Votare solo un giorno all’anno può ridurre l’astensionismo, ma non è semplice

Secondo alcuni, un election day annuale aumenterebbe la partecipazione al voto. Ma quanto è fattibile questa proposta? Ed è supportata dai numeri?
Ansa
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Il 18 novembre, dopo la bassa affluenza alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria, il leader di Azione Carlo Calenda ha proposto di introdurre «un solo election day annuale nazionale», un giorno specifico in cui raggruppare tutte le elezioni e i referendum che in un anno si tengono in Italia. Secondo Calenda, se le elezioni fossero concentrate in un giorno solo, gli elettori sarebbero più invogliati ad andare a votare, e così l’astensionismo si ridurrebbe. «È una proposta che porteremo in Parlamento nei prossimi giorni», ha annunciato il leader di Azione, lasciando intendere che il testo ufficiale della proposta non c’è ancora. 

Al netto di questo, l’idea di concentrare tutte le elezioni in un unico election day è fattibile? E i numeri delle passate elezioni suggeriscono che possa davvero ridurre l’astensionismo? 

Le ragioni della proposta

L’astensionismo elettorale in Italia è un fenomeno in crescita costante: dal 2006 l’affluenza alle elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento è sempre scesa. Da ultimo, alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 ha votato il 63,9 per cento degli aventi diritto di voto, quasi 10 punti in meno rispetto alle elezioni politiche del 2018. 

L’astensionismo è un fenomeno complesso, che ha diverse cause: tra queste la disaffezione nei confronti della politica e dei partiti e la difficoltà di partecipare al voto perché, per esempio, si è lontani dal comune di residenza per motivi di studio o di lavoro.  
In un rapporto pubblicato nel 2022 una commissione di esperti, nominata dall’allora ministro delle Riforme istituzionali e dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (Movimento 5 Stelle), ha suggerito alcune proposte per ridurre il fenomeno dell’astensionismo elettorale. Tra queste, c’è anche l’election day, inteso come «la concentrazione delle date del voto dei diversi tipi di consultazione elettorale». Secondo la commissione di esperti, questo può essere «uno strumento essenziale per favorire la partecipazione al voto e contrastare l’astensionismo». «La frammentazione delle scadenze elettorali ha indubbi effetti negativi sulla partecipazione al voto e persino sulla conoscenza da parte dei cittadini dei diversi e numerosi appuntamenti elettorali, previsti nel corso dell’anno», ha sottolineato il rapporto. «Basti pensare che nel quinquennio tra ottobre 2013 e giugno 2018 si sono tenuti ben 64 appuntamenti elettorali».

In realtà, la possibilità di organizzare un election day è già prevista dalla legge. Nel 2011 il quarto governo di Silvio Berlusconi ha stabilito con un decreto-legge che, a partire dall’anno successivo, «le consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, si svolgono, compatibilmente con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, in un’unica data nell’arco dell’anno». 

Dall’approvazione di quel provvedimento, in Italia raramente tutte queste elezioni sono state accorpate. Secondo il già citato rapporto pubblicato nel 2022, questo si spiega con il fatto che la legge «non contiene misure applicative sufficienti a raggiungere lo scopo», e le regioni possono decidere autonomamente quando indire le elezioni. 

Per fare un esempio recente, nel 2024 si sono tenute sette elezioni regionali, quasi tutte in date diverse: in Sardegna si è votato il 25 febbraio, in Abruzzo il 10 marzo, in Basilicata il 21 e 22 aprile, in Piemonte il 8 e 9 giugno (in concomitanza con le elezioni europee), in Liguria il 27 e 28 ottobre, e in Emilia-Romagna e in Umbria il 17 e 18 novembre)

I vincoli da rispettare

Per accorpare in unico giorno tutte le elezioni che si dovrebbero tenere durante l’anno occorre una certa coordinazione. 

Prima di tutto, la programmazione andrebbe fatta in anticipo e in base alla scadenza naturale delle legislature e delle amministrazioni locali. Qui sorge un primo problema: per esempio, se un presidente di regione e un sindaco si dimettono, si potrebbe dover andare a votare in anticipo rispetto al previsto (è quanto successo a ottobre con le elezioni regionali in Liguria). 

In alcuni anni, le varie tornate elettorali dovrebbero poi rispettare altri vincoli. Per esempio, la data delle elezioni europee per il rinnovo del Parlamento europeo è decisa dalle autorità europee: di solito, viene stabilito un arco di pochi giorni in cui tutti i Paesi dell’Unione europea devono organizzare le elezioni (quest’estate il voto nell’Ue è iniziato il 6 giugno ed è finito il 9 giugno). La Costituzione italiana, invece, stabilisce un limite massimo di 70 giorni tra lo scioglimento del Parlamento e le nuove elezioni politiche per rinnovarlo.

