Il governo taglia le pensioni? Perché Schlein non la dice tutta

Abbiamo verificato che cosa non torna nella ripetuta accusa fatta in queste settimane dalla segretaria del PD
ANSA/FABIO CIMAGLIA
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Il 16 dicembre, durante l’Assemblea nazionale del Partito Democratico, la segretaria Elly Schlein ha accusato il governo Meloni, in due passaggi del suo discorso, di aver tagliato le pensioni con la nuova legge di Bilancio. «Stanno tagliando le pensioni», ha dichiarato Schlein, rilanciando un’accusa contro il governo già fatta nelle scorse settimane. 

Un pensionato che ascolta la segretaria del PD potrebbe pensare che nei prossimi mesi gli arriverà una pensione più bassa rispetto a quella che percepisce ora. In realtà le cose non stanno così: nel 2024 infatti le pensioni aumenteranno, anche se il governo è in effetti intervenuto per modificare le regole sul calcolo delle future pensioni di alcune categorie di lavoratori, facendo poi una parziale marcia indietro.

La rivalutazione per l’inflazione

Partiamo dagli aumenti degli importi delle pensioni. A novembre il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito con un decreto che dal 1° gennaio 2024 le pensioni aumenteranno del 5,4 per cento (nel 2023 l’aumento era stato del 7,4 per cento). Questa è la percentuale della cosiddetta “perequazione”, ossia il meccanismo di aggiustamento del valore delle pensioni per compensare la perdita di potere d’acquisto causato dall’inflazione. 

Non tutte le pensioni aumenteranno di questa percentuale e, quindi, non tutte le pensioni avranno una rivalutazione “piena”, ossia pari al 100 per cento della perequazione stabilita dal ministero. Nel disegno di legge di Bilancio per il 2024, ora all’esame del Senato, il governo ha infatti deciso che aumenteranno del 5,4 per cento tutte le pensioni con un valore compreso fino a quattro volte la pensione minima, quindi entro i 2.100 euro lordi mensili. 

Tutte le pensioni con un valore superiore a questa cifra cresceranno lo stesso, ma con percentuali via via più basse. Le pensioni con un valore pari o inferiore a cinque volte la minima avranno una rivalutazione dell’85 per cento, quindi cresceranno del 4,6 per cento, e non del 5,4 per cento. Le pensioni con un valore pari o inferiore a sei volte la minima avranno una rivalutazione del 53 per cento (cresceranno del 2,9 per cento), quelle pari o inferiori a otto volte la minima del 47 per cento (+2,5 per cento), quelle pari o inferiori dieci volte la minima del 37 per cento (+2 per cento), quelle superiori a dieci volte la minima del 22 per cento (+1,2 per cento).

Queste percentuali sono le stesse che erano stabilite per quest’anno dalla legge di Bilancio per il 2023, con una piccola differenza: la scorsa legge di Bilancio aveva deciso che le pensioni con un valore superiore a dieci volte la minima avrebbero avuto una rivalutazione del 33 per cento, ora scesa al 22 per cento. La scorsa legge di Bilancio ha inoltre stabilito che nel 2024 la rivalutazione delle pensioni minime sarà un po’ più generosa rispetto alle altre, come già avvenuto nel 2023.

Come ha spiegato in audizione in Parlamento l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), un organismo indipendente che vigila sui conti pubblici, le regole sulla rivalutazione delle pensioni «sono state ripetutamente riviste negli ultimi dieci anni per rallentare la crescita della spesa e in risposta alle difficoltà dell’economia». Nel 2020 la Corte Costituzionale ha stabilito che questi interventi sono ammissibili, in particolare per le pensioni con un valore più alto, se giustificati dal contesto economico, se proporzionati e circoscritti nel tempo. 

Ricapitolando: a differenza di quanto lasciato intendere da Schlein, nel 2024 le pensioni aumenteranno, sebbene non tutte allo stesso modo.

