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La Russa sbaglia: i soldati tedeschi uccisi in via Rasella non erano una «banda musicale»

La dichiarazione
«Quelli che vennero uccisi [nell’attentato di via Rasella n.d.r.] non erano biechi nazisti delle SS ma una banda di semi-pensionati, una banda musicale».
Fonte: Terraverso - Libero | 31 marzo 2023
Bundesarchiv, Bild 101I-312-0983-10 / Koch / CC-BY-SA
Bundesarchiv, Bild 101I-312-0983-10 / Koch / CC-BY-SA
Verdetto sintetico
La storia (e gli storici) smentiscono il presidente del Senato
In breve
  • Il 23 marzo 1944 un gruppo di partigiani comunisti colpì a Roma una colonna del Polizeiregiment “Bozen”, un’unità militare tedesca, uccidendo 33 persone. TWEET
  • L’episodio, legato alla successiva strage delle Fosse ardeatine, è al centro di polemiche: da anni viene portata avanti un’interpretazione dei fatti secondo cui le vittime erano anziane e disarmate. TWEET
  • In realtà gli storici (e alcune sentenze giudiziarie) hanno chiarito che i fatti non stanno così. TWEET
Il presidente del Senato Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) il 31 marzo ha partecipato a Terraverso, un videopodcast del quotidiano Libero, e qui ha fatto un’affermazione sull’attentato partigiano di via Rasella storicamente errata.

La Russa ha parlato dell’argomento per difendere Giorgia Meloni: pochi giorni prima la presidente del Consiglio aveva sostenuto che i 335 morti dell’eccidio delle Fosse Ardeatine – la risposta del regime nazista all’attentato di via Rasella – fossero stati «massacrati solo perché italiani». Affermazione che aveva causato diverse critiche alla presidente del Consiglio, accusata di tacere sull’antifascismo delle vittime e sulle complicità del regime fascista, scegliendo una più comoda (per lei) contrapposizione italiani/stranieri.

Rispondendo alle parole del condirettore di Libero Pietro Senaldi secondo cui l’attentato di via Rasella «non è stata una pagina nobilissima della Resistenza», ha dichiarato (nel video dal min. 8’50’’): «No, tutt’altro, anche perché quelli che vennero uccisi non erano biechi nazisti delle SS, ma era una banda di semipensionati, una banda musicale».

Abbiamo verificato e La Russa dice una falsità.

L’attentato di via Rasella

Il 23 marzo 1944, diciassette partigiani dei Gruppi d’Azione Patriottica (Gap) delle Brigate Garibaldi, composto per lo più da giovani studenti legati al Partito Comunista, colpirono una colonna militare tedesca di circa 150 uomini in transito in via Rasella, una strada dell’attuale centro di Roma a poca distanza dal palazzo del Quirinale.

Nell’attentato, che avvenne circa sei mesi dopo l’inizio dell’occupazione tedesca di Roma nel corso della Seconda guerra mondiale, vennero uccisi 33 militari del Polizeiregiment “Bozen”. Questo era un reparto militare creato in Alto Adige nell’autunno 1943, durante l’occupazione tedesca, e impiegato con compiti di guardia e sorveglianza nella Roma occupata.

Come riferito a Pagella Politica da Andrea Di Michele, storico e professore della Libera università di Bolzano, si trattava di «militari arruolati nella zona di Bolzano dopo il settembre del 1943 per creare una zona d’operazioni delle Prealpi, chiamata Operationszone Alpenvorland, praticamente una zona occupata e non annessa formalmente al Reich tedesco, ma di fatto sotto completo controllo nazista». Il professore ha aggiunto che non si trattava di volontari, né di soldati della SS – cioè della Schutz-Staffel, milizia speciale tedesca destinata a compiti militari e di polizia durante il regime nazionalsocialista – ma di soldati «irregimentati nell’esercito nazista e il fatto che si trattasse di una banda musicale è un’informazione infondata». 

Precisamente, sempre secondo Di Michele, i soldati coinvolti nell’attentato di via Rasella facevano parte di un reggimento che si componeva di tre battaglioni, «un battaglione era quello che si trovava a Roma, mentre altri due erano attivi in altre zone del nord Italia e partecipavano ad azioni di rastrellamento anti-partigiane, di guerra anche contro i civili, erano reparti operativi». Di Michele ha precisato anche che «il battaglione di Roma era usato soprattutto con finalità di guardia a determinati edifici pubblici e all’addestramento militare e coloro che sono rimasti in vita dopo l’attentato di via Rasella sono stati nuovamente impiegati nel nord Italia in azioni antipartigiane. Si trattava di un battaglione militare attivo, non di certo di vecchietti musicisti».

