Il 9 giugno, in un’intervista con La Repubblica, il ministro per il Sud e per la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano (Partito democratico) ha commentato la sua scelta di non voler più partecipare a un convegno che aveva come ospiti 14 uomini – tra cui lui stesso – e zero donne.

«In Italia abbiamo un divario di genere che è tra i più gravi al mondo», ha detto Provenzano a La Repubblica. «Qualche mese fa il World Economic Forum ha detto che per raggiungere la parità tra i sessi ci vorranno altri 257 anni».

Il ministro ha ragione? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Quando si parla di “divario di genere” (o gender gap in inglese) generalmente si fa riferimento alle differenze sociali ed economiche che impattano sulla vita degli uomini e delle donne. Questo concetto dunque racchiude divari in diversi ambiti, dai salari all’accesso all’educazione, passando per la partecipazione politica o al mondo del lavoro.

È vero però che spesso le analisi e le dichiarazioni dei politici italiani si concentrano sugli aspetti economici del divario di genere. In questo caso Provenzano non specifica a che cosa faccia riferimento, se al divario generale o a quello economico, più specifico, ma come vedremo meglio più avanti è molto probabile che anche lui abbia in mente il secondo tipo di gender gap.

Veniamo adesso ai numeri.

I dati del Global gender gap report

Ad oggi, per avere un confronto a livello mondiale, il rapporto più autorevole e dettagliato in materia di divario di genere è il Global gender gap report, realizzato ogni anno dal World economic forum, l’organizzazione internazionale citata anche da Provenzano.

L’ultima edizione del rapporto, pubblicata a dicembre 2019, ha analizzato il divario di genere in 153 Paesi del mondo, sulla base di quattro criteri: la partecipazione e le opportunità economiche (per esempio i salari e i livelli di occupazione); l’accesso all’istruzione; la rappresentanza politica; e la sanità (con dati, per esempio, sull’aspettativa di vita).

A loro volta, questi quattro criteri sono valutati sulla base di 14 sotto-indicatori più specifici – con un peso diverso in termini di importanza – che poggiano su diversi dati (qui la lista completa delle definizioni degli indicatori, con rispettive fonti).

Lo scopo del rapporto del World economic forum è quindi quello di quantificare il divario tra uomini e donne e per farlo, attraverso una serie di calcoli, assegna un valore ai vari indicatori, per poi ottenere un punteggio finale per i singoli Paesi analizzati. Questo punteggio può andare da un minimo di zero (totale divario tra uomini e donne) a un massimo di 1 (completa parità di genere).

Secondo il Global gender gap report 2020, l’Italia è settantaseiesima (con un indice di 0,707, tra la Thailandia e il Suriname) su 153 Paesi nella classifica generale sul divario di genere, perdendo sei posizioni rispetto al 2018. Siamo dunque a metà classifica: Provenzano esagera quando dice che i nostri dati sono «tra i più gravi al mondo».

Se però restringiamo il confronto ai Paesi più sviluppati, o se prendiamo in considerazione solo l’aspetto economico, la sua affermazione è meno imprecisa.

Il confronto con i Paesi sviluppati

Le elaborazioni del World economic forum dicono che l’Italia è quintultima tra i Paesi europei analizzati (peggio di noi fanno Repubblica Ceca, Grecia, Malta e Cipro) e penultima tra i Paesi del G7 (davanti al Giappone).

Gli altri altri quattro grandi Paesi europei fanno decisamente meglio di noi. La Spagna è ottava, la Germania decima, la Francia quindicesima e il Regno Unito ventunesimo.

Il confronto circa partecipazione e opportunità economiche

Le cose peggiorano poi se si guarda nello specifico una delle quattro macro categorie su cui si basa l’indice generale del report, quella sulla partecipazione e le opportunità economiche, che come abbiamo visto è stata citata altre volte nel dibattito politico italiano. Qui l’Italia è in posizione 117 (con un indice di 0,595), ultima tra i Paesi europei analizzati e tra i Paesi membri del G7.

