Il fact-checking di Giorgia Meloni a “4 di sera”

Abbiamo verificato 11 dichiarazioni della presidente del Consiglio, che non ha detto sempre la verità
Pagella Politica
Il 2 settembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata ospite per la prima volta in una trasmissione televisiva dopo la pausa estiva. In un’intervista a 4 di sera su Rete 4, la leader di Fratelli d’Italia ha parlato di vari temi, dall’economia all’immigrazione, passando per le pensioni e l’autonomia differenziata.

Abbiamo verificato 11 dichiarazioni di Meloni, che in alcuni casi ha detto la verità e in altri no.

L’andamento del Pil

«L’Italia cresce, secondo le stime della Commissione europea, più di quanto cresca l’Eurozona, cresce più della Francia e più della Germania» (min. 4:30)

Non è chiaro a quali «stime» della Commissione europea faccia riferimento Meloni. Numeri più recenti indicano che la dichiarazione della presidente del Consiglio è esagerata.

Secondo i dati più aggiornati di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, nel secondo trimestre di quest’anno il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia è cresciuto dello 0,2 per cento rispetto al trimestre precedente. Questa percentuale è leggermente più bassa del +0,3 per cento registrato dalla Francia e, in media, dai 20 Paesi che adottano l’euro come moneta unica. Nello stesso periodo di tempo il Pil italiano è cresciuto di più di quello della Germania (-0,1 per cento), ma meno di quello della Spagna (+0,8 per cento). 

Questo andamento è stato sottolineato anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio, un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici italiani, in una nota pubblicata ad agosto. Tra aprile e giugno 2024 «la dinamica congiunturale del Pil dell’Italia è risultata superiore a quella tedesca (che torna a flettere, di un decimo di punto percentuale) e sostanzialmente in linea con quella dell’area dell’euro e della Francia (entrambe allo 0,3 per cento)», ha scritto l’Ufficio parlamentare di bilancio. «Si conferma la buona fase ciclica della Spagna, la cui dinamica congiunturale permane allo 0,8 per cento».

I record sull’occupazione

«Noi abbiamo adesso il tasso di disoccupazione più basso dal 2008» (min. 4:43)

La dichiarazione di Meloni è supportata dai numeri. Secondo i dati Istat più aggiornati, a luglio il tasso di disoccupazione in Italia era pari al 6,5 per cento: l’ultima volta che era stato registrato un dato così basso era marzo 2008 (6,4 per cento). Come si vede dal grafico, però, il calo del tasso di disoccupazione è iniziato prima dell’insediamento del governo Meloni, avvenuto il 22 ottobre 2022.

Il calo dei contratti precari

«Crescono i contratti a tempo indeterminato e diminuisce la precarietà» (min. 4:57)

È corretto. Secondo Istat, a luglio in Italia c’erano quasi 18,8 milioni di lavoratori dipendenti: di questi, il 14,7 per cento aveva un contratto a tempo determinato. Come mostra il grafico, questa percentuale è in calo da tempo, con una dinamica di decrescita iniziata prima dell’insediamento del governo Meloni.

L’andamento dell’export

«Siamo quest’anno nell’export la quarta nazione al mondo per esportazioni» (min. 5:06)

La fonte di questa dichiarazione è un articolo pubblicato il 25 agosto dal Sole 24 Ore, scritto da Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison ed ex consigliere economico di Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio. Secondo le stime di Fortis, tra gennaio e giugno 2024 le esportazioni italiane hanno raggiunto un valore pari a 316 miliardi di euro, quarto dato più alto al mondo, dietro a Cina, Stati Uniti e Germania, e davanti al Giappone, fermo a 312 miliardi di euro.

