Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la decisione della Regione Umbria, guidata da una coalizione di centrodestra, di eliminare la possibilità per le donne di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital, ossia con un ricovero di durata inferiore a un giorno e senza pernottamento. Come vedremo meglio tra poco, ora in Umbria è obbligatorio il ricovero di tre giorni in ospedale per ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) con metodo farmacologico.

Il 15 giugno, in un’intervista con La Repubblica, la presidente della Regione Umbria Donatella Tesei (Lega) ha difeso la scelta della sua giunta, dicendo che si è limitata ad applicare la «legge 194» e «le linee guida del Ministero della Sanità», che secondo Tesei dicono che «per l’aborto farmacologico ci vogliono tre giorni di ricovero». Tesei ha portato la stessa giustificazione anche il 18 giugno, in un’intervista con il TgZero di Radio Capital, dove ha ripetuto più volte che la sua regione si sta limitando ad applicare le leggi nazionali.

Nell’intervista con La Repubblica, Tesei ha inoltre aggiunto che con la decisione della sua regione «le donne sono libere di scegliere, però in sicurezza». In molti hanno criticato l’introduzione dell’obbligo di ricovero di tre giorni perché limiterebbe la libertà di scelta delle donne, aumentando tra le altre cose anche i costi della sanità. Il 21 giugno c’è stata una manifestazione di protesta a Perugia e ne è in programma un’altra anche il prossimo 25 giugno.

Ma è vero quello che dice la presidente della Regione Umbria, ossia che è la legge nazionale a prevedere il ricovero di tre giorni per ricorrere all’aborto farmacologico? E che l’abolizione dell’aborto farmacologico in day hospital tutela la libertà di scelta delle donne, garantendo loro più «sicurezza»? Abbiamo verificato e le cose non stanno proprio così.

Che cos’è l’Ivg farmacologica con RU486

Prima di vedere che cosa ha deciso la Regione Umbria, chiariamo brevemente che cosa si intende per aborto farmacologico, che è un’alternativa all’Ivg con metodo chirurgico.

Ricordiamo che in Italia l’Ivg può essere richiesta entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari, e oltre i 90 giorni per motivi più specifici.

L’Ivg farmacologica – spiega il Ministero della Salute – «è una procedura medica, distinta in più fasi, che si basa sull’assunzione di almeno due principi attivi diversi, il mifepristone (meglio conosciuto con il nome di RU486) e una prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro». Da un lato il mifepristone agisce sulla cessazione della vitalità dell’embrione, dall’altro la prostaglandina determina l’espulsione del prodotto abortivo. La RU486 è chiamata comunemente anche “pillola abortiva”, ma non va confusa con la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, che è un contraccettivo d’emergenza ed è efficace solo entro 72 ore dal rapporto sessuale a rischio.

Come analizzeremo meglio tra poco, in alcune regioni italiane – una minoranza sul totale – una donna può prendere la RU486 in regime di day hospital, tornare a casa e ripresentarsi in ospedale trascorsi due giorni per concludere l’aborto. Nella maggior parte delle altre regioni è invece previsto l’obbligo di ricovero di tre giorni, che però vedremo essere di fatto aggirabile.

Secondo i dati più aggiornati del Ministero della Salute, nel 2017 il ricorso al mifepristone, con successiva somministrazione di prostaglandine, è stato adoperato nel 17,8 per cento dei casi di Ivg nel nostro Paese, in aumento rispetto al 15,7 per cento del 2016, ma ancora in minoranza rispetto alle altre metodologie. In Paesi come Francia e Svezia, il ricorso al metodo farmacologico è invece molto più diffuso.

Vediamo ora che cosa ha deciso la Regione Umbria guidata da Tesei.

Che cosa ha stabilito la giunta Tesei

Il 10 giugno 2020 la Regione Umbria ha approvato una delibera per adottare le “Linee di indirizzo per le attività sanitarie nella fase 3” dell’emergenza coronavirus, che, tra le altre cose, hanno l’obiettivo di «monitorare periodicamente e giornalmente l’andamento dell’epidemia» e di «progredire nell’apertura dei servizi sanitari fino all’apertura totale delle strutture».

Tra le nuove linee di indirizzo – che hanno efficacia «fino a nuove disposizioni» – ce n’è una dedicata alla «salute della donna» e all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), in particolare al ricorso alla RU486.

Nelle nuove linee approvate dalla Regione Umbria il 10 giugno scorso, si legge che «relativamente al metodo farmacologico RU486 si dispone il superamento delle indicazioni previste dalla DGR 1417 del 4 dicembre 2018 “interruzione volontaria di gravidanza con metodica farmacologica” relativamente all’opportunità di somministrare la RU486 in regime di ricovero in day hospital».

