Le comunicazioni di Draghi in Parlamento in tre fact-checking

Ansa
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Il 24 marzo il presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto al Senato e alla Camera per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo.

Abbiamo verificato tre dichiarazioni nel discorso del premier, una sull’andamento della campagna vaccinale, una sulle vaccinazioni nelle strutture residenziali e una sul rapporto fra Stato e regioni nella gestione della pandemia. In base ai dati a disposizione, Draghi non ha commesso errori (ma in un caso non sono disponibili pubblicamente alcune informazioni essenziali).

Qualche giorno prima Draghi aveva fatto altre dichiarazioni sulla campagna vaccinale contro la Covid-19, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti nella sua prima conferenza stampa: come avevamo verificato, il presidente del Consiglio aveva commesso alcuni errori.

Questa volta sembra essersela cavata meglio (anche se ha ripetuto che siamo secondi in Europa nella campagna vaccinale, che come avevamo visto è vero solo scegliendo il dato delle somministrazioni in numeri assoluti). Vediamo i dettagli.

Il confronto fra Regno Unito e Italia

«Nel Regno Unito, giusto per fare un esempio, la campagna vaccinale procede più rapidamente, anche se bisogna dire che le persone che hanno ricevuto entrambe le dosi in numero sono paragonabili a quelle dell’Italia»

Nel Regno Unito, al 24 marzo 2021, hanno ricevuto la prima dose di vaccino circa 28,3 milioni di abitanti, il 53,8 per cento della popolazione. Un numero decisamente più alto rispetto all’Italia, dove la prima dose è stata somministrata a circa 5,6 milioni di persone, circa il 9,5 per cento del totale degli italiani.

Se si paragona il numero di cittadini che hanno completato il protocollo vaccinale – comprensivo di due dosi per Pfizer, AstraZeneca e Moderna – i risultati raggiunti dai due Stati non solo differiscono di poco, ma il dato italiano è leggermente più alto: nel nostro Paese hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino 2 milioni e 624 mila persone, nel Regno Unito 2 milioni e 363 mila (Grafico 1).
Grafico 1: Numero di persone che hanno concluso il ciclo vaccinale contro il Covid-19 – Fonte: Our World In Data
Quindi il presidente del Consiglio Mario Draghi ha riportato un’informazione corretta.

La differenza nel numero di prime e seconde dosi è in parte frutto della strategia scelta dal Regno Unito per la campagna vaccinale, ossia utilizzare le dosi disponibili in via prioritaria per una prima somministrazione sul maggior numero possibile di abitanti. Questo è possibile per due ragioni. Il Regno Unito ha potuto contare prima e in numero maggiore rispetto all’Italia dei vaccini AstraZeneca, il cui protocollo prevede un intervallo di dodici settimane (tre mesi) prima della seconda iniezione. Il Paese guidato da Boris Johnson ha inoltre deciso di applicare – in maniera del tutto sperimentale – le stesse tempistiche di AstraZeneca alla seconda dose di Pfizer, che invece andrebbe somministrata dopo 21 giorni.

Il 31 dicembre 2020 il comitato scientifico governativo britannico per i vaccini (Joint committee on vaccination and immunisationha infatti raccomandato in una lettera inviata ai centri vaccini di somministrare la prima dose al maggior numero di persone possibile e di rinviare la seconda dose, anche di Pfizer, fino alla dodicesima settimana. Secondo il comitato, dodici settimane rappresentano un «intervallo di tempo ragionevole per ottenere una protezione a lungo termine».

Il sito dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) motiva in questi termini la scelta di non adottare la “strategia inglese”: «Non sappiamo quanto si prolunghi l’immunità dopo una prima dose. Una popolazione vaccinata con una sola dose vede il suo rischio di ammalarsi di Covid soltanto dimezzato». L’ente regolatore dei farmaci in Italia cita i Centers for Disease Control negli Stati Uniti, il quale ha dichiarato che per i vaccini Pfizer e Moderna «la seconda dose deve essere somministrata il più vicino possibile all’intervallo raccomandato». Dunque 21 giorni e 28 giorni rispettivamente. Aifa «ritiene necessario attenersi alle correnti indicazioni di somministrazione di due dosi per i vaccini finora approvati».

Il presidente del Consiglio Draghi ha citato diverse volte il modello inglese e al suo esordio al Consiglio europeo, il 27 febbraio, avrebbe proposto agli altri leader di valutare l’opportunità di applicare la stessa strategia anche in Ue, dando priorità alle prime dosi.

I vaccini nelle strutture residenziali

«Abbiamo già ottenuto degli importanti risultati: l’86 per cento degli ospiti nelle residenze sanitarie assistenziali ha già ricevuto una dose di vaccino e oltre due terzi ha completato il ciclo vaccinale»

Questa dichiarazione è difficilmente verificabile con precisione in base ai dati pubblicamente disponibili.