Questi numeri vanno letti però con attenzione, per almeno due motivi. In primo luogo, quando si confrontano i dati delle esportazioni tra Paesi diversi, per poter fare paragoni diretti spesso si convertono i valori nella stessa valuta. In questo caso i valori in yen (la valuta giapponese) sono stati convertiti in euro. Ma se il tasso di cambio tra yen ed euro è cambiato negli ultimi mesi, questo può avere avuto un effetto sul confronto tra i due Paesi. E in effetti è quello che è avvenuto, con lo yen che ha perso valore nei confronti dell’euro.  

In secondo luogo, i numeri che abbiamo appena visto non ci dicono qual è stato l’andamento delle esportazioni italiane. Come ha sottolineato lo stesso Fortis nel suo articolo, nei primi sei mesi di quest’anno il valore delle esportazioni italiane è calato dell’1,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Secondo Istat, nella prima metà del 2024 c’è stato anche un calo in volumi delle esportazioni dell’Italia. Di questo calo Meloni non ne ha parlato in televisione.

Chi ha introdotto l’autonomia differenziata

«L’autonomia differenziata non è una legge che sta introducendo questo governo. L’autonomia differenziata esiste nella Costituzione italiana da 23 anni, da quando cioè fu fatta una riforma che si chiama “Titolo V” della Costituzione nel 2001. E chi c’era al governo quando fu fatta questa bella riforma? C’era esattamente la sinistra, che ha introdotto il principio per cui in Costituzione lo Stato poteva dare altre materie da gestire alle regioni. Solo che hanno introdotto il principio e non l’hanno mai normato. Che cosa facciamo noi? Normiamo questo principio introdotto da loro» (min. 9:17)

Qui Meloni ha sostanzialmente ragione. In base all’articolo 116 della Costituzione, le regioni possono chiedere al governo di avere maggiore autonomia nella gestione di 23 materie. Questo è il principio della cosiddetta “autonomia differenziata” ed è stato inserito in Costituzione dal Parlamento oltre vent’anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione. Il Titolo V è la sezione della Costituzione dedicata ai poteri e alle competenze di regioni, province e comuni, e comprende il citato articolo 116. 

Come correttamente ricordato da Meloni, la riforma del Titolo V è stata approvata a marzo 2001, durante il secondo governo di Giuliano Amato, supportato da una maggioranza di centrosinistra. All’epoca il secondo governo Amato era sostenuto dall’Ulivo, un’alleanza elettorale formata dai Democratici di Sinistra e La Margherita, dal Partito dei Comunisti Italiani e dai centristi dell’Udeur. Il governo Amato era nato alla fine di aprile 2000, in seguito alle dimissioni del secondo governo di Massimo D’Alema, leader dei Democratici di Sinistra, dovute alla sconfitta alle elezioni amministrative. A ottobre 2001 – durante il secondo governo Berlusconi – la riforma costituzionale del Titolo V è stata poi confermata con un referendum costituzionale, con il 64 per cento di voti favorevoli.

La legge sull’autonomia differenziata, approvata definitivamente dalla Camera lo scorso giugno, stabilisce le regole e il percorso con cui alcune regioni potranno chiedere la maggiore autonomia nella gestione di specifiche materie, prevista dall’articolo 116 della Costituzione.

La questione dei Lep

«Il presupposto per l’introduzione dell’autonomia differenziata voluta da questo governo è una cosa che si chiama “livelli essenziali delle prestazioni”. I livelli essenziali delle prestazioni significa che noi dobbiamo stabilire su tutto il territorio nazionale qual è il livello minimo di servizi che deve essere uguale per tutti i cittadini, indipendentemente da dove vivono» (min. 10:15)

Qui la presidente del Consiglio la fa un po’ semplice. 

La nuova legge sull’autonomia differenziata stabilisce che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia solo dopo che siano stati determinati i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni”, un’espressione spesso abbreviata con la sigla “Lep”. Tra i Lep, spiega la Costituzione, rientrano tutti quei «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». In parole semplici, dalla sanità all’istruzione, passando per i trasporti, i Lep comprendono tutti quei servizi che lo Stato deve ritenere indispensabili per tutti i cittadini, senza distinzioni sul territorio in cui vivono, dal Nord al Sud, dal Centro alle Isole.