La deliberazione regionale citata – approvata all’epoca dalla giunta precedente, guidata da Catiuscia Marini del Partito democratico – aveva introdotto la possibilità per le donne in Umbria di fare ricorso all’Ivg farmacologica in day hospital, senza la necessità di ricovero su più giorni.

Le nuove linee di indirizzo della Regione Umbria hanno eliminato questa possibilità, re-introducendo per l’Ivg farmacologico «la necessità di “regime di ricovero ordinario”», che ora deve essere della durata di tre giorni.

Nel giustificare questo cambiamento, rispetto alla delibera del 2018, le nuove linee di indirizzo regionali umbre usano lo stesso argomento portato avanti da Tesei nelle sue interviste, ossia «l’applicazione della legge 194/78» e il rispetto delle «indicazioni ministeriali del 24 giugno 2010 “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza”», con l’aggiunta del rispetto dei «pareri del Consiglio superiore di sanità del 18 marzo 2004, del 20 dicembre 2005 e del 18 marzo 2010».

Vediamo che cosa dicono queste norme e documenti.

Che cosa dicono la 194, le linee di indirizzo ministeriali e i pareri del Css

Iniziamo dalla legge n. 194 del 22 maggio 1978, che in Italia disciplina l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e che è stato il risultato di un lungo percorso. Nel 1981 la maggioranza degli italiani andati a votare in un referendum abrogativo contro la 194 si espresse per mantenere in vigore la legge introdotta pochi anni prima.

«La legge 194 non c’entra nello specifico con l’aborto farmacologico con la RU486, perché questo metodo all’epoca dell’approvazione della legge non esisteva ancora», ha spiegato a Pagella Politica Elisabetta Canitano, dottoressa ginecologa presso la Asl Roma 3 e da molti anni attiva nella difesa dei diritti delle donne. «È però vero che le procedure previste dalla 194 valgono anche per l’aborto farmacologico in questione, dal momento che comunque stiamo parlando sempre di un’interruzione volontaria di gravidanza».

La questione del day hospital non è affrontata dalla legge 194, che all’articolo 8 dice che un’Ivg può essere praticata presso un ospedale, una casa di cura o un poliambulatorio, con «se necessario, il ricovero», mentre all’articolo 15 promuove «l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza».

In Italia l’immissione in commercio della RU486 è stata autorizzata dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a luglio 2009 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale a dicembre 2009.

Secondo Aifa – come spiega anche l’Istituto superiore di sanità in un approfondimento sull’Ivg farmacologica – l’impiego del farmaco deve avvenire «entro la settima settimana di amenorrea», ossia la scomparsa delle mestruazioni dovuta alla gravidanza, e «deve essere garantito il ricovero […] dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento».

Come correttamente indicato da Tesei e dalla delibera della Regione Umbria, le linee di indirizzo del Ministero della Salute sull’utilizzo della RU486 – pubblicate a giugno 2010 – raccomandano insomma un ricovero di tre giorni. Queste stesse linee ministeriali citano i tre pareri del Consiglio superiore di sanità sopraelencati: quelli del 18 marzo 2004, del 20 dicembre 2005 e del 18 marzo 2010. Anche qui si raccomanda che il ricorso all’aborto farmacologico richieda un ricovero di più giorni.

Dunque, quando Tesei dice che si limita ad applicare quanto previsto dalle linee guida del Ministero della Salute e dalla legge 194 – anche se questa nello specifico non parla di day hospital e aborto farmacologico – ha sostanzialmente ragione.

Il problema è che questo non significa, come lascia intendere Tesei, che l’opzione opposta, quella di consentire l’Ivg farmacologica, sia per così dire contro la legge e le indicazioni scientifiche da un lato, e contro la libertà di scelta e sicurezza delle donne dall’altro.

Vediamo perché, procedendo con ordine.

L’Ivg farmacologica in day hospital rispetta la 194

Come abbiamo già detto, la recente scelta della giunta Tesei arriva in controtendenza rispetto a quanto stabilito dalla stessa Regione Umbria due anni fa – con una presidenza diversa – sul consentire l’accesso all’aborto farmacologico in day hospital.

La possibilità di accedere all’Ivg farmacologica in questa modalità è già stata presa in precedenza, come ha riassunto un approfondimento pubblicato da Valigia Blu e come ha spiegato a Pagella Politica Elisabetta Canitano, anche da altre regioni, come Lombardia, Toscana, Lazio ed Emilia-Romagna. La maggior parte delle regioni italiane ha comunque ancora l’obbligo di ricovero di tre giorni (aggirabile, come vedremo tra poco).