Al 24 marzo sono stati somministrati 520.285 vaccini nella categoria “ospiti strutture residenziali”. Trattandosi del totale delle somministrazioni, il numero dovrebbe comprendere sia le prime che le seconde dosi.

Ci sono però almeno un paio di limiti di questo dato. Il primo: non si sa quanti ospiti delle strutture residenziali abbiano ricevuto la seconda dose, concludendo dunque il ciclo vaccinale. Il secondo problema è che non si sa con precisione quanti siano al momento gli ospiti nelle strutture residenziali.

Nel Piano strategico per le vaccinazione anti-Covid, pubblicato dallo scorso governo, si legge che personale e ospiti nelle residenze sanitarie sono in totale 570.287, ma da questo dato non è possibile sapere quanti sono i soli ospiti.

Secondo una stima pubblicata nel 2018 da Istat, ma riferita al 2015, gli ospiti nelle strutture residenziali in Italia sono circa 380 mila. Se si assume che l’86 per cento di questi – la percentuale indicata da Draghi – abbia ricevuto la prima dose, otteniamo un dato di poco inferiore alle 327 mila dosi. Se si assume che «oltre due terzi» abbiano poi ricevuto anche la seconda dose, otteniamo altre 228 mila dosi circa. Se si sommano i due dati, si ottiene una cifra intorno alle 550 mila vaccinazioni, non troppo lontano dal dato delle dosi totali somministrate tra gli “ospiti strutture residenziali” (oltre 520 mila al 24 marzo).

Dunque la stima indicata da Draghi sembra essere plausibile, anche se la scarsa trasparenza sulla pubblicazione dei dati non permette una verifica precisa. Sottolineiamo poi che il 22 marzo l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha pubblicato un rapporto secondo cui grazie alla campagna vaccinale stanno iniziando a calare contagi e decessi nelle strutture residenziali.

Pandemia: leggi regionali vs leggi dello Stato

«In tempo di pandemia, anche se le decisioni finali spettano al governo, come ha ricordato anche una recente sentenza della Corte Costituzionale, sono pienamente consapevole che solo con una sincera collaborazione tra Stato e Regioni, in nome dell’Unità d’Italia, il successo sarà pieno».

Il presidente del Consiglio ha ragione quando dice che in «tempo di pandemia» le decisioni finali spettano al governo.

Come abbiamo spiegato in passato, l’articolo 117 della Costituzione prevede che fra le materie su cui lo Stato ha la competenza esclusiva ci sia proprio la «profilassi internazionale», ovvero – prendiamo in prestito la definizione del sito giuridico brocardi.it– l’insieme delle procedure mediche adottate a livello internazionale per prevenire l’insorgere e la diffusione di malattie.

Il principio è stato ribadito il 24 febbraio dalla Corte Costituzionale, come Draghi sottolinea correttamente. La Consulta ha accolto il ricorso dello Stato contro una legge regionale del 9 dicembre 2020 con la quale la Valle D’Aosta si attribuiva il potere di regolare autonomamente, e in deroga ai decreti nazionali, l’apertura di negozi, bar e ristoranti (nel frattempo chiusi nel resto d’Italia).

La Corte non ha ancora depositato le motivazioni per le quali ha accettato il ricorso statale, ma le ha anticipate sinteticamente in un comunicato stampa: «La Corte ha ritenuto che il legislatore regionale, anche se dotato di autonomia speciale, non può invadere con una sua propria disciplina una materia avente ad oggetto la pandemia da Covid-19, diffusa a livello globale e perciò affidata interamente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, a titolo di profilassi internazionale».

Insomma, nemmeno alle regioni a statuto speciale – come a tutte le altre – è permesso di contraddire le leggi nazionali sul contenimento della pandemia.

In conclusione

Abbiamo verificato tre dichiarazioni del presidente del Consiglio Draghi nel corso delle comunicazioni al Senato e alla Camera del 24 marzo.

Draghi ha riportato un’informazione corretta quando ha detto che il numero di persone che hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino in Italia è paragonabile a quello di cittadini britannici. Il Regno Unito ha infatti scelto di distribuire in via prioritaria la prima dose al maggior numero di persone possibile e dunque è ancora bassa la percentuale di abitanti che abbia concluso il ciclo vaccinale con entrambe le dosi. In più, ha fra i principali fornitori AstraZeneca, il cui protocollo prevedeva già un intervallo di tempo di tre mesi fra la prima e la seconda dose.

In base ai dati pubblicamente disponibili, è più difficile verificare con precisione se l’86 per cento degli ospiti nelle strutture residenziali abbia ricevuto almeno la prima dose di vaccino e se «oltre due terzi» siano stati vaccinati anche con la seconda dose. Le stime indicate dal presidente del Consiglio sembrano comunque plausibili.

Da ultimo, Draghi ha ragione quando dice che le decisioni definitive spettano allo Stato durante una pandemia. La profilassi internazionale è infatti competenza esclusiva statale, secondo la Costituzione, e di recente, così come ha detto il premier, la Corte costituzionale l’ha ribadito in una sua sentenza.

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