Il fact-checking degli “appunti di Giorgia” tra fisco, evasione e codice degli appalti

Abbiamo verificato sette dichiarazioni della presidente del Consiglio: alcune sono corrette, altre contengono errori
Pagella Politica
Il 31 marzo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pubblicato sui social un nuovo video della rubrica “Gli appunti di Giorgia”, dove ha parlato di vari temi, tra cui la riforma del fisco, il mondo del lavoro, le bollette e il nuovo codice degli appalti.

Abbiamo verificato sette dichiarazioni per vedere quali sono supportate dai fatti e dai numeri, e quali no. Meloni ha fatto alcune affermazioni corrette, ma ha anche commesso alcuni errori, come successo negli scorsi episodi della sua videorubrica (qui trovi tutti i nostri fact-checking delle puntate precedenti).

La riforma fiscale degli anni Settanta

«Alla fine di questo lavoro noi avremo un fisco completamente nuovo, dopo cinquant’anni dall’ultima riforma che è stata fatta su questa materia, in pratica l’ultima riforma del fisco è stata fatta prima che io nascessi» (min. 1:02)

Meloni è nata a Roma il 15 gennaio 1977. Quasi otto anni prima, il 20 giugno 1969, il governo Rumor approvò un disegno di legge delega che diede il via alla cosiddetta “grande riforma tributaria” degli anni Settanta, da cui ha avuto origine l’attuale assetto del sistema tributario italiano. Nei decenni successivi vari governi sono intervenuti per riformare il fisco, ma con misure che hanno avuto una portata generale minore rispetto all’intervento di ormai cinquant’anni fa.

Ne abbiamo scritto più nel dettaglio in un altro fact-checking: lo trovi qui.

Il costo complessivo delle spese fiscali

«Detrazioni, deduzioni, esenzioni, crediti d’imposta costano allo Stato italiano ogni anno circa 125 miliardi di euro» (min. 1:36)

Le detrazioni e le deduzioni fiscali, le esenzioni e i crediti d’imposta fanno tutti parte delle cosiddette “spese fiscali”: sono misure che intervengono a favore di alcuni contribuenti, riducendo le imposte da pagare. Secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2023 le spese fiscali causano una perdita di gettito per lo Stato pari a 125,6 miliardi di euro, ossia i «125 miliardi» a cui fa correttamente riferimento Meloni. «Il mancato gettito ascrivibile alle agevolazioni fiscali rappresenta mediamente circa il 6 per cento del Pil – spiega un rapporto del ministero – con un andamento altalenante ma tendenzialmente crescente rispetto al 2017». Nel 2022 erano censite in Italia 740 agevolazioni.

La lotta contro l’evasione

«Negli ultimi anni fondamentalmente il livello della nostra evasione fiscale è rimasto sempre attorno ai 100 miliardi di euro l’anno» (min. 4:00)

Non è vero, anche se la presidente del Consiglio lo ripete spesso. Secondo le stime più aggiornate del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il livello dell’evasione fiscale in Italia è calato negli ultimi anni. Come abbiamo spiegato in un fact-checking di una dichiarazione della stessa Meloni, nel 2019 l’evasione delle imposte tributarie e dei contributi era calata di circa 7 miliardi di euro rispetto al 2015. In cinque anni il valore dell’evasione è passato dal 5 per cento in rapporto al Pil al 4,1 per cento.

I condoni del governo Meloni

«Noi di condoni non ne facciamo» (min. 5:41)

Anche questo non è vero. Per esempio la legge di Bilancio per il 2023 contiene la cosiddetta “tregua fiscale”, il nome con cui il governo Meloni indica una serie di provvedimenti che, di fatto, sono un condono per agevolare i contribuenti non in regola con il fisco a sanare la loro posizione. 

Tra le altre cose il governo ha deciso che le cartelle esattoriali con un valore fino a mille euro, inviate fino al 2015, saranno cancellate. Questo condono è stato criticato da alcune istituzioni indipendenti, come la Banca d’Italia e la Corte dei Conti. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha scritto che lo stralcio delle cartelle contenuto nella legge di Bilancio «rappresenta una misura a beneficio dei contribuenti debitori configurandosi come un vero e proprio condono».

