Il volantino di Italia Viva contro Meloni è pieno di errori

Il partito di Renzi accusa il governo di essere responsabile di molti rincari, ma usa dati scorretti o fuori contesto
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Il 16 luglio, ospite a In Onda su LA7, il presidente di Italia Viva Matteo Renzi ha presentato un volantino che il suo partito ha iniziato a distribuire davanti ai supermercati, in occasione dei primi mille giorni del governo Meloni. Il volantino è intitolato “Giorgia, quanto ci costi!” e la sua grafica richiama quella utilizzata dai supermercati per pubblicizzare gli sconti sui prodotti.

​​«Promozioni? No, 1000 giorni di rincari! Niente sconti, solo aumenti. Il governo spreca, l’italiano paga», si legge sul volantino, che elenca diverse voci di spesa che – secondo Italia Viva – sarebbero aumentate a causa del governo Meloni.
Dalle cifre esagerate sui centri in Albania, passando per i rincari della spesa e dei pedaggi, fino agli stipendi, all’IVA e alla pressione fiscale, il volantino mescola dati corretti ad altri scorretti o fuori contesto, offrendo un quadro distorto dei mille giorni del governo.

I centri in Albania

Secondo Italia Viva, i centri per i migranti costruiti dal governo in Albania sono «vuoti» e sono costati «un miliardo di euro». Questa cifra è sbagliata, come abbiamo già spiegato in un altro fact-checking. 
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Nel complesso, la spesa prevista per i centri in Albania è di circa 680 milioni di euro in cinque anni, dal 2024 al 2028. Non si tratta quindi né di un miliardo di euro, né di soldi già spesi. Inoltre, la stima tiene conto del fatto che i centri funzionino a pieno regime dalla seconda metà del 2024, cosa che non è ancora avvenuta.

Secondo i piani del governo, i centri avrebbero dovuto accogliere migliaia di migranti. Per ora, anche a seguito di alcune sentenze, sono usati soltanto per trattenere alcune decine di persone in attesa di rimpatrio. I costi reali, quindi, risultano per ora inferiori a quelli inizialmente stimati.

L’andamento degli stipendi

Italia Viva sostiene che gli «stipendi reali» in Italia siano calati del «10,5 per cento rispetto al 2019». Questa percentuale è presente nel “Rapporto annuale” pubblicato da ISTAT lo scorso maggio [1]. Si riferisce all’andamento delle cosiddette “retribuzioni contrattuali”, cioè la quota di stipendio fissata dai contratti collettivi nazionali per ogni ora di lavoro.
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Il calo, però, non è avvenuto tutto sotto il governo Meloni, che si è insediato a ottobre 2022. Anzi, secondo il rapporto ISTAT, nel 2024 le retribuzioni hanno registrato un aumento, sebbene non sufficiente a recuperare le perdite accumulate negli anni precedenti. «Nell’ultimo biennio le retribuzioni contrattuali hanno iniziato a recuperare in termini reali, ma in misura insufficiente a coprire il ritardo maturato negli anni precedenti», ha dichiarato il presidente di ISTAT Francesco Maria Chelli, presentando il rapporto.

Il costo della spesa

Un’altra parte del volantino riporta i rincari, avvenuti sotto il governo Meloni, per prodotti come pane e carne in tre città: Roma, Milano e Napoli. Inoltre, Italia Viva afferma che «il costo della spesa» è aumentato «solo a giugno» del 3,1 per cento, con «+535,50 euro di costi all’anno per le famiglie, di cui 174,60 euro per alimenti».
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Le cifre sui rincari del pane e della carne sono corrette e si riferiscono al periodo tra ottobre 2022 e maggio 2025. La fonte è l’Osservatorio prezzi e tariffe del Ministero per le Imprese e il Made in Italy, che rileva mensilmente l’andamento dei prezzi di diversi prodotti.

Ma attribuire al governo la responsabilità dell’aumento dell’inflazione non ha molto senso. L’inflazione, infatti, dipende da molti fattori esterni al controllo diretto del governo, come i prezzi dell’energia, delle materie prime e le dinamiche internazionali. Inoltre, l’aumento dei prezzi in Italia è iniziato prima dell’insediamento del governo Meloni, spinto dalla fine della pandemia di COVID-19 e dalla guerra in Ucraina, con le relative conseguenze economiche. Basti pensare che, sotto il governo Draghi – sostenuto da Italia Viva – il prezzo di alcuni beni è aumentato di più rispetto agli ultimi due anni. Un governo può agire su alcune leve fiscali o normative, ma non può controllare direttamente l’andamento generale dei prezzi.

Lo stesso discorso vale al contrario: negli scorsi mesi, alcuni esponenti dell’attuale governo hanno cercato di prendersi il merito del calo dell’inflazione registrato dal 2023, ma lo stesso governo ha poi riconosciuto che quel calo è stato dovuto in gran parte ad altri fattori, come le decisioni della Banca centrale europea e la riduzione dei prezzi energetici.

Negli ultimi mesi, comunque, l’inflazione è tornata a crescere, pur restando al di sotto dei livelli registrati subito dopo la pandemia. Quando Italia Viva parla del «costo della vita», si riferisce a un dato specifico: l’indice dei prezzi al consumo dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, noto anche come “carrello della spesa”.

Secondo il partito di Renzi, questo indice è aumentato a giugno del 3,1 per cento. Il volantino però non specifica rispetto a quale periodo. La percentuale è una stima preliminare pubblicata da ISTAT a fine giugno, riferita alla variazione annuale tra giugno 2024 e giugno 2025. La stima definitiva, diffusa pochi giorni dopo, è leggermente più bassa: +2,8 per cento.

