Il fact-checking di Giorgia Meloni al TG La7

Dai salari alla sanità, abbiamo verificato quattro dichiarazioni fatte dalla presidente del Consiglio, che ha detto alcune cose parziali o non supportate dai fatti
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Nella serata di mercoledì 5 giugno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata intervistata da Enrico Mentana al TG La7. All’inizio dell’intervista, la leader di Fratelli d’Italia ha smentito di aver voluto offendere i telespettatori di La7 con il videomessaggio elettorale trasmesso dalla rete televisiva il 26 maggio (qui abbiamo fatto il fact-checking). «Qualcuno ci ha visto un attacco ai telespettatori di La7, invece io mi sono limitata a ironizzare con alcuni conduttori di La7: penso sia nel mio diritto», ha dichiarato Meloni, che poi durante l’intervista ha parlato di sanità, salari e Superbonus, non sempre citando fatti e numeri correttamente. 

L’andamento dei salari

«L’Istat dice che da ottobre 2023 i salari finalmente hanno ricominciato a crescere più dell’inflazione. Significa che l’inflazione non si mangia più l’aumento. Esattamente come, l’Istat dice, che nel 2023 […] i salari sono cresciuti in Italia del 3 per cento, che è quindi un cambio di passo»

Con tutta probabilità, Meloni ha fatto riferimento a un dato contenuto nel nuovo “Rapporto annuale” di Istat, pubblicato il 15 maggio, dove però c’è scritta una cosa solo in parte positiva così come lascia intendere la presidente del Consiglio.

«Dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione», sottolinea Istat, e questo è il passaggio citato in tv da Meloni. Ma la stessa Istat aggiunge nel suo rapporto: «In media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dell’inflazione». 

Secondo Istat, l’anno scorso le retribuzioni contrattuali «sono aumentate del 2,9 per cento» – il «+3 per cento» di cui ha parlato Meloni in tv – «in rafforzamento rispetto al 2022», quando c’era stata una crescita del 1,1 per cento. In ogni caso, aggiunge Istat, «i prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni». In parole semplici, negli ultimi mesi del 2023 c’è stato un miglioramento, ma non abbastanza per compensare la crescita dell’inflazione.

I soldi alla sanità

«Questo è il governo che ha messo sul fondo sanitario più soldi in assoluto rispetto agli altri governi: 134 miliardi di euro nel fondo sanitario per il 2024 non erano mai stati messi da nessuno prima di noi»

È vero che nel 2024 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) raggiungerà i 134 miliardi di euro e che in valore assoluto questa è la cifra più alta mai raggiunta. Questo numero, però, dà un quadro parziale che rischia di essere fuorviante.

Innanzitutto va sottolineato che dal 2001 in poi, salvo un paio di anni, il finanziamento al Ssn è sempre aumentato in valore assoluto, ma queste cifre sono espresse in termini nominali, non in termini reali, quindi non considerano l’impatto dell’inflazione, ossia dell’aumento generale dei prezzi. La Figura 1, realizzata dall’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, confronta l’andamento in termini nominali del finanziamento al Ssn (barre blu) con l’andamento del finanziamento in termini reali (barre rosse). Come si vede, ci sono stati anni prima della pandemia di Covid-19 in cui il finanziamento al Ssn in termini reali è stato più alto rispetto al 2024.
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La linea gialla del grafico mostra invece il rapporto tra il finanziamento del Ssn e il Prodotto interno lordo (Pil). Anche in questo caso si vede che negli anni precedenti all’inizio della pandemia ce ne sono stati alcuni in cui questo rapporto era più alto rispetto a quello stimato per il 2024. 

Lo stesso governo Meloni ha scritto nel Documento di economia e finanza (Def) che tra il 2024 e il 2027 la spesa sanitaria calerà in rapporto al Pil, passando dal 6,4 al 6,2 per cento. Un calo di questo tipo era stato previsto anche durante il governo Draghi, quando il ministro della Salute era Roberto Speranza, rientrato l’anno scorso nel Partito Democratico. Il picco raggiunto durante il 2020, quando si è superato il rapporto del 7 per cento, è stato causato in particolare al crollo del Pil.

La spesa in rapporto al Pil

«Quello che mi risulta è che i 134 miliardi [per il finanziamento del Ssn] sono il 6,88% del Prodotto interno lordo»

Con tutta probabilità, la fonte dei numeri di Meloni è l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). A marzo Agenas ha scritto in un rapporto che nel 2024 il finanziamento del Servizio sanitario nazionale raggiungerà i già citati 134 miliardi di euro. Secondo l’agenzia, questa cifra corrisponde a un valore pari al 6,8 per cento del Pil, in aumento rispetto al 6,6 per cento del 2023, quando il finanziamento è stato di quasi 129 miliardi.

I valori assoluti sono confermati anche dalla Corte dei Conti, ma le cifre di Agenas hanno almeno due problemi. Il primo problema: l’agenzia ha usato le stime Istat sul Pil nominale aggiornate a settembre 2023, che si fermavano al 2022. Se si rapporta il valore del finanziamento annuale al Ssn con le stime più aggiornate, riviste al rialzo a marzo, il rapporto tra finanziamento e Pil cala. Il secondo problema: come ha spiegato Lorenzo Borga su Il Foglio, Agenas ha sbagliato a stimare il valore del Pil nominale per il 2023 e per il 2024 (anno non ancora concluso). L’agenzia ha applicato al Pil del 2022 una crescita dello 0,7 per cento per calcolare il Pil del 2023 e ha applicato la stessa percentuale di crescita al Pil del 2023 per calcolare la crescita del 2024. La crescita annua dello 0,7 per cento era quella stimata da Istat quando Agenas ha fatto i conti, ma l’istituto nazionale di statistica fa riferimento al Pil reale e non al Pil nominale, ossia il Pil usato dall’agenzia. Questa non è una differenza da poco: la crescita del Pil reale è infatti al netto dell’inflazione, quindi con il suo errore Agenas ha sottostimato il valore assoluto del Pil a cui ha rapportato il valore del finanziamento al Servizio sanitario nazionale. In questo modo risulta sovrastimato il rapporto tra finanziamento e Pil, che nel 2024 non è pari al 6,8 per cento.

Le truffe del Superbonus

«Glielo dico io dove potevamo prendere i soldi da mettere nella sanità. Li potevamo prendere nei 17 miliardi di euro che sono finiti alle truffe del Superbonus, che sono stati tolti a chi stava male e sono stati regalati ai truffatori»

Secondo i dati più aggiornati dell’Agenzia delle Entrate, i crediti d’imposta relativi a tutti i bonus edilizi – non solo al Superbonus – e oggetto di truffa sono stati circa 15 miliardi di euro, un po’ meno dei 17 miliardi citati da Meloni. Ma al di là del numero preciso, la presidente del Consiglio lascia intendere che tutti questi soldi siano andati perduti, ma non è così.

Dei 15 miliardi di euro di truffe, infatti, non tutti riguardano crediti d’imposta già usati da singoli cittadini, imprese o istituti finanziari per pagare meno imposte. «La scoperta della frode può essere intervenuta prima dell’utilizzo», ha chiarito ad aprile il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini in un’audizione alla Commissione Finanze del Senato. Infatti, 8,6 miliardi di euro di crediti d’imposta sono stati sequestrati in modo preventivo, prima dunque che potessero essere sfruttati per pagare meno tasse. Una «minima parte» dei restanti 6,3 miliardi di euro è stata già sfruttata «a danno della collettività», ha sottolineato Ruffini.

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