Sui salari Meloni rivendica un’altra “inversione di tendenza” che non c’è

Secondo la presidente del Consiglio, sono tornati a crescere grazie al suo governo. Abbiamo analizzato che cosa dicono i numeri
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Il 30 aprile, in un video pubblicato sui social network in vista della Festa dei lavoratori del 1° maggio, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato che il suo governo intende destinare nuove risorse per contrastare le morti sul lavoro.

Nel video, Meloni ha anche rivendicato alcuni risultati ottenuti dal suo governo, in particolare sul fronte delle retribuzioni dei lavoratori. Secondo la presidente del Consiglio, grazie all’azione del governo «crescono i salari reali, in controtendenza con quello che accadeva nel passato». A supporto, Meloni cita questa statistica: «Tra il 2013 e il 2022, con i precedenti governi, nel resto d’Europa il potere d’acquisto dei salari aumentava del 2,5 per cento, mentre in Italia diminuiva del 2 per cento». E aggiunge: «Da ottobre 2023 la tendenza è cambiata e le famiglie stanno progressivamente recuperando il loro potere d’acquisto, con una dinamica dei salari che è migliore, e non peggiore, rispetto a quella del resto d’Europa».
Insomma, da circa un anno e mezzo le retribuzioni italiane sarebbero tornate a crescere e lo farebbero più che negli altri Paesi. I numeri le danno ragione oppure no? In breve, la dichiarazione rischia di risultare fuorviante perché mescola l’andamento di indicatori diversi. Ma le cifre che abbiamo a disposizione non giustificano per il momento i successi rivendicati da Meloni. 

Peraltro l’attuale governo ha spesso rivendicato il merito di “inversioni di tendenza”, dal turismo all’occupazione, che sarebbero passati da indicatori negativi a positivi. Come abbiamo mostrato nelle nostre verifiche, quelle inversioni di tendenza spesso non hanno trovato riscontro nei dati.

Tra il 2013 e il 2023…

È probabile che la fonte della prima parte della dichiarazione della presidente del Consiglio – quello sull’andamento delle retribuzioni in Europa e in Italia fino al 2022, che mostrerebbero un calo nel nostro Paese – sia il “Rapporto annuale 2023” dell’ISTAT, pubblicato a maggio di due anni fa. In quel documento si legge infatti che «il potere di acquisto delle retribuzioni nel 2022 è cresciuto nella media Ue del +2,5 per cento rispetto al 2013, mentre in Italia è diminuito del 2 per cento». Sono proprio le percentuali citate da Meloni nel suo video. 

Con il termine “retribuzioni”, in quel contesto, l’ISTAT fa riferimento alle “retribuzioni lorde annue per dipendente”, un indicatore che include tutto ciò che il lavoratore ha ricevuto durante l’anno, sia in denaro sia sotto forma di altri benefici. Non è solo una precisazione tecnica: parte dei problemi nella dichiarazione di Meloni sta proprio negli indicatori utilizzati.

Anche il “Rapporto annuale 2024”, pubblicato da ISTAT l’anno scorso, contiene una sezione dedicata all’andamento di quasi la stessa metrica, cioè le retribuzioni lorde annue per dipendente in termini reali (cioè tenendo conto dell’andamento dell’inflazione), con dati aggiornati al 2023. In quell’anno – il primo interamente sotto il governo Meloni – le retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia sono ulteriormente calate rispetto al 2022, risultando inferiori anche rispetto al livello del 2013. Dunque, ricapitolando: nel 2023, primo anno intero del governo Meloni, le retribuzioni lorde annue sono in realtà calate.
Andamento delle retribuzioni lorde annue per dipendente in termini nominali e reali nei grandi Paesi Ue – Fonte: ISTAT
Andamento delle retribuzioni lorde annue per dipendente in termini nominali e reali nei grandi Paesi Ue – Fonte: ISTAT
Dalla dichiarazione di Meloni si ha l’impressione che tra il 2013 e il 2023 ci sia stato un calo continuo delle retribuzioni, seguito poi da una netta inversione di rotta con l’arrivo del suo governo. Ma se guardiamo ai due grafici qui sopra prodotti da ISTAT, basati su dati di Eurostat, notiamo quanto sia altalenante l’andamento delle retribuzioni lorde annue per dipendente tra il 2013 e il 2023 in termini nominali (grafico a sinistra) e in termini reali (grafico a destra) nelle principali economie dell’Unione europea.

Come si vede dal grafico a destra, in Italia (linea blu) e negli altri Paesi tra il 2013 e il 2015 si era registrato un aumento, così come tra il 2017 e il 2019. E nel 2021 le retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia, in termini reali, erano superiori a quelle del 2013. Non c’era una tendenza al calo (che il governo avrebbe invertito).