Nello specifico, guardando a due degli indicatori che compongono la macro categoria “economica” – quella, come abbiamo visto, tra le più citate in tema di gender gap – siamo in posizione 95 per quanto riguarda il rapporto tra forza lavoro femminile e maschile e in posizione 125 per l’uguaglianza di salari tra lavori simili.

«257 anni» per raggiungere la parità tra sessi?

Nell’intervista con La Repubblica Provenzano ha poi aggiunto che «qualche mese fa il World economic forum ha detto che per raggiungere la parità tra i sessi ci vorranno altri 257 anni». A che cosa sta facendo riferimento?

Il Global gender gap report 2020, in una sezione specifica, cerca di stimare quanti anni servirebbero per colmare il divario di genere a livello globale (diciamo in tutti i Paesi analizzati), sulla base dei miglioramenti registrati dalle varie categorie dal 2006 in poi. Qui Provenzano starebbe quindi facendo riferimento alla situazione complessiva, non a quella specifica dell’Italia.

«A parità di condizioni, con i trend attuali, il divario complessivo di genere globale può essere colmato in 99,5 anni», dice il World economic forum. «Questo è circa 10 anni meno di quanto riportato nella scorsa edizione del rapporto ed è soprattutto dovuto al progresso più veloce nella dimensione legata alla partecipazione politica».

Provenzano dunque esagera nel citare le previsioni del Global gender gap report 2020: ma, come risulta dal virgolettato appena citato, ci sono previsioni anche per ognuna delle quattro categorie di cui si compone l’indice di divario di genere globale.

Secondo le stime del World economic forum serviranno 257,3 anni, il numero citato dal ministro, per colmare in particolare il divario nella partecipazione e nelle opportunità economiche, l’indicatore – come abbiamo visto prima – dove l’Italia fa peggio.

A livello mondiale «il divario nella partecipazione e nelle opportunità economiche è leggermente aumentato ed è l’unico indicatore che è peggiorato quest’anno», ha sottolineato poi il rapporto.

Il World economic forum ha stimato inoltre 94,5 anni per chiudere il divario nella partecipazione politica (dove l’Italia è quarantaquattresima), 12,3 anni per il divario nell’accesso all’istruzione (l’Italia è cinquantacinquesima) e un tempo «indefinito» per quello legato ai fattori sanitari (l’Italia è centodiciottesima). Quest’ultimo è considerato «virtualmente colmato nella maggior parte dei Paesi», ma rimangono ancora delle «specifiche questioni» in Stati molto popolosi, come la Cina e l’India, su cui è difficile fare delle stime temporali.

Il verdetto

Secondo Giuseppe Provenzano, «in Italia abbiamo un divario di genere che è tra i più gravi al mondo». Il ministro del Pd ha poi aggiunto che «qualche mese fa il World economic forum ha detto che per raggiungere la parità tra i sessi ci vorranno altri 257 anni».

In base ai dati del Global gender gap report 2020, pubblicato a dicembre 2019 dal World economic forum, l’Italia è in posizione 76 su 153 Paesi analizzati per divario di genere. Siamo circa a metà classifica (ma quintultimi nell’Ue e penultimi nel G7).

Se prendiamo in considerazione solo il divario di genere in particolare legato agli aspetti economici – uno dei quattro che compongono l’indice del World economic forum – il nostro Paese scende in posizione 117, ultima tra i Paesi europei analizzati e tra i Paesi membri del G7.

Per raggiungere la parità tra i sessi nel mondo, secondo il World economic forum ci vorranno 99,5 anni, mentre circa 257 anni – la cifra indicata da Provenzano – si stima che serviranno per colmare il divario di genere nella partecipazione e nelle opportunità economiche a livello globale.

In conclusione, “Nì” per Provenzano.