupati nel 2020, di cui la maggioranza (312 mila) erano donne. A dicembre 2020 addirittura su 101 mila occupati in meno, 99 mila erano donne.

Già a luglio 2020 questo scenario di peggioramento dell’occupazione femminile era prevedibile: alcuni studi – citati in modo corretto ancora da Mara Carfagna – dimostravano come i mesi di lockdown avessero avuto un impatto più duro sulle lavoratrici che sui lavoratori.

I femminicidi restano stabili ma crescono le violenze sulle donne

Per quanto riguarda i femminicidi – termine per cui ancora manca una precisa definizione, ma con cui normalmente si intendono gli omicidi con vittime donne avvenuti all’interno di relazioni familiari o affettive – nel 2020 sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto agli anni precedenti. Si parla di circa una donna uccisa ogni 3,5 giorni.

Sia l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte sia la senatrice di Fratelli d’Italia Isabella Rauti hanno preso dei “Pinocchi andanti” per aver parlato, erroneamente, di un aumento del fenomeno.

L’europarlamentare del Pd Pina Picerno ha invece ottenuto un “Vero” quando ha ricordato che l’emergenza Covid-19, e soprattutto i mesi di lockdown, hanno causato un aumento delle violenze sulle donne.

Sempre in ambito violenze c’è stata però una nota positiva: come ha ricordato Lucia Annibali, di Italia viva, di recente è stato istituito e finanziato un “reddito di libertà” per le donne vittime di violenza, per favorirne l’emancipazione.

Il diritto all’aborto, tra novità scientifiche e normative

Le regioni italiane, che hanno la competenza in materia sanitaria, stanno andando in ordine sparso su come regolamentare l’aborto, in particolare farmacologico.

Ci siamo così occupati prima della decisione dell’Umbria – a guida leghista – di eliminare, a giugno 2020, la possibilità per le donne di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital. Poi della decisione del Lazio – guidato dall’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti – di rendere, il 31 dicembre 2020, più accessibile per le donne il ricorso all’aborto farmacologico, anche nei consultori. Una scelta quest’ultima erroneamente criticata dal senatore leghista Simone Pillon.

Pochi giorni dopo la scorsa festa della donna, avevamo poi tracciato un quadro, aggiornato ai dati più recenti allora disponibili, dell’interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese (un fenomeno in calo costante dalla sua introduzione a fine anni ‘70) e dell’obiezione di coscienza (che viaggia su percentuali superiori ai due terzi del totale).

Le donne in politica

Un argomento di cui ci siamo occupati spesso è quello della presenza delle donne in politica.

Come abbiamo scritto di recente, il governo Draghi ha il nuovo record di donne tra ministre e sottosegretarie, il 41,2 per cento del totale.

Ma anche guardando solo ai ministri, il governo Draghi resta comunque il secondo migliore di sempre, alle spalle del solo governo Renzi che – come correttamente ricordato da Maria Elena Boschi (Iv) – aveva la parità tra ministri e ministre, unico nella storia. Sul tema ha polemizzato Giorgia Meloni (Fdi) sulla presenza femminile nel governo Draghi, definendola «scarsa».

Sempre a proposito di Giorgia Meloni, avevamo verificato come non fosse vero che le spettasse il primato di prima donna alla guida di un partito europeo, anche se prima di lei solo altre quattro donne avevano ricoperto quell’incarico.

Infine avevamo verificato come Zingaretti sbagliasse nel sostenere che il Pd rispetti la parità di genere in tutti i suoi organismi, elettivi ed esecutivi: in concreto la composizione è spesso sbilanciata a favore degli uomini.

Il divario di genere

Per concludere possiamo guardare al divario di genere nel suo complesso. Secondo quanto dichiarato il 9 giugno 2020 dall’allora ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, l’Italia aveva un divario di genere «tra i più gravi al mondo». Se rispetto al mondo siamo a metà classifica, nel confronto coi Paesi sviluppati ne usciamo decisamente male.

In base al Global gender gap report realizzato dal World economic forum a dicembre 2019 (il più recente allora disponibile), l’Italia era settantaseiesima su 153 Paesi analizzati, quintultima tra i Paesi europei analizzati (peggio di noi fanno Repubblica Ceca, Grecia, Malta e Cipro) e penultima tra i Paesi del G7 (davanti al Giappone). Gli altri altri quattro grandi Paesi europei fanno decisamente meglio di noi: la Spagna risultava ottava, la Germania decima, la Francia quindicesima e il Regno Unito ventunesimo.

Abbiamo insomma ancora molta strada da fare.