Entro due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, il governo dovrà stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, ossia quei provvedimenti con cui il governo può legiferare dopo aver ricevuto la delega dal Parlamento. In questo caso, la delega è stata data dal Parlamento proprio con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’autonomia differenziata.

Lo scorso anno, però, il “Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, nominato dal governo, ha proposto una distinzione tra le materie per cui è necessario determinare i Lep e quelle per cui questa necessità non esiste. Nello stabilire questa distinzione, il Comitato ha deciso di escludere dalla determinazione dei Lep le materie che «non sono configurabili come prestazioni in favore dei cittadini, perché attengono a funzioni regolatorie e di controllo»; le materie che «non sono associabili alla tutela dei fondamentali diritti civili e sociali», e le materie che «non contemplano spazi di autonomia legislativa e funzioni amministrative che possano esigere la determinazione di livelli essenziali». Le materie che secondo il Comitato non hanno conseguenze dirette sui Lep sono nove sulle 23 su cui le regioni possono chiedere maggiore autonomia. Tra le materie escluse ci sono, per esempio, «i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni» e la protezione civile. 

Sulla base di questa premessa, c’è chi sostiene che le regioni possano iniziare il percorso della richiesta di maggiore autonomia senza attendere i Lep. Per esempio, a luglio la Regione Veneto guidata da Luca Zaia (Lega) ha annunciato di voler chiedere subito maggiore autonomia sulle nove materie che non richiedono la determinazione dei Lep. Il 29 agosto, in un’intervista con il Corriere della Sera, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana (Lega) ha espresso una posizione simile.

L’economia del Sud Italia

«Se oggi il Mezzogiorno d’Italia cresce più della media nazionale, ha una crescita occupazionale molto più alta della media nazionale, gli investimenti sono aumentati del 50 per cento, eccetera, è grazie a questo governo» (min. 11:45)

I numeri citati da Meloni sono corretti, mentre è esagerato darne il merito al suo governo. 

Lo scorso giugno l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), che fa ricerca sulle condizioni economiche delle regioni meridionali, ha pubblicato alcune stime, secondo cui nel 2023 il Pil delle regioni meridionali è cresciuto dell’1,3 per cento rispetto al 2022, a fronte di una media nazionale del +0,9 per cento. Svimez ha calcolato anche che lo scorso anno gli occupati nel Mezzogiorno sono cresciuti del +2,6 per cento rispetto al 2022, a fronte di una media nazionale del +1,8 per cento. Queste percentuali sono state confermate anche dalle rilevazioni di Istat.
Grafico 1. La crescita del Pil e del numero di occupati nelle macroaree italiane. Variazione nel 2023 rispetto al 2022 – Fonte: Istat
Grafico 1. La crescita del Pil e del numero di occupati nelle macroaree italiane. Variazione nel 2023 rispetto al 2022 – Fonte: Istat
Svimez, però, non dice che il merito della crescita dell’economia del Sud è del governo Meloni. Tra il 2022 (anno in cui il governo Meloni ha governato poco più di due mesi) e il 2023 gli investimenti in opere pubbliche sono cresciuti del 50,1 per cento. Ma su questa dinamica, ha scritto Svimez, ha «inciso significativamente il progressivo avanzamento degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e l’accelerazione della spesa dei fondi europei della coesione in fase di chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020». Stiamo parlando dunque di risorse stanziate prima dell’insediamento del governo Meloni.

L’aumento dell’assegno unico

«Intanto noi l’assegno unico universale lo abbiamo aumentato: 3 miliardi in più sull’assegno unico in questi anni. Riguarda 6 milioni di famiglie» (min. 12:36)

L’assegno unico e universale è un sostegno economico, introdotto durante il governo Draghi, destinato alle famiglie con figli a carico. Secondo i dati Inps più aggiornati, quest’anno oltre 6,1 milioni di famiglie hanno beneficiato di almeno una mensilità dell’assegno unico, un numero in linea con quello indicato da Meloni.