Anche in questo caso, vale quanto detto sopra: non si può attribuire interamente al governo Meloni la responsabilità di questi rincari. Inoltre, durante il governo Draghi l’aumento del “carrello della spesa” è stato anche più marcato.

Infine, la stima dei «+535,50 euro annui» in più per le famiglie è stata calcolata dall’Osservatorio Nazionale Federconsumatori. Anche prendendo per buona questa cifra, si riferisce a «una famiglia media» e presuppone che l’inflazione resti stabile su quei livelli, senza diminuire nei mesi successivi.

L’IVA su assorbenti e pannolini

Nel volantino “Giorgia, quanto ci costi!”, Italia Viva afferma che l’IVA su assorbenti e pannolini è «aumentata al 10 per cento rispetto al 2022». Anche qui, il partito di Renzi fa confusione.
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La legge di Bilancio per il 2023 – la prima approvata dal governo Meloni – aveva ridotto l’IVA dal 10 al 5 per cento sui prodotti assorbenti e tamponi destinati all’igiene femminile. La stessa legge aveva anche ridotto l’IVA dal 22 al 5 per cento su alcuni prodotti per la prima infanzia, come pannolini, latte e seggiolini per auto.

Dopo un anno, il governo ha però riconosciuto che questa riduzione dell’IVA non aveva portato a un calo dei prezzi significativo per i consumatori. Per questo motivo, ha fatto marcia indietro, riportando l’IVA sugli assorbenti al 10 per cento – lo stesso livello del 2022 – e quella sui pannolini al 10 per cento, comunque più bassa rispetto al 22 per cento del 2022.

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Il pagamento del bollo auto

Un’altra critica contenuta nel volantino riguarda il pagamento del «bollo auto»: «Cancellata rateizzazione per le auto sottoposte a fermo», si legge.
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Il riferimento è a uno schema di decreto legislativo approvato dal governo per attuare una parte della riforma fiscale, attualmente all’esame delle commissioni parlamentari di Camera e Senato. Tra le altre cose, questo decreto modifica le regole per il pagamento del bollo auto, una tassa dovuta da chi possiede un veicolo.

Secondo quanto previsto, a partire dal 1° gennaio 2026 il bollo dovrà essere pagato in un’unica soluzione entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di immatricolazione del veicolo. L’obbligo di pagamento vale anche per chi possiede un’auto sottoposta a “fermo amministrativo fiscale” (da non confondere con il fermo disposto dalla polizia).

In sostanza questo significa che, anche se il veicolo non può circolare perché bloccato per debiti non pagati, il proprietario resta comunque tenuto a versare il bollo, dal momento che il fermo non cancella la proprietà del mezzo né l’obbligo fiscale collegato.

A sostegno di questa norma, un dossier parlamentare richiama una sentenza della Corte Costituzionale. Secondo la Corte il fermo amministrativo fiscale è una misura cautelativa provvisoria, adottata per incentivare il pagamento volontario del debito, evitando il ricorso immediato al pignoramento. Il fermo, quindi, non annulla la proprietà del veicolo e non fa venir meno obblighi fiscali come il pagamento del bollo auto.

L’aumento dei pedaggi

Sul fronte dei trasporti, il volantino di Italia Viva accusa il governo di aver aumentato i «pedaggi» del «+2 per cento rispetto al 2022». 
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Non è chiaro a quale statistica si riferisca il partito di Renzi, ma con ogni probabilità il riferimento è all’aumento medio delle tariffe autostradali deciso per il 2023 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In seguito, ci sono stati altri aumenti, anche nel 2024 rispetto al 2023.

Va precisato però che la crescita dei pedaggi non è una novità introdotta dal governo Meloni. Le regole che permettono questi adeguamenti esistono da tempo e prevedono che una parte degli aumenti sia legata all’andamento dell’inflazione.

Inoltre, anche durante il governo guidato da Matteo Renzi, all’inizio del 2015 e del 2016, vennero decisi aumenti dei pedaggi autostradali.

L’andamento della pressione fiscale

Infine, secondo Italia Viva nel 2025 ci saranno «più tasse da pagare»: «+370 milioni di euro», con la «pressione fiscale al 42,6 per cento». Anche in questo caso, vengono mescolati dati diversi tra loro.
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Partiamo dalla pressione fiscale, che misura il rapporto tra il gettito complessivo delle imposte e contributi e il Prodotto interno lordo (PIL). Il valore citato da Italia Viva – 42,6 per cento – è la stima per il 2024, in crescita di oltre un punto rispetto al 2023. Secondo le previsioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), nel 2025 la pressione fiscale salirà ancora, al 42,7 per cento.

E da dove arrivano i «370 milioni di euro»? Si tratta di una stima dell’UPB sull’effetto del cosiddetto “drenaggio fiscale”, noto anche come fiscal drag. Questo fenomeno si verifica quando, a causa dell’inflazione, i redditi nominali aumentano e fanno crescere le imposte pagate, se nel frattempo la struttura dell’imposta non viene aggiornata.

L’UPB ha stimato che, con un’inflazione al 2 per cento, le entrate fiscali per lo Stato potrebbero aumentare di «circa 370 milioni» di euro nel 2025, per effetto delle nuove regole IRPEF introdotte con l’ultima legge di Bilancio.

***


[1] Figura 1.12.

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