ISTAT smentisce Meloni sulla crescita “record” dei salari

Il nuovo rapporto annuale mostra che nel 2024 le retribuzioni in Italia non sono cresciute più che nel resto d’Europa, come sostiene da settimane la presidente del Consiglio
ANSA/FILIPPO ATTILI
ANSA/FILIPPO ATTILI
Il 21 maggio l’ISTAT ha pubblicato il nuovo “Rapporto annuale 2025”, che di fatto smentisce quanto sostiene da alcune settimane la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sulla crescita dei salari in Italia.

In un video diffuso sui social alla fine di aprile, e poi durante i question time al Senato e alla Camera, Meloni ha affermato che tra il 2013 e il 2022 il potere d’acquisto dei salari italiani è diminuito, mentre in Europa è aumentato. Secondo la presidente del Consiglio, dopo l’insediamento del suo governo c’è stata un’inversione di tendenza rispetto al passato: da ottobre 2023 i salari in Italia sarebbero cresciuti più dell’inflazione e con una «dinamica migliore» rispetto a quella del resto d’Europa.

Già prima della pubblicazione del nuovo rapporto ISTAT c’erano diverse prove che dimostravano come questa affermazione fosse fuorviante. Ora i nuovi dati contenuti nel rapporto confermano che la tesi di Meloni è esagerata.

Gli errori di Meloni

Facciamo un passo indietro. Come abbiamo spiegato in un altro fact-checking, nelle sue recenti dichiarazioni Meloni ha confuso tra loro indicatori diversi, per di più non aggiornati al 2024.

In breve: è vero, come sostiene la presidente del Consiglio, che nel 2022 il livello delle retribuzioni dei lavoratori in Italia era inferiore rispetto al 2013 (mentre nell’Ue era superiore), tenendo conto dell’inflazione accumulata in quel decennio.

Ma, a differenza di quanto lascia intendere Meloni, tra il 2013 e il 2022 il calo del potere d’acquisto in Italia non è stato continuo: in alcuni anni – e quindi sotto alcuni governi – le retribuzioni sono aumentate. Inoltre, Meloni ha omesso di dire che anche nel 2023 – il primo anno interamente sotto il suo governo – le retribuzioni sono ulteriormente diminuite rispetto al 2022.

Per comprendere meglio perché la tesi di Meloni è fuorviante, è importante chiarire che il termine “retribuzioni”, finora, sia riferito alle “retribuzioni lorde annue per dipendente” in termini reali. Queste includono tutto ciò che il lavoratore ha ricevuto durante l’anno, sia in denaro sia sotto forma di altri benefici. “Reali” significa che il loro andamento tiene conto dell’aumento dell’inflazione.

Quando invece Meloni sostiene che da ottobre 2023 i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione, non parla più di retribuzioni lorde annue, ma – senza precisarlo – di “retribuzioni contrattuali orarie”. Queste ultime rappresentano il salario stabilito dai contratti collettivi nazionali per un’ora di lavoro. È vero che dalla fine del 2023 in poi queste retribuzioni sono cresciute, grazie al rallentamento dell’inflazione e al rinnovo di alcuni contratti. Ma nei primi mesi del 2025 le retribuzioni contrattuali orarie risultavano ancora inferiori rispetto al 2021.

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I nuovi dati di ISTAT

Questo era il quadro prima della pubblicazione del nuovo rapporto ISTAT. Fino a oggi, non era possibile affermare con certezza che nel 2024 le retribuzioni – intese come “retribuzioni lorde annue per dipendente” – fossero cresciute oltre i livelli pre-pandemici, né che la crescita fosse stata superiore a quella del resto d’Europa. In sostanza, era questa la tesi sostenuta da Meloni, che ora non trova conferma nei dati ISTAT.

Il “Rapporto annuale 2025” include un grafico che mostra l’andamento delle retribuzioni reali lorde per dipendente in Italia, Francia, Germania e Spagna (Grafico 1). Il grafico fissa il livello del 2019 a 100 e mostra l’evoluzione fino al 2024.
Grafico 1. Retribuzioni reali lorde per dipendente in Italia, Francia, Germania e Spagna – Fonte: ISTAT
Grafico 1. Retribuzioni reali lorde per dipendente in Italia, Francia, Germania e Spagna – Fonte: ISTAT
Come si vede dal grafico, le retribuzioni in Italia (linea blu scura) sono cresciute nel 2024, ma non abbastanza da tornare ai livelli del 2019. La crescita c’è stata, ma – a differenza di quanto affermato da Meloni – non rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto ai governi precedenti: in alcuni anni passati, come mostra per esempio il 2021, le retribuzioni erano già aumentate. Si può dire che nel 2024 c’è stata un’inversione rispetto ai due anni precedenti, ma non rispetto all’intero periodo considerato.

Inoltre, il grafico mostra chiaramente che l’aumento registrato in Italia nel 2024 non è stato «migliore» di quello osservato nel resto d’Europa. 

Tra il 2023 e il 2024, la crescita italiana è stata di circa 2 punti percentuali. Una crescita simile si è avuta in Spagna (linea rossa tratteggiata), che però è già sopra di circa 4 punti rispetto al 2019. Anche Francia e Germania hanno registrato aumenti: quello francese (linea azzurra) è stato più contenuto, ma quello tedesco (linea gialla) ha superato i 2 punti percentuali, quindi è stato più alto di quello italiano.

In ogni caso, tra i quattro Paesi considerati, l’Italia resta quello con il livello delle retribuzioni reali più basso rispetto al 2019. Va sottolineato poi, come fa la stessa ISTAT, che nei tre anni tra il 2022 e il 2024 la crescita dell’inflazione è stata «sostanzialmente omogenea» in Italia, Francia e Spagna, mentre in Germania è stata «più accentuata». 

Ricapitolando: l’ISTAT ha pubblicato un nuovo rapporto che smentisce la tesi di Meloni secondo cui, dalla fine del 2023, le retribuzioni in Italia sarebbero cresciute più che altrove in Europa. Tra i grandi Paesi dell’Ue, la crescita italiana è stata uguale a quella della Spagna, inferiore a quella della Germania e leggermente superiore a quella della Francia.
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