È vero che l’attuale governo ha aumentato i fondi per l’assegno unico. La legge di Bilancio per il 2023, approvata alla fine del 2022, ha aumentato di 2,9 miliardi di euro complessivi i finanziamenti della misura per gli anni 2023, 2024 e 2025.

L’indicizzazione delle pensioni

«In questi due anni noi abbiamo lavorato per una rivalutazione piena di tutte le pensioni che arrivavano fino a 2.270 euro, garantendo che fossero adeguate pienamente al costo della vita. Abbiamo fatto una rivalutazione al 120 per cento per le pensioni minime, che sono cresciute in modo significativo. Lo abbiamo fatto facendo crescere di meno le pensioni che erano molto alte» (min. 13:36)

Questa ricostruzione è corretta. Con la legge di Bilancio per il 2023, il governo Meloni ha stabilito che le pensioni fino a 2.100 euro lordi aumentassero del 7,3 per cento, ossia per l’intera percentuale stabilita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per far fronte all’aumento dell’inflazione. In più, ha stabilito che le pensioni minime, quelle all’epoca fino a 525 euro, aumentassero dell’8,8 per cento, con una rivalutazione quindi del 120 per cento. Tutte le pensioni con un valore superiore ai 2.100 euro lordi sono aumentate, ma con percentuali via via decrescenti. Lo stesso discorso vale per la legge di Bilancio per il 2024. In questo caso il governo Meloni ha deciso di aumentare le pensioni fino a 2.100 euro lordi del 5,4 per cento, percentuale che via via scende per le pensioni con un importo superiore.

Come ha spiegato l’Ufficio parlamentare di bilancio, non è la prima volta che un governo modifica le regole sulla rivalutazione delle pensioni. Queste regole, infatti, «sono state ripetutamente riviste negli ultimi dieci anni per rallentare la crescita della spesa e in risposta alle difficoltà dell’economia».

Il calo degli sbarchi

«-64 per cento di sbarchi quest’anno rispetto all’anno precedente, ma voglio dire anche quasi -30 per cento rispetto al 2022» (min. 16:21)

È corretto: secondo il Ministero dell’Interno, dal 1° gennaio al 2 settembre 2024 sono sbarcati in Italia circa 42.400 migranti, il 63,1 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2023 (quando gli sbarchi erano continuati a crescere durante il governo Meloni) e il 28,7 per cento rispetto al 2022.
Grafico 2. Andamento degli sbarchi di migranti in Italia dal 1° gennaio al 2 settembre 2022, 2023 e 2024 – Fonte: Ministero dell’Interno
Grafico 2. Andamento degli sbarchi di migranti in Italia dal 1° gennaio al 2 settembre 2022, 2023 e 2024 – Fonte: Ministero dell’Interno

La gestione dell’immigrazione

«Quando siamo arrivati noi si parlava solo di come redistribuire gli immigrati illegali, adesso si parla solo di come tentare di fermare gli sbarchi ai confini europei» (min. 16:37)

Già negli scorsi mesi la presidente del Consiglio ha esagerato i risultati ottenuti dal governo italiano sull’immigrazione. Come abbiamo spiegato in altri fact-checking, nelle conclusioni di vari Consigli europei, prima della partecipazione del governo Meloni, i Paesi dell’Unione europea hanno sottolineato più volte l’importanza di contrastare gli arrivi illegali di migranti via mare.

Al di là dell’iperbole, resta esagerato dire che oggi in Europa si discute «solo» di come fermare le partenze illegali. Per esempio, dopo trattative durate anni, lo scorso 20 dicembre i Paesi membri dell’Ue hanno trovato un accordo per riformare le regole europee sui migranti che arrivano in Europa. Tra le altre cose l’accordo prevede un meccanismo di ridistribuzione dei richiedenti asilo tra i vari Paesi Ue, che si attiverà in caso di circostanze eccezionali.

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