Le nuove norme per i dipendenti pubblici

Il disegno di legge di Bilancio per il 2024, presentato dal governo Meloni in Parlamento, conteneva all’articolo 33 una norma molto discussa (poi modificata) sulle future pensioni di alcune categorie di lavoratori, tra cui i medici e gli insegnanti, che alla fine del 1995 avevano meno di 15 anni di contributi versati e che lavorano ancora oggi. Qui la materia è complessa: cerchiamo di spiegarla in maniera semplice.

L’obiettivo del governo era quello di risparmiare sulle future pensioni da pagare a persone che oggi lavorano ancora, modificando il meccanismo di calcolo delle pensioni per avvicinarlo a quello in vigore per le altre categorie di lavoratori. Nello specifico la modifica riguardava le cosiddette “aliquote di rendimento”, ossia i parametri utilizzati per calcolare quanta pensione deve prendere un lavoratore che rientra ancora nel regime pensionistico retributivo, dove il valore della pensione è calcolato sullo stipendio e non solo sui contributi effettivamente versati (a oggi il sistema pensionistico italiano è un ibrido tra retributivo e contributivo). 

Come ha sottolineato l’Upb in audizione, i lavoratori interessati dalla modifica contenuta nel disegno di legge di Bilancio «beneficiano di regole di calcolo pensionistico vantaggiose», fissate da una legge del 1965, che sono «sopravvissute alle riforme pensionistiche che si sono succedute dagli anni Novanta». Il vantaggio per medici, insegnanti e altri lavoratori pubblici è dato soprattutto dal fatto che le aliquote di rendimento per il calcolo delle loro pensioni sono più alte nei primi anni lavorativi rispetto a quelle degli altri dipendenti pubblici e privati. «La modifica prospettata dal disegno di legge di Bilancio ridimensiona questa discrepanza di trattamento, senza eliminarla del tutto», ha sottolineato l’Upb, spiegando che se la nuova norma fosse entrata in vigore, alla fine del 2043 lo Stato avrebbe risparmiato complessivamente quasi 21 miliardi di euro, al netto delle imposte. Con la conseguenza, però, che oltre 700 mila lavoratori, una volta andati in pensione, avrebbero preso una pensione più bassa rispetto a quella calcolata con le regole precedenti. 

Nelle ultime settimane ci sono state proteste e scioperi contro la proposta del governo, sebbene già all’inizio di novembre vari esponenti della maggioranza avessero annunciato che in Parlamento ci sarebbero state modifiche. Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando il 23 novembre in Senato, aveva dichiarato che l’articolo 33 della legge di Bilancio sarebbe stato cambiato. «Si tratta di una misura che interviene su un particolare regime pensionistico di una parte di dipendenti pubblici, rispetto alla quale era stata evidenziata, da più parti, l’esistenza di un trattamento che era disomogeneo tra dipendenti e disomogeneo anche tra gli stessi medici», aveva dichiarato Meloni. «Su questa linea, del resto, si sono espressi anche economisti non sospettabili di essere dei sostenitori del governo [per esempio ne hanno scritto su la Repubblica gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti, ndr]. Il governo però ha già annunciato che intende rivedere la norma con particolare riferimento proprio al tema degli operatori sanitari e che, in ogni caso, faremo in modo che non subisca alcun tipo di penalizzazione chi accede alla pensione di vecchiaia e chi ha un’elevata anzianità contributiva», aveva aggiunto la presidente del Consiglio.

Il 18 dicembre nella Commissione Bilancio del Senato si è ufficialmente concluso l’esame del disegno di legge di Bilancio, dove è stato modificato il contestato articolo 33. La riduzione delle pensioni, rispetto alle regole attuali, avverrà soltanto per i dipendenti che accederanno al pensionamento anticipato. Per il personale sanitario che ha maturato i requisiti per andare in pensione prima è stata introdotta un’ulteriore novità: per ogni mese in più di lavoro si ridurrà la riduzione del taglio all’assegno pensionistico. Chi arriverà a 46 anni di contributi versati non avrà tagli delle aliquote di rendimento.

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