È vero però che dopo il 2021 in Italia si sono verificati due anni di calo, dovuti soprattutto al forte aumento dell’inflazione. La dinamica dei prezzi, infatti, ha un ruolo centrale nel determinare il potere d’acquisto.

A questo proposito, tra la fine del 2023 e la prima parte del 2024 la crescita dei prezzi ha rallentato in Italia più che in altri Paesi europei, che è generalmente una buona notizia per il potere d’acquisto dei salari di cui ci stiamo occupando qui. Ma come abbiamo spiegato in altri approfondimenti e come ha ammesso lo stesso governo in alcuni documenti ufficiali, il merito non è dei provvedimenti del governo. 

Va poi sottolineato che da settembre 2024 i prezzi sono tornati a salire, sebbene a un ritmo inferiore rispetto ai picchi dei due anni precedenti. Lo scorso 17 aprile, in un’audizione in Parlamento, il direttore del Dipartimento per le statistiche economiche dell’ISTAT, Stefano Menghinello, ha spiegato infatti che «negli ultimi mesi del 2024 la dinamica dei prezzi ha mostrato alcuni segnali di risalita», proseguiti nei primi mesi di quest’anno.
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…e dopo il 2023

Veniamo allora a quello che è successo dalla fine del 2023, quando si sarebbe verificata l’inversione di tendenza di cui parla Meloni. I dati aggiornati al 2024 sulle retribuzioni lorde annue per dipendente non sono ancora disponibili sul database di Eurostat: non è quindi possibile stabilire con certezza quanto queste siano migliorate rispetto al 2023, né quanto siano migliorate rispetto ad altri Paesi europei. Il prossimo 21 maggio ISTAT pubblicherà il nuovo “Rapporto annuale 2025”, che probabilmente conterrà i dati sull’andamento delle retribuzioni nel corso del 2024. 

Perché allora Meloni afferma che «da ottobre 2023 la tendenza è cambiata e le famiglie stanno progressivamente recuperando il loro potere d’acquisto, con una dinamica dei salari che è migliore, e non peggiore, rispetto a quella del resto d’Europa»? Una dichiarazione simile era già stata fatta in passato dalla presidente del Consiglio durante un’intervista televisiva.

Con tutta probabilità, il riferimento è a una misura differente. Nel “Rapporto annuale 2024” dell’ISTAT, infatti, si legge che «dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione» (corsivo nostro). Qui non si parla però delle retribuzioni lorde annue per dipendente, ma delle retribuzioni contrattuali orarie. 

Sono un’altra cosa: si riferiscono infatti a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali per un’ora di lavoro. L’osservazione del rapporto si riferisce inoltre solo agli ultimi mesi del 2023. E come abbiamo visto più sopra, in quell’anno in realtà le retribuzioni lorde annue (e quelle contrattuali) sono state inferiori rispetto all’anno precedente.

Il 29 aprile, ISTAT ha pubblicato i dati più aggiornati sulle retribuzioni contrattuali, in un report a parte, relative al primo trimestre del 2025. Rispetto alla perdita del potere d’acquisto registrata tra il 2022 e il 2023, tra il 2024 e i primi tre mesi del 2025 c’è stato un recupero, ma come spiega ISTAT «le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’8 per cento rispetto a quelle di gennaio 2021». 

Insomma, anche se guardiamo all’andamento delle retribuzioni contrattuali non c’è nessuna inversione di tendenza, e queste sono, secondo gli ultimi dati disponibili, più basse oggi (in termini reali) di prima che il governo Meloni entrasse in carica. Possiamo semmai dire che, da fine 2023, gli aumenti contrattuali hanno recuperato un po’, visto che sono stati più alti dell’inflazione.

Ricapitolando, Meloni sembra aver mescolato l’andamento di due indicatori distinti: nella prima parte della sua frase fa riferimento a come sono andate tra il 2013 e il 2022 le retribuzioni lorde annue per dipendente (che includono tutto quanto effettivamente percepito da un lavoratore in un anno), nella seconda si riferisce a un dato (peraltro parziale) sulle retribuzioni contrattuali orarie (che indicano ciò che è previsto dai contratti collettivi per ogni ora lavorata). 

Secondo i dati attualmente disponibili, queste ultime hanno in effetti – a partire da ottobre 2023 – iniziato a crescere più rapidamente dell’inflazione. Ma questo non significa automaticamente che il potere d’acquisto delle famiglie sia migliorato più che nel resto d’Europa, con cui d’altra parte non è possibile ad oggi fare un confronto.

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