Sette errori e bugie del governo Meloni sull’evasione fiscale

Sul tema in questi mesi la presidente del Consiglio e altri esponenti del suo esecutivo hanno fatto dichiarazioni fuorvianti o non supportate dai fatti e dai numeri
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Nei primi sette mesi al governo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e altri esponenti dei partiti di centrodestra hanno fatto una serie di dichiarazioni fuorvianti o smentite da fatti e numeri sull’evasione fiscale. L’uscita più recente è stata quella della leader di Fratelli d’Italia, che durante un comizio elettorale a Catania ha parlato di «pizzo di Stato» in riferimento al pagamento delle tasse. Secondo Meloni sono le big company e le banche a non pagare «davvero» le imposte, ma la relazione annuale del Ministero dell’Economia dice una cosa diversa. Sui circa 90 miliardi di euro di evasione fiscale, che salgono a quasi 100 miliardi contando anche l’evasione dei contributi previdenziali, oltre 32 miliardi di euro provengono dall’evasione dell’Irpef dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Queste due categorie non pagano in media il 69 per cento delle imposte sul reddito che dovrebbero pagare allo Stato ogni anno (una percentuale che nel 2015 era pari al 65 per cento).
Negli scorsi mesi la presidente del Consiglio ha poi ripetuto più volte che l’evasione fiscale in Italia non è calata, segno che le politiche messe in campo dai precedenti governi non sono state efficaci. Lo ha detto per esempio a febbraio in un’intervista con Il Sole 24 Ore, a marzo al Congresso nazionale della Cgil e in un question time alla Camera, e ad aprile in una puntata della rubrica video “Gli appunti di Giorgia”. Rispetto al 2015, nel 2019 l’evasione fiscale era calata di circa 7 miliardi di euro: in cinque anni il suo valore è passato dal 5 per cento in rapporto al Pil al 4 per cento circa. Due misure che hanno funzionato contro l’evasione sono state la fatturazione elettronica obbligatoria e lo split payment, una particolare forma di liquidazione dell’Iva. Quando era all’opposizione, in varie occasioni Meloni si era detta contraria a entrambi questi due strumenti.
Nelle prime settimane al governo la presidente del Consiglio ha più volte difeso la scelta di aumentare il tetto all’uso del contante a 5 mila euro, alla fine inserito nella legge di Bilancio per il 2023. Secondo Meloni «non c’è correlazione tra intensità del limite al contante e diffusione dell’economia sommersa», e dunque dell’evasione fiscale. Ma le cose non stanno così. È vero che ci sono Paesi dell’Unione europea senza limiti all’uso del contante con livelli di evasione fiscale più bassi di quello italiano. Ma non basta questa osservazione per dire che il tetto al contante non impatta sull’evasione. A oggi esistono almeno due ricerche scientifiche condotte proprio sull’Italia secondo cui limitare l’uso del contante può avere un impatto positivo nel ridurre il sommerso. Per dimostrare l’inutilità del tetto al contante, in varie occasioni Meloni ha mostrato un grafico da cui sembrerebbe che in Italia l’evasione fiscale è stata più alta quando il tetto al contante è stato più basso. In realtà il grafico contiene dati parziali ed è fuorviante, come abbiamo spiegato qui.

Gli altri errori

Meloni non è stata l’unica esponente della maggioranza di centrodestra a fare dichiarazioni non supportate dai fatti sull’evasione fiscale. A marzo il presidente della Commissione Attività produttive alla Camera Alberto Gusmeroli (Lega) ha per esempio detto che «la cedolare secca sugli affitti abitativi ha fatto scomparire completamente il sommerso degli affitti abitativi». Non è vero: la cedolare secca, che permette di pagare un’imposta facoltativa con un’unica aliquota sui guadagni dagli affitti, ha contribuito a far calare l’evasione dei canoni di locazione, ma non l’ha azzerata. In più l’emersione del sommerso non è bastata per compensare il calo delle entrate per lo Stato dovuto all’introduzione di un’unica aliquota più vantaggiosa, di cui tra l’altro hanno beneficiato soprattutto i più ricchi. 
Tornando sul tetto al contante, entrambi i vicepresidenti del Consiglio Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (Forza Italia) hanno fatto dichiarazioni fattualmente errate o fuorvianti. A dicembre scorso Salvini ha detto che l’Ue ha raddoppiato da 5 mila euro a 10 mila euro il tetto al contante introdotto dal governo italiano. Non è vero: non essendoci un limite all’uso del contante valido per tutti gli Stati membri, l’Ue ha proposto di introdurne uno, fissato a 10 mila euro. Questo però non si applica automaticamente all’Italia, anzi: l’Ue ha ribadito che ogni singolo Stato membro può mantenere i limiti precedentemente in vigore.

Tajani, come la stessa Meloni, ha difeso l’aumento del tetto al contante dicendo che il vecchio limite, fissato a 2 mila euro, disincentivava gli acquisti dei cittadini stranieri. La dichiarazione del vicepresidente di Forza Italia ignora però un fatto non da poco: in Italia è già in vigore una deroga che permette ai turisti stranieri di fare acquisti fino a 15 mila euro usando i contanti.

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