No, l’inflazione non scende per merito del governo Meloni

Lo dice Fratelli d’Italia, ma le ragioni sono altre e riguardano il calo dei prezzi dell’energia e l’aumento dei tassi d’interesse della Bce
ANSA
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Lunedì 17 luglio Fratelli d’Italia ha scritto sulle sue pagine social ufficiali che in Italia l’inflazione sta calando, a dimostrazione che «le misure varate dal governo Meloni danno i loro frutti» e che «l’Italia torna a crescere». «Questi numeri sono l’ennesima conferma che siamo sulla strada giusta», ha commentato il partito guidato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un post condiviso, tra gli altri, anche dal ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida. «L’inflazione mostra segni di calo. Grazie agli interventi del governo Meloni i prezzi al consumo scendono», ha scritto Lollobrigida su Twitter.

Le cose però non stanno così, o meglio: è vero che la crescita dell’inflazione sta rallentando, ma darne il merito al governo è scorretto.

Com’è andata l’inflazione a giugno

Il giorno della dichiarazione di Fratelli d’Italia l’Istat ha pubblicato le stime più aggiornate sull’andamento dei prezzi nel nostro Paese. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, a giugno l’inflazione è aumentata del 6,4 per cento rispetto allo stesso mese del 2022, una crescita meno marcata rispetto al +7,6 per cento registrato a maggio. 

Per capire il perché del calo dell’inflazione, la prima cosa da fare è analizzare nello specifico quali sono i beni e i servizi i cui prezzi sono scesi di più a giugno. Presentando le sue stime Istat ha specificato che il rallentamento dell’inflazione «si deve ancora, in prima battuta, al rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati». Il prezzo di questi beni, tra cui rientrano i carburanti per i veicoli e il gas e l’elettricità per uso domestico nel mercato libero, sono aumentati a giugno dell’8,4 per cento rispetto a un anno prima, mentre a maggio la crescita era stata del 20,3 per cento. Il fattore principale che sta determinando il rallentamento dell’inflazione è dunque il calo del costo dell’energia, in discesa ormai da mesi, che è stato la causa più significativa alla base della crescita dell’inflazione in Europa nel 2022 (già nel 2021 si erano registrati i primi aumenti a causa, tra le altre cose, della riduzione dell’offerta da parte della Russia). Come abbiamo spiegato in vari fact-checking negli scorsi mesi, il calo del costo dell’energia non è riconducibile a misure adottate dal governo Meloni, ma a dinamiche internazionali, tra cui l’aumento degli stoccaggi di gas in Europa, la riduzione della domanda di gas delle industrie e l’aumento della produzione di energie rinnovabili. Un’altra categoria che sta trainando la riduzione dei prezzi, seppur in maniera minore, è quella dei beni alimentari non lavorati, come la carne e la frutta.

Nonostante il rallentamento, l’inflazione resta alta e non è solo colpa dell’energia. Lo shock iniziale sui prezzi si è trasmesso al resto dell’economia, con le imprese che hanno aumentato i prezzi per mantenere intatti i margini di profitto e i lavoratori che hanno richiesto aumenti di salario per proteggere il loro potere d’acquisto. Questi aumenti hanno portato a una crescita dei prezzi anche in settori non particolarmente dipendenti dal costo dell’energia, come quello dei servizi alla persona. Per questo motivo è importante guardare non solo all’inflazione in generale, ma anche alla cosiddetta “inflazione di fondo”, cioè al netto di beni energetici e alimentari. Questa misura permette di separare i fattori legati alle materie prime (come energia e alimenti) che causano l’inflazione da quelli più strettamente collegati alla rincorsa di profitti e salari per compensare gli aumenti dei prezzi. L’andamento dell’inflazione di fondo conferma che è soprattutto il calo dei beni energetici a pesare sulla riduzione dell’inflazione. Seppur in calo, a giugno l’inflazione di fondo è infatti rimasta relativamente stabile, passando dal +6 per cento di maggio al +5,6 per cento.

Il confronto con l’area euro

Un altro modo per capire se il rallentamento dell’inflazione è merito del governo Meloni, e non di fattori esterni, è guardare che cosa sta succedendo negli altri Paesi che adottano l’euro. Secondo Eurostat, a giugno l’inflazione nell’area euro è aumentata del 5,5 per cento rispetto a giugno 2022, contro il +6,1 per cento di maggio. Per l’Italia, invece, si è passati dal +8 per cento al 6,7 per cento (le percentuali di Eurostat sono diverse da quelle di Istat perché a livello europeo si utilizza un indice leggermente diverso per fare confronti tra i Paesi, ma l’andamento dei dati resta comunque paragonabile). A giugno un calo dell’aumento dei prezzi è stato registrato in tutta l’area euro, anche se in Italia in maniera un po’ più marcata.

Pure in questo caso, se si osservano le varie componenti dell’indice dell’inflazione usato da Eurostat, si scopre che gli elementi non strettamente legati all’energia non hanno registrato riduzioni significativamente diverse rispetto al resto dell’area euro. Per esempio i prezzi dei beni industriali non energetici sono calati di 0,2 punti percentuali in Italia e di 0,3 nell’area euro.

Il ruolo della Bce

Con tutta probabilità la ragione principale del calo dell’inflazione sta nella politica monetaria adottata dalla Banca centrale europea (Bce), che dallo scorso anno in poi ha alzato varie volte i tassi di interesse (una scelta tra l’altro criticata di recente da vari membri del governo Meloni). L’aumento dei tassi di interesse ha portato a un rallentamento dell’attività economica e, soprattutto, dei prezzi. Tassi di interesse più alti significano costi dei prestiti più alti e quindi minore spinta all’investimento per gli individui e le imprese. Per esempio con l’aumento del costo dei mutui si sta registrando un rallentamento dei prezzi delle case, ma dinamiche simili ci sono anche per altri beni acquistabili grazie ai prestiti, come le auto. A giugno in Italia i prezzi delle auto sono cresciuti del 7,6 per cento, contro l’8 per cento di maggio.

Più che all’azione del governo, dunque, il calo dell’inflazione in Italia è con tutta probabilità legato al contesto macroeconomico internazionale e, in particolare, all’aumento dei tassi di interesse della Bce e al rallentamento dell’economia europea e mondiale dovuto proprio alla crisi inflattiva.

L’Italia torna a crescere?

Oltre che di inflazione, Fratelli d’Italia ha parlato della crescita economica del Paese, scrivendo che «l’Italia torna a crescere». Non è proprio così: è vero che quest’anno il Pil italiano crescerà secondo le previsioni più di quello di Francia e Germania (non più di tutti quelli dei Paesi europei, come ripetuto più volte dal governo), ma ci sono comunque segnali poco incoraggianti. 

Nel bollettino economico pubblicato il 13 luglio dalla Banca d’Italia si legge che il Pil italiano «è rimasto pressoché invariato in primavera, soprattutto a causa della contrazione dell’attività manifatturiera, su cui grava l’indebolimento del ciclo industriale a livello globale». Dopo il rimbalzo del primo trimestre del 2023 la crescita del Pil sembra aver frenato. Il calo dell’inflazione in Italia è una notizia positiva, ma le prospettive sono meno rosee rispetto a qualche mese fa. Banca d’Italia ha confermato la previsione di crescita nel 2023 dell’1,3 per cento del Pil italiano, ma ha rivisto al ribasso quella per il 2024 (+0,9 per cento) e per il 2025 (1 per cento).

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