Quest’anno una delle novità principali della politica italiana è stata la nomina di Mario Draghi a presidente del Consiglio. In oltre dieci mesi di governo, come se l’è cavata l’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) alla prova dei nostri fact-checking?

Il bilancio è più o meno simile a quello registrato l’anno scorso dal suo predecessore Giuseppe Conte. Nel complesso, abbiamo verificato oltre 50 dichiarazioni di Draghi e quella del presidente del Consiglio è stata una prestazione con luci e ombre: una serie di fatti e numeri è stata riportata correttamente, ma non sono mancati errori e imprecisioni.

A differenza dei suoi predecessori, Draghi è intervenuto solo in conferenze stampa, discorsi in Parlamento, eventi pubblici o video-messaggi. Ha rilasciato soltanto un’intervista di cinque minuti ad agosto al Tg1 e non è mai stato intervistato su un quotidiano, né italiano né straniero.

I primi mesi di governo

Partiamo dal discorso di insediamento. Il 17 febbraio 2021 il governo Draghi ha ottenuto la fiducia al Senato, dopo che il presidente del Consiglio ha parlato per indicare le linee programmatiche del suo esecutivo.

Nella sua prima volta a Palazzo Madama, Draghi se l’è cavata complessivamente piuttosto bene, citando dati corretti per esempio sull’occupazione, sulla cassa integrazione e sul divario di genere in Italia. In alcuni casi il presidente del Consiglio è stato però impreciso, in particolare quando ha esagerato il contributo del turismo sul Pil italiano (Draghi ha detto che conta per il 14 per cento, percentuale a cui non si arriva nemmeno considerando tutto l’indotto e altre attività che con il turismo c’entrano solo in parte).

Noto per non parlare molto spesso nelle conferenze stampa o in televisione, a inizio marzo ci siamo nuovamente occupati di Draghi quando questi ha correttamente sottolineato come la campagna vaccinale italiana stava progressivamente accelerando – commettendo però allo stesso tempo diversi errori in una conferenza stampa del 19 marzo. Tra le altre cose, di fronte ai giornalisti, l’ex presidente della Bce aveva dato una ricostruzione sulla momentanea sospensione del vaccino Astrazeneca non del tutto coerente con quanto comunicato dalle autorità sanitarie europee.

Il presidente del Consiglio aveva inoltre sostenuto che in quella data l’Italia fosse il secondo Paese europeo per numero di vaccinazioni. Era falso: non era nemmeno tra le prime dieci nazioni, guardando a prime dosi e seconde dosi in rapporto alla popolazione.

La critica (sbagliata) ai giovani psicologi

A inizio primavera Draghi è stato particolarmente preciso nel parlare dello stato dell’economia del Sud Italia e nelle comunicazioni in Parlamento in vista del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo.

Il presidente del Consiglio ha invece commesso diversi errori in una conferenza stampa dell’8 aprile. Tra le altre cose, Draghi ha criticato le regioni per i ritardi nelle vaccinazioni negli anziani, equiparando la vaccinazione di uno «psicologo di 35 anni» a quella di uno che «salta la lista» delle priorità. Quell’esempio aveva una serie di limiti: all’epoca gli psicologi rientravano infatti tra il personale sanitario, che aveva la priorità nelle varie raccomandazioni fatte dai governi alle regioni. Lo stesso governo Draghi aveva introdotto l’obbligo vaccinale per gli psicologi e sarebbe potuto intervenire per “commissariare” le regioni, facendo attuare le disposizioni del piano vaccini.

L’errore su Zaki

Ad aprile il presidente del Consiglio si è meritato un “Pinocchio andante”, commentando la richiesta del Senato di conferire la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, lo studente egiziano all’epoca da oltre un anno in carcere in Egitto (Zaki è stato poi scarcerato a dicembre 2021).

Secondo Draghi, la richiesta sulla cittadinanza era «un’iniziativa parlamentare, in cui il governo non è coinvolto al momento». Non era vero: l’ordine del giorno approvato dal Senato era rivolto proprio all’esecutivo e lo “impegnava” a verificare le condizioni per la concessione della cittadinanza a Zaki.

L’esagerazione sul green pass

Durante l’estate il presidente del Consiglio ha riportato alcuni numeri corretti sulle donne in politica e sul ruolo italiano nei corridoi umanitari in Libia, esagerando però l’impatto della sua presidenza sulle politiche migratorie dell’Unione europea.

In una conferenza stampa del 22 luglio Draghi ha anche dichiarato che il green pass – ottenibile con la vaccinazione contro la Covid-19, un test negativo o l’avvenuta guarigione dalla malattia –dava ai cittadini la «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». Le evidenze scientifiche all’epoca a disposizione smentivano questa affermazione: diversi studi mostravano che sia i vaccinati che i testati negativi potevano trasmettere il virus, seppure in misura minore rispetto ai non vaccinati.

Il 22 dicembre, nella consueta conferenza stampa di fine anno, Draghi ha nuovamente difeso la sua affermazione del 22 luglio, sbagliando nel dire che fosse giustificata dalle «conoscenze» a disposizione in quel momento.

I benefici gonfiati sull’obbligo di green pass a lavoro

Tra settembre e ottobre il presidente del Consiglio non ha commesso errori significativi, nei suoi interventi in una conferenza stampa o a un evento sul clima organizzato a Milano. Lo stesso non si può dire quando ha parlato il 20 ottobre alla Camera, durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 21 e 22 ottobre.

In quell’occasione Draghi ha difeso l’introduzione dell’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro, affermando che diversi «fatti» dimostravano l’«efficacia» delle misure messe in campo dal governo. In primo luogo, secondo il presidente del Consiglio, «tra il 16 settembre e il 14 ottobre» ci sarebbero state quasi 560 mila prime dosi in più «rispetto al previsto», con una crescita del «46 per cento» delle somministrazioni.

Ma non era per nulla chiaro come fosse stato calcolato questo dato, che non sembrava avere riscontro nei dati disponibili. I numeri sulle somministrazioni di prime dosi sono via via calate da metà settembre a inizio ottobre, per poi registrare un leggero aumento a ridosso del 15 ottobre.

In secondo luogo, secondo Draghi, «tra il 16 settembre e il 14 ottobre» i morti per Covid-19 sarebbero calati del «94 per cento», i ricoveri del «95 per cento» e le ospedalizzazioni del «92 per cento». Anche queste percentuali non trovavano riscontro nei numeri ufficiali, ma non erano dati inventati: facevano riferimento alle stime dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sull’efficacia dei vaccini nel ridurre il rischio di morte e ricovero nei vaccinati. Queste stime mostravano però gli effetti della campagna vaccinale da aprile a inizio ottobre e non gli effetti dell’introduzione dell’obbligo di green pass per i lavoratori.

La conferenza stampa di fine anno

Il 15 dicembre, durante altre comunicazioni in Parlamento in vista del Consiglio europeo del 16 dicembre, Draghi non ha commesso errori, che invece ci sono stati nella conferenza stampa di fine anno, organizzata il 22 dicembre.

Tra le altre cose, in questa occasione l’ex presidente della Bce ha dichiarato che «tre quarti» dei decessi causati dalla Covid-19 riguardavano persone non vaccinate. I dati più aggiornati dell’Iss dicono una cosa diversa, ossia che tra il 22 ottobre e il 21 novembre il 41 per cento dei morti era non vaccinato. Resta comunque vero che chi non è vaccinato rischia molto di più di sviluppare forme gravi della malattia e dunque di finire ricoverato in ospedale o morire.

– Leggi anche: Errori e omissioni di Draghi nella conferenza stampa di fine anno