Anche Marco Cuzzi, professore associato di storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano, ha confermato a Pagella Politica che si trattava di un reggimento di polizia composto da soldati dell’esercito nazista. Il reggimento «aveva compiuto operazioni antipartigiane anche piuttosto violente, e quello che mi sento di escludere è che si trattasse di una banda musicale». Come riportato da Cuzzi l’attentato ha avuto un significato simbolico, un’azione di guerra che rappresentava la lotta contro il regime nazista e fascista, perché una guerra di liberazione viene condotta anche con strumenti di terrorismo, «un termine che porta il significato di “spaventare il nemico”».   

Le autorità naziste – con la complicità di quelle fasciste – ordinarono ed eseguirono poco dopo una rappresaglia. Il 24 marzo furono assassinati alle Fosse Ardeatine 335 tra prigionieri politici italiani, ebrei, prigionieri comuni e semplici indagati.

La mitologia neofascista su via Rasella

L’attentato di via Rasella e la successiva strage delle Fosse ardeatine sono alcuni degli episodi più controversi della storia della Resistenza italiana, al centro di grandi dibattiti tra gli storici, ma anche di tentativi di politicizzazione delle vicende e di contrasti sul ruolo storico della Resistenza (l’episodio è anche il primo nel popolarissimo podcast che raccoglie gli interventi dello storico Alessandro Barbero, che parlò di via Rasella in un festival nel 2017).

La descrizione di La Russa del Battaglione Bozen come «banda musicale» appare piuttosto inedita, tanto nella storiografia ufficiale sul tema quanto nei tentativi di revisionismo storico che si sono succeduti nel tempo. L’unica spiegazione plausibile per l’origine di questa caratterizzazione va rintracciata in un particolare dell’evento, ricostruito ad esempio dallo storico Robert Katz nel volume Roma città aperta. Settembre 1943 – Giugno 1944. Secondo quanto riporta Katz, infatti, al momento dell’attacco il reparto tedesco marciava in colonna, con fucili in spalla e bombe a mano alla cintola, intonando la marcia tedesca “Hupf, mein Mädel” (in italiano: “Salta, ragazza mia”). 

Nessuna ricostruzione storica ha mai parlato delle vittime dell’azione partigiana come di una «banda musicale» e gli storici concordano nel riferirsi all’11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen” come a un reparto impiegato con compiti di guardia e sorveglianza nella Roma occupata. Se il riferimento di La Russa alla banda è un inedito, tuttavia, un altro riferimento presente nella dichiarazione del presidente del Senato affonda le radici in una narrazione piuttosto cara agli ambienti dell’estrema destra italiana.

La Russa riporta infatti in auge la falsa notizia che vuole i soldati caduti come un gruppo di «semi-pensionati». Già a nel 1996, ad esempio, il Giornale scrisse una serie di articoli descrivendo la colonna militare come composta da persone anziane e poco o nulla armate: proprio su quella vicenda la magistratura italiana condannò la testata per diffamazione, in una causa intentata dai partigiani sopravvissuti. La stessa sentenza descriveva i militari come di nazionalità tedesca (benché nati in Alto Adige avevano optato per quella cittadinanza), non particolarmente anziani e bene armati.

Anche grazie a quella sentenza oggi sappiamo che il più anziano dei 33 morti era Jakob Erlacher, classe 1901 (43 anni), mentre il più giovane Franz Niederstaetter, che di anni ne aveva al tempo 27. La questione riguardante la presunta anzianità dei soldati tedeschi colpiti durante l’azione si collega a doppio filo con una più ampia narrazione che mira a descrivere via Rasella come un’azione sconsiderata e immorale da parte dei partigiani. Che, nel tempo, ha chiamato in causa anche la morte accidentale di civili durante l’azione e la volontà dei gappisti di non consegnarsi ai nazisti dopo l’azione, di fatto causando indirettamente la successiva strage delle Fosse ardeatine.

Secondo Di Michele, «tornare sulla questione dell’attentato di via Rasella e delle fosse Ardeatine è voler mettere in discussione la legittimità della lotta partigiana contro i fascisti». Come precisa lo storico, infatti, «se noi consideriamo legittima una lotta di questo tipo, capiamo che è ovvio che le formazioni partigiane non potevano che rivolgersi sotto forma militare contro formazioni naziste o fasciste» e il messaggio implicito della dichiarazione del presidente del Senato La Russa è volto a considerare illegittima l’azione militare partigiana.

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