Dunque per le regioni è possibile rispettare la legge 194 anche consentendo l’Ivg farmacologica in day hospital e pubblicando linee guida regionali che differiscono da quelle ministeriali (come aveva confermato nel 2010 in un intervento sul Sole 24 Ore Antonio Panti, vicepresidente del Consiglio regionale sanitario della Regione Toscana, commentando la scelta della sua regione di consentire l’Ivg farmacologica in day hospital).

I pareri del Consiglio superiore di sanità e le linee guida ministeriali, ha spiegato Canitano a Pagella Politica, non sono «impegnativi», come per esempio gli obblighi di vaccinazione.

Negli ultimi anni questa libertà delle regioni ha generato non poca confusione, tanto che il ministro della Salute Roberto Speranza (Articolo Uno), visto quanto successo in Umbria, ha subito richiesto un aggiornamento delle linee ministeriali sul ricorso alla RU486, che secondo la sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa dovrebbero essere pronte «entro un mese».

Che cosa diceva a maggio la giunta Tesei

Curiosità: con una delibera del 13 maggio scorso la Regione Umbria di Tesei aveva approvato le linee di indirizzo per la “Fase 2” dell’emergenza coronavirus, dove il ricorso all’Ivg farmacologica con la RU486 senza ricovero di più giorni era raccomandato, citando in questo caso altre linee guida.

Nelle linee di indirizzo per la Fase 2 approvate dalla giunta Tesei a maggio scorso infatti si legge: «Durante l’emergenza sanitaria tutte le società scientifiche concordano nel promuovere maggiormente la modalità farmacologica dell’Ivg RU486 […] poiché oltre a essere una pratica raccomandata per l’assenza del rischio intraoperatorio e il miglior esito in termini di salute della donna, rappresenta una soluzione adeguata per decongestionare gli accessi in ospedale e ridurre le occasioni di contagio anche per tutti gli operatori coinvolti».

In questo caso il «percorso assistenziale» suggerito da seguire era – proseguono le linee di indirizzo regionali di maggio scorso – quello «contenuto nelle “Linee guida sull’interruzione volontaria di gravidanza con l’utilizzo del metodo farmacologico RU486” recepito dalla DGR 1417 del 04/12/2018», ossia la delibera regionale del 2018 sul ricorso dell’aborto farmacologico in day hospital.

Insomma, poche settimane fa le linee di indirizzo dell’Umbria per la “Fase 2” riportavano un parere diverso rispetto a quelle della “Fase 3”.

Ricapitolando: a differenza di quanto lascia intendere Tesei nelle sue interviste, consentire l’accesso all’aborto farmacologico in day hospital non va contro la legge 194. Inoltre le linee di indirizzo ministeriali, o quelle del Consiglio superiore di sanità, non sono vincolanti e le regioni hanno la possibilità di dare disposizioni diverse.

Come anticipato, poi, le donne che ricorrono all’Ivg farmacologica nelle regioni dove pure c’è l’obbligo di ricovero riescono comunque a sfuggire a questo ostacolo, attraverso un procedimento particolare.

La questione delle dimissioni volontarie

«Le decisioni in tema di aborto farmacologico non cambiano solo di regione in regione, ma anche di città in città, e persino da Asl ad Asl, a seconda della sensibilità dei ginecologi coinvolti», ha sottolineato Canitano a Pagella Politica. «In concreto, in diverse regioni dove ci sono i tre giorni di ricovero (per esempio nel Lazio prima della delibera sulla possibilità di accedere al day hospital) i ginecologi dicono alle donne che non vogliono essere ricoverate di prendere il primo farmaco, di firmare il foglio di dimissioni contro la loro opinione, di andare a casa e di tornare dopo due giorni per prendere il secondo farmaco».

Questa possibilità era già stata sottolineata da diverse fonti stampa nel 2009, con l’approvazione dell’Aifa della RU486, e trova un riscontro nei numeri contenuti nel rapporto “Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine” – ossia la pratica relativa alla RU486 – del Ministero della Salute, pubblicato a febbraio 2013 e contenente dati relativi al 2010-2011 (periodo più aggiornato che si ha a disposizione).

Qui si legge che «circa 3 donne su 4 (il 76 per cento dei casi) hanno fatto ricorso alla dimissione “volontaria” dopo la somministrazione di mifepristone o prima dell’espulsione completa del prodotto abortivo, con successivi ritorni in ospedale per il completamento della procedura. In molte Regioni questa percentuale supera l’80% dei casi».

La possibilità della dimissione volontaria non riguarda solo l’aborto farmacologico, ma è già disponibile anche per altre forme di aborto.

«La procedura di mandare a casa le donne e di aspettare l’espulsione ce l’abbiamo già, per esempio per i casi di aborto spontaneo, in cui si chiede alla donna se vuole entrare in ospedale e fare il raschiamento oppure se vuole tornare a casa, espellere per conto suo e se si sente male torna», ha detto Canitano.

