È da sottolineare che durante il 2019 – quindi prima della crisi sanitaria – le disuguaglianze di genere
erano diminuite in termini di quantità di occupati, ma erano comunque peggiorate sotto il profilo della qualità del lavoro.
Un primo motivo del peggioramento durante il lockdown,
ha sottolineato l’Istat, è la «maggiore concentrazione nel terziario» delle donne, «in particolare nei settori per i quali il periodo di lockdown è stato più prolungato».
Gravando sull’organizzazione familiare e sugli equilibri di convivenza, il lockdown
ha poi messo in ulteriore difficoltà la condizione già critica delle donne lavoratrici con figli.
Una delle principali cause del peggioramento occupazionale delle donne
è attribuita alla scarsa possibilità di conciliazione presente fra l’attività lavorativa e quella familiare. La flessibilità dell’orario lavorativo, l’autonomia e la possibilità di scegliere il luogo di lavoro sono fra le principali componenti di tale conciliazione.
Più nello specifico,
ha sostenuto l’Istat, autonomia e flessibilità in Italia sono ampiamente a sfavore delle lavoratrici. Solo il 12 per cento delle donne può infatti scegliere in autonomia come organizzare il proprio lavoro contro il quasi 20 per cento degli uomini, mentre per oltre il 26 per cento delle donne l’orario di lavoro è «molto rigido», rispetto a una media italiana del 24 per cento.
In più, dati Istat aggiornati al 2018 rivelano che le donne occupate con figli minori di 15 anni
sono portate a modificare il proprio impegno lavorativo nel 38,3 per cento dei casi, una percentuale che sale al 42,6 per cento se si tratta di donne con figli fra gli 0 e i 5 anni. Per gli uomini, invece, queste percentuali sono più basse: l’11,9 e il 12,6 per cento.
Le donne occupate nei settori rimasti attivi nel corso della cosiddetta “Fase 1” dell’emergenza coronavirus (come ad esempio la pubblica amministrazione)
hanno inoltre sperimentato un rischio più alto di attività lavorativa che ha acuito le difficoltà nella conciliazione casa-lavoro. Le stesse lavoratrici
sono state maggiormente coinvolte in attività a rischio sicurezza-salute classificato come medio-alto.
Sebbene i dati Istat riportino anche che l’aumento della cura dei figli e dei lavori familiari durante il lockdown ha riguardato ambo i sessi,
permane tuttavia un sostanziale divario di genere: durante l’emergenza l’82,9 per cento delle donne si è occupato della preparazione dei pasti contro il 42,9 per cento degli uomini. Nel 2016 la ripartizione delle attività domestiche e della cucina
era invece rispettivamente dell’81 per cento e del 20 per cento.
«È presto per poter trarre conclusioni dalla drammatica esperienza del Covid-19, anche in termini di occupazione: quello che pare certo è che la pandemia potrebbe amplificare le forti disuguaglianze sociali che caratterizzano le società contemporanee», ha spiegato a
Pagella Politica Elisabetta Ruspini,
sociologa dell’Università di Milano Bicocca ed esperta negli studi di genere. «Secondo diverse fonti, come l’Agenzia della salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite, la pandemia sta esercitando, ed eserciterà in futuro, effetti di diversa intensità sui corsi di vita femminili e maschili. Ciò a causa delle profonde e preesistenti disuguaglianze di genere che caratterizzano ogni ambito dei corsi di vita e che colpiscono specificamente le donne».
Inoltre, dal momento che il genere interagisce con altre caratteristiche individuali, ci sono alcune donne che si trovano in condizioni di particolare svantaggio rispetto agli uomini in un condizioni simili.
«Donne disabili, migranti, rifugiate, madri sole, donne ai margini del mercato del lavoro, donne senza accesso a Internet presentano non soltanto il rischio di morire e soffrire maggiormente, ma anche di restare al margine dei processi di ricostruzione», ha sottolineato Ruspini.
Le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro
I dati sulle disuguaglianze di genere presentati dall’Istat nel “Rapporto annuale 2020” mostrano un quadro poco rassicurante per il nostro Paese anche prima dell’emergenza coronavirus. Vediamo brevemente alcuni indicatori.
Nel 2017 le donne
hanno guadagnato il 7,4 per cento in meno degli uomini in termini di retribuzione oraria;
dal 2008 al 2019 hanno avuto un più elevato tasso di inattività lavorativa rispetto agli uomini; mentre fra 2009 e 2019
è aumentato l’indice della segregazione occupazionale a cui sono sottoposte, ossia la distribuzione non uniforme e non casuale delle occupazioni che provoca nel gruppo svantaggiato basse retribuzioni, qualificazioni poco elevate e limitate prospettive di carriera.
Più nello specifico, in Italia la segregazione professionale delle donne
è evidente nelle attività domestiche, ricreative, culturali (88,8 per cento) e specialiste della formazione (79 per cento), anche se dal 2008 si
è assistito a un aumento della terziarizzazione femminile in lavori d’ufficio e assistenza clienti (70,3 per cento). Seguono i settori dell’istruzione, della sanità e quelli dedicati alle famiglie (65,2 per cento).
Secondo i dati Istat, inoltre, rispetto agli uomini le donne
hanno maggiori difficoltà nel conciliare gli impegni lavorativi e gli obblighi familiari, che spesso sono ripartiti in modo poco equilibrato. Questi fattori
spingono le lavoratrici a scegliere professioni meno qualificate e stabili in cerca di maggiore flessibilità oppure ad abbandonare il mercato del lavoro.
Per quanto riguarda invece il rischio di lavorare meno ore non per scelta, questa probabilità
risulta essere tre volte maggiore per le donne rispetto agli uomini, che sono quindi più spesso obbligate a ridurre il proprio orario di lavoro.
La maggiore esposizione a una bassa qualità del lavoro da parte di donne e lavoratori del Sud Italia è condivisa anche con i lavoratori molto giovani. Queste categorie, insieme a quella dei lavoratori anziani,
sono inoltre soggette in modo strutturale ad un elevato tasso di irregolarità dell’occupazione e nel corso del lockdown hanno avuto più difficoltà nell’accesso agli ammortizzatori sociali.
Il verdetto
Secondo Mara Carfagna, i nuovi dati Istat contenuti nel “Rapporto annuale 2020” mostrano che con l’emergenza coronavirus le disuguaglianze «sono cresciute in modo allarmante», in particolare per quanto riguarda «la vita e l’occupazione delle donne».
Abbiamo verificato e la deputata di Forza Italia fa un’osservazione corretta.
In base ai dati contenuti nel rapporto, pubblicato a inizio luglio, l’impatto del lockdown
ha colpito di più le lavoratrici rispetto ai lavoratori, sotto diversi punti di vista. Per esempio, durante la cosiddetta “Fase 1” dell’emergenza coronavirus, le donne
hanno vissuto maggiori difficoltà rispetto agli uomini nella conciliazione casa-lavoro, e l’occupazione femminile tra marzo e aprile 2020 si è ridotta di più in percentuale di quella maschile.
I dati relativi al 2019 mostrano inoltre che anche prima del lockdown le donne in Italia fossero più penalizzate in ambiti come quello della retribuzione o della segregazione occupazionale.
“Vero”, in conclusione, per Carfagna.