I posti di lavoro creati

«L’ultimo rapporto Banca d’Italia, Ministero del Lavoro, Anpal ci dice che tra gennaio e febbraio 2023 sono stati in Italia creati oltre 100 mila nuovi posti di lavoro» (min. 6:38)

È vero: nel rapporto “Il mercato del lavoro: dati e analisi”, realizzato dalle tre istituzioni citate da Meloni e pubblicato il 24 marzo, si legge che nei primi due mesi del 2023 «sono stati creati oltre 100 mila posti» di lavoro in Italia. Più precisamente, si fa riferimento alle “attivazioni nette”, ossia ai nuovi rapporti di lavoro attivati al netto dei rapporti di lavoro cessati. La cifra registrata tra gennaio e febbraio rappresenta «un incremento superiore al doppio di quello del bimestre precedente e maggiore di circa un terzo rispetto agli stessi mesi del 2019, precedenti la pandemia», spiega il rapporto.

Il calo delle bollette

«La battaglia per l’introduzione di un tetto europeo al prezzo del gas porta oggi a una diminuzione delle tariffe energetiche, che è stata certificata da Arera del 55,3 per cento» (min. 7:39)

Il dato sul calo del prezzo delle bollette è corretto, il merito dato al tetto europeo al prezzo del gas no.

Il 30 marzo l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), che svolge l’attività di controllo del mercato dell’energia, ha annunciato che nel secondo trimestre del 2023 il prezzo di riferimento dell’energia elettrica per una famiglia tipo sul mercato tutelato calerà del -55,3 per cento rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Con “famiglia tipo” si fa riferimento alle famiglie con consumi medi di energia elettrica di 2.700 chilowattora all’anno e una potenza impegnata di 3 chilowatt.

Il calo dei prezzi dell’energia elettrica, spiega Arera, è dovuto al calo del prezzo del gas a livello internazionale, che però non è stato causato dall’introduzione del tetto europeo al prezzo del gas, come abbiamo spiegato in un altro fact-checking.

La riforma del codice degli appalti

«La soglia degli affidamenti diretti a 150 mila euro è stata portata a questo livello dal governo Conte II e poi confermata dal governo Draghi. Quello che noi ci siamo limitati a fare è rendere stabile questa norma che altrimenti sarebbe cessata nel 2023» (min. 10:01)

Qui Meloni sta parlando della riforma del codice degli appalti, approvata definitivamente il 28 marzo dal Consiglio dei ministri. Il governo aveva ereditato la delega a riformare il codice dal precedente esecutivo, guidato da Mario Draghi. Alla stesura del nuovo codice ha partecipato il Consiglio di Stato, l’organo che rappresenta il secondo e ultimo grado di giudizio nella giustizia amministrativa. 

Negli ultimi giorni il governo è stato criticato per una norma contenuta nel nuovo codice degli appalti, in base alla quale si possono affidare (art. 50) lavori per un importo fino a 150 mila euro senza fare una gara pubblica e senza consultare più aziende. Questa misura era contenuta nello schema definitivo di codice presentato alla fine del 2022 dal Consiglio di Stato. 

Come correttamente ricordato da Meloni, già i governi precedenti avevano introdotto una soglia simile, sebbene solo in via temporanea, per velocizzare la ripartenza dopo la pandemia di Covid-19 e alcuni progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Per esempio lo avevano fatto il primo governo di Giuseppe Conte con la legge di Bilancio per il 2019, il secondo governo Conte con il decreto “Semplificazioni” del 2020 e il governo Draghi con il decreto “Semplificazioni-bis” del 2021.

Il 1° aprile, in un’intervista con Italia Oggi, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) Giuseppe Busia ha ribadito le critiche al nuovo codice fatte negli scorsi giorni, che gli sono costate una richiesta di dimissioni da parte di alcuni esponenti della Lega, poi ritirata. «Le regole che erano eccezionali con il nuovo codice diventano ore ordinarie», ha dichiarato Busia. «Il codice non si applicherà al Pnrr ma alla normalità e per questo non condividiamo la scelta di aver reso strutturali tout court regole stabilite per velocizzare gli appalti Covid e Pnrr».

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