La possibilità di “aggirare” l’obbligo del ricovero dei tre giorni è stata confermata a Pagella Politica anche da altre fonti, come Federica Di Martino, psicologa che gestisce il sito Ivg, ho abortito e sto benissimo! e che quotidianamente ha a che fare con donne che hanno deciso di abortire.

«Quello che avviene in realtà nel nostro ordinamento è che da un lato c’è una gestione regionale rispetto alle pratiche dell’aborto farmacologico, ma dall’altro lato c’è la possibilità per la donna di firmare un foglio una volta ricevuto il primo farmaco per abortire e di andare via dall’ospedale, assumendosi le responsabilità rispetto a quello che può succedere», ha spiegato a Pagella Politica Di Martino, che ha anche sottolineato come sulla questione “sicurezza” a livello nazionale e internazionale ci siano indicazioni che vanno in direzione opposta a quanto detto da Tesei.

Sicurezza e libertà di scelta con l’Ivg farmacologica in day hospital

Secondo Tesei, grazie alla scelta di eliminare la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital «le donne sono libere di scegliere, però in sicurezza». Ma alcune fonti scientifiche dicono che le cose non stanno così.

«La possibilità di abortire tramite ‘pillola’ in Italia è fortemente ostacolata da misure che risultano incomprensibili alla luce della best practice internazionale», hanno scritto il 26 marzo 2020 sul Corriere della Sera Marina Toschi, ginecologa e membro del direttivo dell’European society of contraception and reproductive health (un’associazione europea che, tra le altre cose, promuove il ricorso consapevole all’aborto) ed Elisa Caruso, dottoranda alla Kent Law School, nel Regno Unito.

Per esempio, linee guida pubblicata dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2018 e nel 2015 suggeriscono che il ricorso all’Ivg farmacologica è considerata «sicura» anche senza ricovero e con auto-somministrazione eseguita a casa dalle donne.

Ad aprile scorso, la Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) si è dichiarata favorevole a un ricorso più frequente all’Ivg farmacologica, suggerendo di «spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane» e di «eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione del mifepristone a momento dell’espulsione».

Addirittura la Sigo ha proposto di «prevedere una procedura totalmente da remoto, monitorizzata da servizi di telemedicina, come è già avvenuto in Francia e nel Regno Unito, in via transitoria, in situazione di particolare difficoltà e in relazione all’attuale stato di emergenza».

Dunque, in base a evidenze internazionali e proposte nazionali di esperti nel settore, la «sicurezza» delle donne che Tesei vuole tutelare può essere garantita anche senza la necessità del ricovero dei tre giorni che, secondo i critici della decisione della giunta Tesei, limita nei fatti la libertà di scelta delle donne.

«I tre giorni di ricovero complicano la vita agli ospedali, perché tengono occupati dei letti che potrebbero essere utilizzati da altri, ma soprattutto complicano la vita e la libertà di scelta delle donne», ha detto la ginecologa Canitano a Pagella Politica. «Basti pensare non solo a quelle donne che vivono in contesti familiari dove la decisione di abortire è ostacolata dai partner o dai familiari, ma anche a quelle che lavorano e non possono permettersi tre giorni di ricovero».

In conclusione

La presidente della Regione Umbria Donatella Tesei ha difeso la decisione della sua giunta di abolire la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital – quindi senza il ricovero di più giorni – perché in questo modo da un lato si rispetta la legge 194 e le linee guida del Ministero della Sanità, dall’altro si tutela la libertà di scelta delle donne «in sicurezza». Abbiamo verificato e le cose non stanno proprio così.

Per quanto riguarda il rispetto della normativa nazionale, è vero che il passo indietro fatto dalla Regione Umbria rispetta la legge 194 (che però nello specifico non parla dell’aborto farmacologico) e le linee di indirizzo del 2010 del Ministero della Salute, ma è anche vero che in linea con le norme nazionali è anche la possibilità di ricorrere all’Ivg farmacologica in day hospital.

Alcune regioni infatti hanno approvato questa possibilità, dal momento che i pareri del Consiglio superiore di sanità e del Ministero della Salute non sono vincolanti, e alcune evidenze scientifiche, raccolte a livello internazionale per esempio dall’Oms e a livello nazionale dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia, dicono che l’Ivg farmacologico in day hospital è comunque sicuro.

Infine, in Umbria non è vero che necessariamente l’obbligo di ricovero di tre giorni garantisce maggiore sicurezza e rispetta la libertà di scelta delle donne, che possono decidere di farsi dimettere prima e che, rispetto a prima, si vedono comunque limitare le possibilità di accesso all’Ivg farmacologica.