Come soluzione a questo problema, nel 2022 la commissione di esperti ha suggerito di concentrare le elezioni non in un’unica giornata, ma in due, una per semestre. In questo modo le scadenze quinquennali dei mandati delle amministrazioni locali sarebbero fatte coincidere con uno dei due election day previsti. In caso di scioglimento anticipato di un’amministrazione locale, invece, la data della nuova tornata elettorale dovrebbe essere indetta «nella prima data utile di election day».

Che cos’è successo alle europee

Al di là dell’eventuale proposta di Azione, i dati più recenti suggeriscono che accorpare elezioni di tipo diverso favorisce la partecipazione elettorale. Misurare l’impatto dell’accorpamento delle elezioni resta comunque un compito non semplice: l’affluenza elettorale, infatti, segue dinamiche che cambiano da elezione a elezione, e a seconda delle aree geografiche.

L’8 e 9 giugno di quest’anno si sono tenute le elezioni europee, le elezioni regionali in Piemonte e le elezioni comunali in 3.648 comuni italiani. In base ai nostri calcoli, i comuni dove è votato solo per le elezioni europee hanno registrato un’affluenza del 43 per cento, mentre quegli stessi comuni avevano registrato un’affluenza del 62 per cento alle elezioni politiche del 2022. I comuni che hanno votato sia per le elezioni comunali sia per le elezioni europee hanno registrato invece un’affluenza del 64 per cento, contro il 67 per cento registrato alle elezioni politiche del 2022. In Piemonte, i comuni in cui si sono tenute le elezioni regionali e le elezioni europee hanno registrato un’affluenza del 52 per cento (due anni prima era stata del 66 per cento), mentre i comuni che hanno votato anche per le elezioni comunali hanno avuto un’affluenza del 63 per cento (a fronte del 67 per cento delle elezioni politiche del 2022).

Questi dati mostrano che le elezioni comunali hanno contribuito ad aumentare l’affluenza alle elezioni europee, mentre l’impatto delle elezioni regionali sembra essere stato più limitato. I comuni non piemontesi in cui si sono tenute solo le elezioni europee hanno registrato un calo dell’affluenza tra le elezioni politiche e le europee di 19 punti, mentre nei comuni in cui si è votato anche per eleggere il sindaco l’affluenza è scesa di soli 3 punti. 

In maniera simile, i comuni piemontesi che hanno votato solo per il presidente di regione, oltre che per le europee, hanno registrato un calo dell’affluenza del 14 per cento rispetto alle politiche del 2022. Al contrario, il calo della partecipazione è stato di soli 3 punti nei comuni in cui, oltre alle europee e alle regionali, si è votato anche per le elezioni comunali.

L’impatto delle comunali sui referendum

Un altro caso recente in cui più elezioni diverse si sono tenute lo stesso giorno è quello del 12 giugno 2022: in quel giorno si sono tenuti i referendum sulla giustizia e in 818 comuni ci sono state le elezioni comunali.  

Dove si è votato solo per i referendum, l’affluenza è stata del 16 per cento, percentuale che sale al 51 per cento (quindi superiore al quorum per considerare validi i risultati dei referendum) nei comuni dove si sono tenute anche le elezioni comunali. Questo aumento è avvenuto nonostante, secondo i nostri calcoli, questi due gruppi diversi di comuni hanno avuto affluenze elettorali simili nelle elezioni precedenti: alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, infatti, il gruppo di comuni che aveva votato solo per i referendum sulla giustizia ha registrato un’affluenza del 63,7 per cento; il gruppo di comuni che ha votato anche per le elezioni comunali ha registrato un’affluenza del 64 per cento.

Questo effetto si è verificato in tutte le regioni, soprattutto al Sud, dove l’affluenza ai referendum è storicamente più bassa. La differenza nell’affluenza tra i due gruppi di comuni è stata pari a 49 punti percentuali nel Mezzogiorno, mentre nelle altre tre macroaree è stata tra i 31 e i 37 punti.  

Insomma, almeno nel caso dei referendum del 2022, le elezioni comunali hanno contribuito ad alzare l’affluenza al referendum in diversi comuni dove si sono tenute contemporaneamente le due tornate elettorali. Il dato è particolarmente rilevante perché, come anticipato, i referendum abrogativi hanno un quorum del 50 per cento degli elettori da superare per essere validi. E un eventuale referendum che secondo i sondaggi sarebbe già vicino al quorum, potrebbe superare la soglia solo grazie alla presenza di elezioni concorrenti. 
La stessa dinamica si è verificata anche il 20 e 21 settembre 2020, quando si è votato per il referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari e per le elezioni comunali in centinaia di comuni. In quell’occasione, i comuni dove si è votato sia per le elezioni comunali sia per il referendum hanno registrato in media un’affluenza di circa 20 punti superiore a quella dei comuni dove si è votato solo per il referendum. 

 

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